Market abuse: il punto sul doppio binario sanzionatorio

Luigi Giordano
10 Gennaio 2017

La disciplina sanzionatoria degli abusi di mercato è articolata sul modello del “doppio binario” nel quale convivono illeciti penali ed amministrativi che possono punire i medesimi fatti.
Premessa

La disciplina sanzionatoria degli abusi di mercato è articolata sul modello del “doppio binario” nel quale convivono illeciti penali ed amministrativi che possono punire i medesimi fatti. La sentenza della Corte EDU Grande Stevens contro Italia del 2014 ha affermato che questo sistema provoca una violazione del divieto di bis in idem. La successiva decisione della Corte di Strasburgo A. e B. contro Norvegia del novembre 2016, invece, ha ritenuto che, in presenza di determinate condizioni, non costituisce necessariamente una violazione del principio citato la previsione di norme interne che consentano di avviare, separatamente ed in modo parallelo, per la repressione del medesimo fatto il procedimento penale e quello amministrativo. Una recente ordinanza del Tribunale di Milano ha recepito il revirement giurisprudenziale.

Il sistema sanzionatorio in materia di market abuse

La disciplina sanzionatoria degli abusi di mercato, come è noto, è molto rigorosa, essendo articolata sulla previsione sia di reati, che di illeciti amministrativi. I reati sono l'abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato. Il primo, previsto dall'art. 184 d.lgs. n. 58/1998, testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (in seguito T.U.F.), ha natura di delitto, se la condotta concerne gli strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato o per i quali è stata presentata la richiesta di tale ammissione (art. 1, comma 2, T.U.F.), ovvero di contravvenzione, qualora riguarda operazioni relative agli strumenti finanziari di cui all'art. 180, comma 1, lett. a), n. 2), dello stesso T.U.F., cioè strumenti ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale. Pure la manipolazione del mercato, punita dall'art. 185 T.U.F., può presentare natura contravvenzionale o delittuosa in base allo strumento finanziario su cui ricade la condotta.

Accanto ai reati, in occasione della riforma del D.Lgs. n. 58/1998 compiuta dalla legge 18 aprile 2005, n. 62, sono stati introdotti due illeciti amministrativi i quali fin dalla denominazione richiamano le fattispecie penali.

Il primo è l'abuso di informazioni privilegiate di cui all'art. 187-bis T.U.F., che punisce con una sanzione pecuniaria la quale può giungere fino a quindici milioni di euro chiunque, essendo in possesso di tali informazioni per la sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell'emittente, della partecipazione al capitale dell'emittente, ovvero dell'esercizio di un'attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio, acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime ovvero comunica informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell'ufficio o ancora raccomanda o induce altri, sulla base di esse, il compimento di taluna delle operazioni predette.

Il secondo illecito amministrativo, disciplinato dall'art. 187-ter T.U.F., è la manipolazione di mercato: con una sanzione che può raggiungere l'importo di € 5 milioni è punito chiunque, tramite mezzi d'informazione, compreso internet o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari.

In questo quadro, che già si presenta particolarmente punitivo, poi, si aggiungono anche le sanzioni nei confronti dell'ente. L'art. 25-sexies D.Lgs. n. 231/2001, infatti, prevede i reati di cui agli artt. 184 e 185 T.U.F. tra quelli che sono presupposto di tale responsabilità amministrativa dell'ente.

L'art. 187-quinquies T.U.F., inoltre, dispone che l'ente è responsabile del pagamento di una somma pari all'importo della sanzione amministrativa irrogata per gli illeciti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso o da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti predetti.

Al compimento degli illeciti penali e amministrativi illustrati, infine, segue l'applicazione della confisca obbligatoria del prodotto e del profitto conseguito, anche per equivalente, e delle sanzioni accessorie. Queste ultime,nel caso dei reati, sono disciplinate dagli artt. 28, 30, 32-bis e 32-ter c.p., mentre a seguito degli illeciti amministrativi, consistono nella perdita temporanea dei requisiti di onorabilità per gli esponenti aziendali e per i partecipanti al capitale dei soggetti abilitati, delle società di gestione del mercato nonché per i revisori, per i promotori finanziari e per gli esponenti aziendali di società quotate nell'incapacità temporanea di assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo nell'ambito di società quotate e di società appartenenti al medesimo gruppo di società quotate (art. 187-quater T.U.F.).

