Versamenti in conto futuro aumento di capitale e diritti restitutori dei soci

22 Luglio 2015

I versamenti in conto futuro aumento di capitale, come tutti gli apporti eseguiti dai soci non a titolo di finanziamento, rappresentano dotazioni patrimoniali destinate a costituire vere e proprie riserve di capitale definitivamente acquisite dalla società, da collocarsi in bilancio fra le poste di patrimonio netto.
Massima

I versamenti in conto futuro aumento di capitale, come tutti gli apporti eseguiti dai soci non a titolo di finanziamento, rappresentano dotazioni patrimoniali destinate a costituire vere e proprie riserve di capitale definitivamente acquisite dalla società, da collocarsi in bilancio fra le poste di patrimonio netto. Tuttavia, qualora emerga, in termini inequivoci, la volontà concorde delle parti (soci eroganti e società) di ancorare l'apporto finanziario de quo ad una specifica e già programmata operazione di aumento del capitale sociale, senza che la detta operazione abbia successivamente luogo, la società è tenuta a “girocontare” fra i debiti gli importi previamente imputati a riserva, restituendo al socio erogante i versamenti di denaro all'epoca eseguiti.

Il caso

La Sentenza del Tribunale di Roma attiene alla disciplina dei versamenti effettuati dai soci di società di capitali a titolo di “futuro aumento di capitale”, con particolare riferimento ai presupposti giuridici alla base di possibili diritti restitutori dei detti apporti in favore dei soci.

Più precisamente, l'attore, in qualità di socio di minoranza, lamentava la mancata restituzione dei versamenti di cui supra all'epoca effettuati, all'uopo invocando la violazione di un patto parasociale secondo cui la società avrebbe potuto iscrivere i versamenti de quibus tra le riserve di patrimonio netto soltanto provvisoriamente. Infatti, in mancanza di aumenti di capitale deliberati nei due anni successivi, gli apporti di specie, in virtù del richiamato accordo parasociale, avrebbero dovuto essere restituiti ai soci eroganti in due tranches di pari importo al termine di ciascun anno, previo relativo giroconto fra i “debiti verso soci” nei bilanci d'esercizio.

In assenza di alcun aumento di capitale deliberato secondo le tempistiche sopra menzionate, il ricorrente citava in giudizio il socio di maggioranza, reo di non avere fatto assumere alla società controllata le delibere necessarie ai fini della restituzione dei versamenti di cui supra, così come contemplato nel patto parasociale oggetto di preteso inadempimento.

Il socio di maggioranza, convenuto in giudizio, opponeva, da parte sua, la mancanza di alcun inadempimento anche perché, nell'ambito degli atti societari, non risultava alcun termine entro cui deliberare l'aumento di capitale sociale a servizio del quale risultavano effettuati i versamenti di specie, i quali dovevano pertanto ritenersi acquisiti a titolo definitivo da parte della società.

Le questioni giuridiche

La Sentenza in commento, nel rigettare la domanda di parte ricorrente, fornisce interessanti spunti di riflessione in ordine alla disciplina dei “versamenti soci”, intesi quali apporti di capitale spontaneamente eseguiti dai soci a titolo di conferimento, finalizzati a confluire nell'ambito di riserve di patrimonio netto aventi, di regola, una specifica destinazione (copertura perdite, aumento del capitale sociale, ecc.).

In tale contesto, omettendo di soffermarsi sui versamenti destinati a copertura di perdite in quanto avulsi dalla materia del contendere, la Sentenza de qua precisa che mentre i versamenti soci “in conto capitale” rappresentano apporti di patrimonio senza un preciso vincolo di destinazione, di cui la società può liberamente disporre senza che il socio possa invocare alcun diritto alla restituzione, maggiori riflessioni impongono, al riguardo, i versamenti soci “in conto futuro aumento di capitale”.

Tali apporti, come noto, rappresentano versamenti specificamente destinati ad essere utilizzati per un aumento di capitale nominale da deliberarsi nel futuro.

Al riguardo, i giudici romani, richiamando l'insegnamento della Suprema Corte (v. Cass. n. 2314/1996), stabiliscono che, laddove tali apporti siano stati risolutivamente condizionati alla mancata successiva delibera assembleare di aumento di capitale e tale delibera non sia intervenuta entro il termine stabilito dalle parti, potrà essere riconosciuto al socio il diritto alla restituzione di quanto versato, essendo venuta meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale all'epoca eseguita in favore della società.

Diversamente, qualora la previsione del “futuro aumento del capitale sociale”, cui i versamenti dovrebbero risultare condizionati, sia soltanto generica, senza alcun riferimento al termine entro cui dovrebbe essere adottata la relativa delibera, graverà sul socio istante l'onere di dimostrare la volontà concorde delle parti del rapporto di conferimento in ordine alla sussistenza di un titolo che giustifichi la propria pretesa restitutoria.

In applicazione di tali principi, intesi ad attribuire rilevanza ai contenuti concreti dell'accordo tra soci e società prima che alle denominazioni contabili formalmente adoperate, i giudici romani hanno rigettato la domanda di restituzione dei versamenti di specie.

