Rapporto tra bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta impropria

Enrico Corucci
08 Marzo 2016

Viola il principio di correlazione con l'accusa la sentenza che, in presenza di una imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione, riqualifichi il fatto come bancarotta impropria societaria, in quanto il primo reato è di pericolo concreto e non pretende l'esistenza di un nesso eziologico tra la condotta ed il fallimento.
Massima

Viola il principio di correlazione con l'accusa la sentenza che, in presenza di una imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione ai sensi dell'art. 216, comma 1, n. 1) l.fall., riqualifichi il fatto come bancarotta impropria societaria ai sensi dell'art. 223, comma 2, n. 2), l. fall. in quanto il primo reato è di pericolo concreto e non pretende l'esistenza di un nesso eziologico tra la condotta ed il fallimento, il quale costituisce invece evento del diverso reato di bancarotta societaria. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato la sentenza del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Avellino, che aveva provveduto a riqualificare il fatto nei termini indicati piuttosto che trasmettere gli atti al pubblico ministero perché procedesse ad una nuova imputazione, nonché quella della Corte di appello di Napoli che aveva confermato la menzionata pronuncia di primo grado).

Il caso

Nella vicenda sottoposta all'attenzione della suprema Corte agli imputati era contestata una pluralità di fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione ai sensi dell'art. 216, comma 1, n. 1) l. fall. ed all'esito del processo di primo grado, svoltosi nelle forme del giudizio abbreviato, il giudice pronunciava sentenza di condanna, di seguito confermata dalla Corte di appello di Napoli, in riferimento a parte di essi riqualificandoli nel diverso reato di cui all'art. 223, comma 2, n. 2) l. fall. (sembrando di capire che, tra le due fattispecie tipizzate da tale ultima norma, pure largamente convergenti sul piano obiettivo, costituite dall'avere cagionato il fallimento della società con dolo ovvero per effetto di operazioni dolose, sia stata scelta la seconda).

I giudici di merito, in particolare, ritenevano che la condotta contestata costituita dal conferire beni in una società di nuova costituzione della quale quella poi fallita deteneva la totalità delle quote non costituisse distrazione giacché il valore delle poste attive conferite nella nuova società sarebbe stato ancora rappresentato, in riferimento al patrimonio della fallita, dal valore delle quote di cui quest'ultima era divenuta proprietaria, le quali avrebbero finito per riflettere in toto il valore dei beni conferiti. La condotta descritta, al contrario, avrebbe cagionato il fallimento della società conferente in quanto questa non sarebbe stata più in grado di far fronte alle proprie obbligazioni giacché tutti i suoi beni erano confluiti nella società di nuova costituzione, avente tra l'altro il medesimo oggetto sociale, con la quale gli imputati avrebbero voluto ripartire.

Accogliendo il ricorso degli imputati la Corte di cassazione censurava le menzionate decisioni dei giudici di merito, annullandole entrambe senza rinvio e disponendo la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Avellino per ulteriore corso.

La questione

Le questioni sottoposte all'attenzione della Cassazione concernono dunque la liceità di una riqualificazione da parte dell'organo giudicante del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all'art. 216, comma 1, n. 1) l. fall. (e comma 2 per i fatti commessi successivamente al fallimento) in quello di bancarotta impropria societaria di cui all'art. 223, comma 2, n. 2) l. fall., sicché appare pregiudiziale l'analisi della struttura di tali fattispecie delittuose.

Il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale si contraddistingue per una diminuzione indebita del patrimonio dell'impresa fallita, individuale o collettiva, cui consegue un nocumento alle ragioni creditorie giacché detto patrimonio ne costituisce garanzia secondo il principio generale di cui all'art. 2740 c.c. La lettera dell'art. 216, comma 1, n. 1) l. fall. peraltro non richiede l'esistenza di un nesso eziologico tra la condotta ed il fallimento, per cui quest'ultimo non costituisce evento del reato; si delinea piuttosto un reato di pericolo concreto in ragione del rilievo attribuito a qualsivoglia condotta che determini un nocumento anche potenziale alle ragioni creditorie, indipendentemente dal fatto che già si sia manifestata l'insolvenza, così come ribadito anche dalla sentenza in commento; in proposito si osserva tuttavia come la distanza di tempo intercorsa tra l'insolvenza e la condotta che si assume delittuosa appaia inversamente proporzionale alla capacità lesiva di quest'ultima, ed invero maggiore è la loro distanza minore risulterà, di regola, detta capacità lesiva, non apparendo comunque del tutto scongiurato il rischio che si possa giungere a sanzionare condotte remote rispetto all'insolvenza.

Questo non accade per ciò che concerne il delitto di bancarotta impropria societaria disciplinato dall'art. 223, comma 2, n. 2) l. fall., il quale è invece un reato a forma libera di evento, non essendo tipizzate le modalità della condotta, riassunta nel termine operazioni dolose, legata eziologicamente al dissesto, il quale per l'appunto costituisce evento del reato.