Il rapporto tra gli illeciti penali e quelli amministrativi: l'emersione della frizione con il divieto di bis in idem

Gli illeciti amministrativi, dunque, per la loro struttura, sono pressoché sovrapponibili rispetto a quelli penali e, quindi, ben possono colpire i medesimi fatti materiali.Attuando nel 2005 la direttiva 2003/6/CE, infatti, il legislatore ha adottato il modello sanzionatorio definito in gergo “doppio binario” cd. cumulativo. Questo sistema, invero, non era escluso dalla direttiva comunitaria predetta che, all'art. 14, obbligava gli Stati membri a prevedere sanzioni amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate ai comportamenti, ma riconosceva loro la facoltà di disciplinare, per gli stessi fatti, anche illeciti penali.

Si comprende agevolmente come ben presto siano emerse frizioni con il divieto di bis in idem previsto dall'art. 4, prot. 7, Convenzione EDU e, in ambito euro-unitario, dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Secondo questa disposizione, infatti, “Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”.

La Corte di Giustizia dell'UE, adita con lo strumento di cui all'art. 267 T.F.U.E., con una importante decisione (CGUE, Sez. III, 23 dicembre 2009, Spector Photo Group N.V. c. CBFA), ha affermato che due diverse sanzioni possono colpire lo stesso comportamento senza ledere il principio del ne bis in idem. In particolare, è stato chiarito che «l'art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 non impone agli Stati membri di prevedere sanzioni penali nei confronti degli autori di abusi di informazioni privilegiate, ma si limita ad affermare che tali Stati sono tenuti a garantire che "possano essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a carico delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione di [tale] direttiva", essendo gli Stati membri, inoltre, tenuti a garantire che queste misure siano "efficaci, proporzionate e dissuasive"».

Il "cumulo" di sanzioni amministrative e penali, dunque, pur non imposto dal diritto dell'Unione europea, è senz'altro consentito dalla direttiva 2003/6/CE, sicché la possibile interferenza della normativa sanzionatoria degli abusi di mercato con il principio del ne bis in idem si ricollega alla stessa disciplina stabilita dal diritto dell'Unione europea. Ne deriva che l'interprete è tenuto a valutare i rimedi necessari a far fronte a violazioni di tale principio che tengano conto anche delle istanze di efficacia, proporzionalità e dissuasività della risposta sanzionatoria prescritte dal diritto dell'Unione europea.

Il caso Grande Stevens c. Italia e le diverse soluzioni prospettate

La medesima questione, successivamente, è stata posta in tema di manipolazione di mercato alla Corte EDU che, su questo tema, ha emesso una decisione che ha avuto larga eco (Corte EDU 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri c. Italia). La Corte europea ha stabilito che, all'esito di un procedimento amministrativo, erano state irrogate sanzioni che, sebbene definite amministrative, dovevano qualificarsi di natura penale in considerazione del loro rilievo afflittivo. Il successivo procedimento penale per il reato di cui all'art. 184 T.U.F., pertanto, era da ritenersi relativo agli stessi fatti, che avevano già condotto ad una prima condanna definitiva e, dunque, in grado di determinare una violazione del principio del ne bis in idem sancito dall'art. 4, prot. 7, della convenzione europea. Secondo la Corte EDU, in particolare, «la questione non è quella di stabilire se gli elementi costitutivi degli illeciti previsti siano o meno identici, ma se i fatti ascritti ai ricorrenti dinanzi alla Consob e dinanzi ai giudici penali fossero riconducibili alla stessa condotta», dovendo concludersi in quest'ultimo caso per la violazione del divieto dapprima indicato.

La sentenza della Corte EDU ha suscitato un ampio dibattito dottrinario, teso a verificarne le possibili ricadute nel diritto interno. Esse, ovviamente, non sono limitate alla materia degli abusi di mercato, ma riguardano tutti gli ambiti in cui convive un doppio binario sanzionatorio, amministrativo e penale. Al riguardo, sono state prospettate diverse soluzioni.

Un primo indirizzo ha prospettato una lettura convenzionalmente orientata dell'art. 649 c.p.p.: il divieto di un doppio giudizio contemplato da questa norma del codice di rito si applicherebbe anche nel caso di provvedimenti che, pur non essendo di natura penale, presentano tale valenza sostanziale. Quest'interpretazione, tuttavia, si pone in contrasto con la lettera della norma del codice, la quale si riferisce solo ai reati.