In proposito, la Sentenza de qua ha attribuito rilevanza al fatto che nell'ambito di apposite comunicazioni alla società sottoscritte da parte di ciascun socio in ordine agli apporti de quibus, non risultasse alcun riferimento a condizioni risolutive. I giudici capitolini hanno altresì rimarcato che, nel prendere ufficialmente atto delle predette comunicazioni dei soci, il Consiglio di Amministrazione, fra i cui membri era ricompreso anche lo stesso ricorrente, non avesse ritenuto di dover indicare all'assemblea alcun termine entro cui destinare i versamenti in commento a capitale sociale, men che meno a pena di risoluzione del conferimento. La stessa Assemblea dei Soci – sottolinea la commentata Sentenza – aveva formalmente accettato la proposta di apporto “non condizionata” formulata dai soci.

Le ufficiali risultanze di tali documenti societari, a parere dei giudici di prime cure, evidenziano la volontà da parte dei soci di volere destinare incondizionatamente i propri apporti di capitale a definitivo consolidamento del patrimonio netto sociale, con la conseguenza che quanto stabilito dagli stessi soci a livello di accordi parasociali, in ordine agli asseriti diritti restitutori delle somme de quibus, doveva ritersi in tutto superato, né comunque opponibile alla società.

Osservazioni

La commentata Sentenza ha il pregio di ripercorrere, con estrema chiarezza, i tratti salienti della disciplina dei “versamenti soci”, sempre più di frequente caratterizzanti la prassi operativa delle società di capitali.

Si tratta, come correttamente stabiliscono i giudici capitolini, di apporti di patrimonio “fuori capitale”, individuabili quale “terza via” posta tra l'erogazione di fondi a titolo di finanziamento – che la società finanziata è tenuta a restituire – ed i conferimenti eseguiti a servizio di un aumento di capitale sociale.

Tali versamenti, spontaneamente eseguiti dai soci in ragione di svariate possibili finalità, costituiscono vere e proprie dotazioni patrimoniali da contabilizzarsi tra le riserve di patrimonio netto, giacché, di regola, caratterizzati dalla mancanza di alcun obbligo di restituzione a carico della società.

Dopo un inquadramento di carattere generale della tematica, la commentata Sentenza si concentra, nello specifico, sui versamenti “in conto futuro aumento di capitale”, definiti dallo stesso Documento OIC n. 28 quali apporti di capitale con una specifica destinazione, giacché effettuati dai soci in via anticipata in vista di un futuro aumento di capitale.

Addentrandosi maggiormente nella fattispecie, la Sentenza de qua conferma il pensiero della Suprema Corte (v. Cass. n. 2314/1996) laddove stabilisce che, in presenza di un chiaro collegamento causale tra il versamento ed il prospettato aumento di capitale, l'acquisizione patrimoniale della società deve intendersi risolutivamente condizionata alla mancata futura delibera di aumento di capitale. Innanzi ad una simile condizione risolutiva, il versamento de quo, soltanto provvisoriamente iscritto tra le riserve di patrimonio netto, dovrà pertanto essere restituito al socio apportante qualora il programmato aumento di capitale non dovesse essere deliberato per tempo da parte della competente assemblea dei soci.

Laddove la previsione del “futuro aumento del capitale” risulti invece solo generica, per dirimere eventuali conflitti in ordine alla natura ed alla finalità dell'apporto, i giudici romani statuiscono condivisibilmente che occorre avere riguardo, più che alla mera denominazione attribuita dalle parti, ai contenuti concreti dell'accordo di conferimento. A tale riguardo, assumono rilevanza, fra l'altro, le ufficiali risultanze dei documenti societari (verbali di CdA, verbali di Assemblea, comunicazioni dei Soci, ecc.), che la Sentenza in oggetto non manca di commentare, riportandone i passaggi salienti.

In tale contesto, nel rispetto dei principi di carattere generale in tema di onere della prova, graverà comunque sul socio istante l'onere di dimostrare la volontà concorde delle parti in ordine alla sussistenza del preteso diritto restitutorio.

In tema di restituibilità dei versamenti in conto “futuro aumento di capitale”, valga peraltro incidentalmente osservare come non siano mancati Autori (v. Tantini, I versamenti in conto capitale, Milano, 1990) secondo cui, in mancanza di un termine entro cui deliberare il prospettato aumento di capitale, ciascun socio, ai sensi dell'art. 1183 c.c., potrebbe comunque chiedere al giudice la fissazione di un termine per la tenuta dell'assemblea chiamata a deliberare in ordine all'ipotizzato aumento di capitale; decorso inutilmente il detto termine, a parere della citata dottrina, sorgerebbe in capo al socio il diritto alla restituzione dei versamenti all'epoca eseguiti.

Conclusioni

La Sentenza de qua ha il pregio di illustrare, in conformità all'insegnamento della Suprema Corte oltre che dei dettami del Documento OIC n. 28, i principi giuridici posti a fondamento degli apporti “extra capitale” eseguiti dai soci, come tali non disciplinati dal Codice Civile.

Con particolare riferimento ai versamenti in conto “futuro aumento di capitale”, vengono sapientemente evidenziati i profili alla base di possibili legittime pretese restitutorie in proposito spettanti ai soci, in deroga al principio di carattere generale secondo cui gli apporti di capitale effettuati dai soci, a differenza di quelli effettuati a titolo di finanziamento, rappresentano dotazioni patrimoniali definitivamente acquisite dalla società.

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