Le soluzioni giuridiche

In ragione delle indicate divergenze strutturali tra le fattispecie in argomento, dunque, la riqualificazione delle contestate condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale in bancarotta impropria societaria operata dai giudici di merito appare in effetti lesiva del principio di correlazione con l'accusa, come evidenziato dalla suprema Corte allorché specifica che l'imputato di fatti di distrazione non è chiamato a difendersi dall'accusa di avere cagionato il dissesto della società bensì di averla depauperata a seguito di iniziative non giustificabili col fisiologico esercizio dell'attività imprenditoriale, sicché sarebbe arbitrario giungere a condannarlo per una fattispecie delittuosa in relazione alla quale non ha mosso difese. Né può assumere rilievo, nel caso di specie, il principio secondo cui la violazione dei diritti della difesa viene meno allorché l'imputato, comunque, sia giunto a trovarsi nella condizione di difendersi in concreto dall'oggetto dell'imputazione che si assume diversa, in quanto il processo di primo grado si era svolto con le forme del giudizio abbreviato.

Osservazioni

In ragione di quanto fin qui osservato, appaiono condivisibili le conclusioni cui è giunta la suprema Corte nell'annullare le pronunce emesse a conclusione dei giudizi di merito, residuando peraltro la questione concernente la reale dimensione offensiva delle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale, a maggior ragione ove si ricordi che la tradizionale giurisprudenza di legittimità, pur qualificando la dichiarazione di fallimento nei termini di elemento costitutivo del reato e non già di condizione obiettiva di punibilità, la ritiene indipendente dall'atteggiamento psichico dell'agente.

Al fine di giungere ad una interpretazione della fattispecie delittuosa di bancarotta fraudolenta patrimoniale rispettosa del principio di offensività, già essendosi evidenziato il rischio che si possa giungere a sanzionare fatti remoti rispetto all'insolvenza, in giurisprudenza si registrano più soluzioni ermeneutiche, tra cui anche quella secondo cui l'insolvenza costituirebbe l'evento naturalistico del reato sì che essa dovrebbe derivare eziologicamente dalla condotta (così Cass. pen., Sez. V, 24 settembre 2012, n. 47502). Tale tesi, tuttavia, pure citata ma non condivisa dalla sentenza qui annotata e fin da subito rimasta isolata, contrasta in modo palese con la lettera dell'art. 216, comma 1, n. 1) l. fall., appare incompatibile con la struttura della bancarotta fraudolenta post-fallimentare ed ancora legittimerebbe le azioni, pure predatorie, poste in essere successivamente alla manifestazione di detta insolvenza, le quali finirebbero per restare impunite.

Maggiore significato assume invece la verifica dell'esistenza di eventuali azioni che, anteriormente alla dichiarazione di fallimento, annullino gli effetti pregiudizievoli delle pregresse condotte che si assumono distrattive tramite una reintegrazione del patrimonio della società (c.d. bancarotta “riparata”) ovvero ancora, come sostenuto anche nella sentenza in commento, la verifica che la condotta delittuosa davvero sia idonea a costituire pericolo per le ragioni creditorie e cioè che appaia probabile che ad essa segua l'evento lesivo.

La sentenza qui annotata tende a valorizzare quest'ultimo giudizio, giungendo ad affermare l'insussistenza del fatto allorché il soggetto impoverisca una società di risorse enormi quando questa può comunque continuare a disporne di ben più rilevanti, idonee a fornire garanzia per le possibili pretese creditorie giacché in questo caso (a differenza dell'ipotesi dell'imprenditore che si renda responsabile di una distrazione modesta ma a fronte di un patrimonio suscettibile di risentirne significativamente) il pericolo di un pregiudizio per i creditori non assumerebbe la concretezza richiesta dal dato normativo.

Tali osservazioni appaiono tuttavia non del tutto esaustive in quanto riducono il tipico giudizio prognostico di pericolo ad un esame della fattispecie che si assume delittuosa di carattere meramente quantitativo, mentre la valutazione dell'esistenza di una concreta probabilità di danno presuppone una analisi ex ante a base totale, ovvero che tenga conto di tutte le circostanze esistenti al momento della condotta. Invero il giudizio quantitativo appena menzionato costituisce parte, ancorché particolarmente rilevante soprattutto ove non vi sia ancora manifestazione di alcuna insolvenza, di una più ampia valutazione del fatto, la quale si rende necessaria giacché il solo quantum dell'impoverimento in rapporto alle residue risorse dell'impresa non appare sufficiente al fine di svelare compiutamente il significato eventualmente distrattivo della condotta. Il giudizio in argomento, al contrario, deve avere ad oggetto le condizioni tutte in cui trovavasi l'impresa al momento della commissione del fatto quali il suo avviamento e situazione debitoria, anche di prossima e ragionevole verificazione, le condizioni di mercato e perfino la posizione sociale dell'imprenditore e con essa la credibilità della quale questi ancora gode, a tacer del fatto che neppure può pretermettersi la verifica della finalità dell'azione, la quale deve trovare giustificazione, come del resto affermato anche dalla stessa pronuncia in commento, nella fisiologica gestione dell'impresa; in proposito deve infatti ricordarsi come uno dei tradizionali criteri definitori della distrazione consista – al pari di quello costituito dall'estromissione, al di fuori di un reale rapporto sinallagmatico, di un bene dal patrimonio dell'imprenditore – proprio nella destinazione di detto bene ad uno scopo diverso dal dovuto. Si comprende invero come simili estromissioni, a maggior ragione ove avvengano per scopi alieni a quelli societari, impoveriscano ex sela garanzia patrimoniale sì che appare arduo ritenere che i creditori non abbiano comunque minori probabilità di essere soddisfatti, soprattutto ove l'insolvenza si sia già manifestata ovvero ne sia prossima la manifestazione.

Fonte: ilPenalista.it