Un secondo orientamento sostiene la disapplicazione dell'art. 649 c.p.p., norma nazionale che limita l'area applicativa del principio del ne bis idem, per il contrasto con l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE. L'unica alternativa alla disapplicazione astrattamente prospettabile è costituita dalla proposizione di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE ai sensi dell'art. 267 T.F.U.E. per evidenziare il contrasto tra la normativa euro-unitaria in tema di divieto di secondo giudizio e le regole interne.

Una terza soluzione, infine, reputa indispensabile la proposizione di una questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p, ravvisando la violazione del parametro di cui all'art. 117 Cost. in riferimento all'art. 4, prot. 7, CEDU. Questo indirizzo, evidentemente, fa leva sull'applicazione delle sentenze della Corte Costituzionale che hanno affermato il valore di norme interposte delle disposizioni della CEDU (Corte Cost. n. 348 e n. 349/2007).

La sentenza della Corte Cost. n. 102/2016

La questione di costituzionalità è stata proposta dalla quinta sezione della penale della Corte di Cassazione (Cass. Pen., Sez. V, ord. n. 38/2015) e dalla sezione tributaria della medesima Corte (Cass., Sez. V tributaria, n. 52/2015), entrambe proprio in tema di abusi di mercato.

La Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 102/2016) ha dichiarato inammissibile la questione formulata in via principale dalla quinta sezione penale per difetto di rilevanza (si veda, sul punto: Bertolini Clerici, La Consulta sul divieto di bis in idem: inammissibilità delle questioni, in questo portale). Il giudizio penale a quo, infatti, aveva ad oggetto il reato di abuso di informazioni privilegiate di cui all'art. 184 T.U.F. L'ordinanza di rimessione, invece, riguardava l'illecito amministrativo: si chiedeva di inserire nell'art. 187-bis T.U.F. la clausola di sussidiarietà “salvo che il fatto costituisca reato”, in modo da disciplinare il concorso tra le fattispecie. La disposizione che prevede l'illecito amministrativo, tuttavia, applicata nel procedimento amministrativo di irrogazione della sanzione, non assumeva alcun ruolo nel processo penale in corso.

A quest'argomento, la Consulta ha aggiunto che un ipotetico accoglimento della questione non avrebbe impedito la prospettata violazione del diritto convenzionale: nell'ipotesi in cui la precedente sanzione amministrativa comminata dalla Consob fosse stata revocata ex art. 30, comma 4, legge n. 87/1953 in conseguenza della pronuncia della Corte costituzionale, il processo penale instaurato nei confronti dell'imputato (già sottoposto a precedente procedimento amministrativo) si sarebbe comunque dovuto celebrare e concludere, così contribuendo alla violazione dell'art. 4, prot. 7, CEDU, che vieta non già l'irrogazione di una doppia sanzione, ma la stessa celebrazione di un secondo processo per il medesimo fatto.

Anche la questione di costituzionalità dell'art. 649 c.p.p., sollevata in via subordinata dalla quinta sezione della Suprema Corte, è stata reputata inammissibile. Pure in questo caso è stato prospettato il contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost. in relazione all'art. 4. prot. 7, CEDU, nella parte in cui la disposizione impugnata non prevede «l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo per l'applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale» ai sensi della CEDU e dei suoi protocolli. La Corte Costituzionale ha rilevato che l'eventuale intervento additivo richiesto sull'art. 649 c.p.p. avrebbe avuto unicamente l'effetto di impedire la celebrazione o la conclusione di un secondo procedimento o processo per il medesimo fatto, senza però determinare alcun ordine di priorità tra sanzione penale e amministrativa. In tale modo, però, la determinazione della concreta risposta sanzionatoria deriverebbe dalla circostanza aleatoria di quale dei due procedimenti sanzionatori venga definito più celermente. La soluzione che conseguirebbe all'accoglimento della questione avrebbe insomma semplicemente impedito l'irrogazione della seconda sanzione, ma non avrebbe determinato l'inserimento nell'ordinamento di rimedio strutturale contro la prospettiva di un doppio procedimento per lo stesso fatto. Un simile rimedio potrebbe essere assicurato solo da un intervento legislativo di riforma dell'attuale sistema sanzionatorio degli abusi di mercato.

Pure la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla sezione tributaria della Cassazione è stata giudicata inammissibile. In questo caso, si trattava di un giudizio relativo all'impugnazione di sanzioni irrogate dalla Consob ai sensi dell'art. 187-ter T.U.F. per un fatto di manipolazione del mercato, per il quale i ricorrenti avevano già patteggiato una pena, divenuta nel frattempo definitiva, ai sensi della parallela disposizione incriminatrice di cui all'art. 185 T.U.F. La Corte ha ravvisato il carattere «dubitativo e perplesso» della motivazione dell'ordinanza, che non scioglieva in particolare i dubbi, se la soluzione apparentemente imposta dalla Corte EDU risultasse compatibile con gli obblighi di repressione degli abusi di mercato imposti dal diritto dell'Unione europea, «dubbi che dovevano invece essere superati e risolti per ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione sollevata».

I primi riflessi della sentenza della Corte Costituzionale nella giurisprudenza della Cassazione Penale

Qualche immediata influenza delle indicazioni provenienti dalla Corte Costituzionale si ravvisano nella giurisprudenza della Corte di Cassazione penale in tema di reati tributari, settore nel quale, com'è noto, è operante un modello sanzionatorio articolato sul cd. doppio binario.

In una decisione (Cass. Pen., Sez. III, n. 25815/2016), adottata in un procedimento relativo ad un fatto di omesso versamento dell'iva ai sensi dell'art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000 per il quale erano già state irrogate sanzioni amministrative dall'amministrazione fiscale, la Suprema Corte, richiamando la motivazione della predetta sentenza della Corte Costituzionale, ha sottolineato che «spetta innanzi tutto al legislatore stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni che tale sistema (il cd. doppio binario) genera tra l'ordinamento nazionale e la CEDU».

Nella stessa decisione, inoltre, è stata ritenuta erronea l'applicazione alla fattispecie concreta del divieto di doppio giudizio di cui all'art. 649 cod. proc. pen. Il tenore letterale di quest'ultima disposizione, unitamente al quadro sistematico in cui si colloca, secondo la pronuncia, «preclude un'interpretazione … che ne estenda l'ambito applicativo a sanzioni irrogate l'una dal giudice penale, l'altra da un autorità amministrativa».

Sempre in questa sentenza, peraltro, la Corte ha sottolineato che la questione della violazione del divieto del doppio giudizio non può essere affrontata nei casi in cui manca la prova della definitività della sanzione amministrativa. Questa stessa soluzione interpretativa, già manifestata in precedenza (cfr., Sez. III, 11 febbraio 2015, n. 19334, Andreatta, Rv. 264809), è stata espressa, anche in altre decisioni (Cass. Pen. n. 27814/2016; Cass. Pen. n. 42470/2016; Cass. Pen. n. 1376/2016; Cass. Pen. n. 38134/2016). In tutti questi casi va osservato che l'analisi della Corte si è posta esclusivamente in un'ottica processuale, relativa ai rapporti tra il procedimento amministrativo e quello penale, individuando nella mancata dimostrazione della sussistenza della definitività del provvedimento irrogativo della sanzione amministrativa il profilo che preclude di affrontare il tema del divieto del doppio giudizio. Queste decisioni, invece, non si sono confrontate con l'altro aspetto, indispensabile perché la questione abbia rilievo, rappresentato dall'apprezzamento dell'effettiva portata afflittiva delle sanzioni tributarie irrogate, cioè la loro natura sostanzialmente “penale” ai sensi dell'art. 7 CEDU. Sul punto, sovente nei ricorsi, in modo apodittico, si sostiene che «le sanzioni amministrative tributarie sono certamente afflittive e vanno qualificate come vere e proprie pene, in quanto misure aventi carattere sanzionatorio e repressivo» (Cass. n. 42470/2016, cit.).

Le questioni pregiudiziali sollevate dalla Cassazione civile

La Corte di Cassazione, Sezione tributaria, invece, ha recepito le indicazioni provenienti dalla Corte Costituzionale, formulando questione pregiudiziale di interpretazione del diritto dell'Unione con ordinanza interlocutoria n. 20675/2016, depositata il 13 ottobre 2016 (si veda, sul punto, la news: Cumulo di sanzioni nella manipolazione del mercato e ne bis in idem: rinvio alla CGUE, in questo portale). Alla Corte di Giustizia, in particolare, è stato chiesto se la mancata previsione dell'allargamento del principio del “ne bis in idem anche ai rapporti tra sanzione penale e amministrativa di natura penale sia conforme ai principi dell'Unione e, specificamente, all'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, interpretato alla luce dell'art. 4 prot. n. 7 CEDU.

Analogo rinvio alla Corte di Giustizia è stato disposto proprio in materia di abuso di informazione privilegiata dalla Corte di Cassazione, Sez. II, con ordinanza 15 novembre 2016, n. 23232.

Al riguardo, come è stato già evidenziato, deve rilevarsi che, nella materia specifica degli abusi di mercato il "cumulo" delle sanzioni amministrative e penali non è imposto, ma è consentito dalla direttiva 2003/6/CE, che mira a imporre una disciplina efficace, proporzionale e dissuasiva della risposta sanzionatoria in tema di abuso di mercato.

La successiva Direttiva comunitaria 2014/57 che, insieme al Regolamento (UE) 596/2014, ha riformulato in modo organico la disciplina comunitaria in materia di abuso di mercato, pur senza escludere la possibilità di un sistema fondato sul cd. doppio binario sanzionatorio, sembra prescrivere l'alternatività tra i due modelli. Il considerando n. 22 e quello n. 23, infatti, richiamano gli Stati membri ad adottare legislazioni che non violino il principio del ne bis in idem. In particolare, le condotte illecite commesse con dolo dovrebbero essere punite come illeciti penali, almeno nei casi gravi, mentre le sanzioni amministrative dovrebbero essere riservate alle situazioni in cui non sia comprovato il dolo o in quelli relativi agli illeciti qualificati come non gravi.

Nell'ottica del legislatore comunitario, comunque, l'incriminazione penale delle più gravi ipotesi di market abuse è essenziale ai fini di un'adeguata attuazione della politica dell'Unione europea in materia di tutela del mercato finanziario.

Il caso A. e B. contro Norvegia: una nuova definizione per la garanzia convenzionale

Nelle more di un eventuale intervento del legislatore sollecitato dalla Corte Costituzionale (per esempio in sede di attuazione della Direttiva 2014/57) e in attesa della decisione della Corte di Giustizia sui rinvii disposti dalle Sezioni civili della Corte di Cassazione, è intervenuta su questi stessi temi una nuova decisione della Corte EDU. Si allude alla sentenza del 15 novembre 2016, nelle cause n. 24130/11 e 29758/2011, A. e B. contro Norvegia, nella quale la Corte di Strasburgo ha fissato i limiti e le condizioni di legittimità del regime del doppio binario sanzionatorio alla luce del divieto di bis in idem sancito dall'art. 4, prot. 7, della Convenzione EDU.

Secondo questa decisione, non costituisce necessariamente una violazione della norma convenzionale appena indicata la previsione di norme interne che consentano di avviare, separatamente ed in modo parallelo, per la repressione del medesimo fatto-reato il procedimento penale e quello amministrativo ovvero di dare priorità nella trattazione al più grave e socialmente riprovevole aspetto concernente l'illecito penale o la frode, con la possibilità di irrogare sanzioni di tipo diverso, tra loro variamente cumulate o combinate.

E' insita in ciascun sistema processuale, infatti, la previsione di separati piani sanzionatori e non può essere suscettibile di sindacato la scelta del legislatore nazionale di prevedere un duplice binario processuale, penale ed amministrativo, per la medesima condotta illecita, intesa nel senso dello “stesso fatto” come interpretato dalla giurisprudenza della stessa Corte EDU (cfr., sul punto, Corte EDU, 27 novembre 2014, Lucky Dev contro Svezia; Corte EDU 10 febbraio 2009, Sergey Zolotukin c. Russia).

E' necessario, però, che i procedimenti si svolgano parallelamente e che siano tra loro connessi, nel senso che debba essere previsto un meccanismo di integrazione per il quale i fatti accertati in un procedimento siano considerati nell'altro.

In sostanza, i due diversi procedimenti devono essere valorizzati come facenti parte di un unico regime generale sanzionatorio. La previsione di un doppio binario sanzionatorio, con la possibilità di avviare plurimi procedimenti di diversa natura nei confronti del medesimo soggetto per lo stesso fatto, pertanto, non viola il principio del ne bis in idem di derivazione convenzionale quando in concreto si realizza una connessione tra le procedure, sia con riferimento all'identificazione del medesimo fatto, sia allo sviluppo cronologico dei procedimenti, tale che le plurime sanzioni irrogate possano essere considerate come facenti parte di un complesso sistema retributivo interno.

I primi riflessi della nuova sentenza: l'ordinanza del Tribunale di Milano del 6 dicembre 2016

Il revirement giurisprudenziale operato dalla Corte EDU è stato recepito da un recente provvedimento del Tribunale di Milano (Tribunale Milano, Sez. I, 6 dicembre 2016, anche in questo portale) che ha respinto la richiesta di adozione di una sentenza pre-dibattimentale di improcedibilità ex art. 649 c.p.p. (o, in alternativa, di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia) in un processo per il delitto di manipolazione del mercato (art. 185 T.U.F.) i cui imputati, per i medesimi fatti, erano già stati condannati dalla CONSOB alla sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 187-ter, comma 3, lett. a) e b), T.U.F. nonché alla sanzione accessoria ex art. 187-quater, comma, 1 T.U.F.

Il Tribunale, dopo aver ricostruito il mutato quadro normativo euro-unitario dopo l'introduzione della Direttiva 2014/57/UE e del Regolamento UE 596/2014 e dopo aver illustrato la predetta sentenza della Corte EDU, ha ritenuto sussistenti nella disciplina degli abusi di mercato i presupposti per l'operatività tanto delle sanzioni penali, quanto di quelle amministrative.

In particolare, è stato affermato che la duplicazione di procedimenti, essendo prevista per legge, è una conseguenza prevedibile per l'autore della condotta.

La connessione tra il procedimento penale e quello amministrativo avente per il medesimo fatto, inoltre, è evidente, perché gli elementi acquisiti nel procedimento amministrativo per mezzo dei poteri istruttori della CONSOB ex art. 187-octies T.U.F. confluiscono in quello penale, mentre nella fase preliminare dei procedimenti sono previsti scambi di informazioni tra la CONSOB e la Procura della Repubblica. Qualora il processo penale raggiunta la fase dibattimentale, poi, le relazioni dei funzionari della Consob sono utilizzabili ai fini di prova quanto al rilevamento dei dati oggettivi sull'andamento delle sedute di borsa ed al contenuto delle registrazioni delle comunicazioni telefoniche degli intermediari. Gli esiti dell'istruttoria dibattimentale, invece, possono essere valorizzati nel corso del procedimento di cui all'art. 187-septies T.U.F.

La sanzione inflitta nel procedimento che per primo giunge a conclusione, infine, rileva nel momento dell'applicazione della seconda. L'art. 187-terdecies T.U.F., infatti, assicura lo scomputo, dalla pena pecuniaria irrogata dal giudice penale, della somma già inflitta a titolo di sanzione amministrativa.

Sulla base di queste considerazioni, il Tribunale ha escluso che, nella vicenda al suo vaglio, trovasse applicazione il principio del ne bis in idem.

In conclusione

La Corte EDU, dunque, ha precisato i confini entro i quali possono essere ritenute legittime le scelte normative dei singoli Stati in tema di doppio binario sanzionatorio, dovendosi ravvisare in questo profilo l'elemento di novità di questa decisione.

La sentenza appare molto rilevante perché la Corte europea sembra aver fornito la chiave interpretativa per una lettura del divieto di doppio giudizio posto dall'art. 50 della Carta di Nizza in modo da renderlo conforme al principio del ne bis in idem espresso dall'art. 4, prot. 7, CEDU, accedendo ad una tesi che è aderente all'interpretazione di queste disposizioni fornita proprio dalla Corte di Giustizia, Sez. III, 23 dicembre 2009, Spector Photo Group N.V. c. CBFA, dapprima citata.

Il Tribunale di Milano, con l'ordinanza illustrata, ha mostrato di aver immediatamente compreso il senso della pronuncia, la quale, peraltro, richiamando parametri connotati da una certa vaghezza, non esclude la necessità di un intervento del legislatore, teso a portare una chiarezza definitiva sul tema del doppio binario sanzionatorio in materia di abusi di mercato.

Guida all'approfondimento

In dottrina sul tema: S. Giavazzi, L'abuso di informazioni privilegiate, in G. Canzio, L.D. Cerqua, L. Lupària, Diritto penale delle società, Milano, 2016, pag. 637 e ss.; C. Brusegan, Nuove frontiere in materia di insider trading: verso una regolamentazione omogenea, in Arch. pen. 2015, 1; F. Mucciarelli, L'insider trading nella rinnovata disciplina ue sugli abusi di mercato, in Società, 2016, 2, 193; F. Mucciarelli, La nuova disciplina eurounitaria sul market abuse: tra obblighi di criminalizzazione e ne bis in idem, in Dir. pen. contemp.; F. Viganò, La Grance Camera della corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, in Dir. pen. contemp. 18 novembre 2016; A.F. Tripodi, Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L'Italia condannata per la violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione del mercato, in Dir. pen. contemp., 9 marzo 2014;

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