Intermediari finanziari al bivio tra “bancarizzazione” e “deregulation”

11 Dicembre 2015

Il presente contributo intende inserirsi nell'acceso dibattito attualmente in corso in molti consigli di amministrazione di intermediari finanziari operanti nel settore dell'acquisto di crediti non-performing, relativamente al proprio posizionamento in un momento di rapido (e, per certi versi, radicale) cambiamento del quadro normativo di riferimento.
Premessa

Il presente contributo intende inserirsi nell'acceso dibattito attualmente in corso in molti consigli di amministrazione di intermediari finanziari operanti nel settore dell'acquisto di crediti non-performing, relativamente al proprio posizionamento in un momento di rapido (e, per certi versi, radicale) cambiamento del quadro normativo di riferimento.

Invero, il susseguirsi nel volgere di pochi mesi di alcuni importanti provvedimenti normativi ha ridefinito profondamente l'assetto del settore dell'intermediazione finanziaria, con particolare riferimento all'esercizio nei confronti del pubblico dell'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma.

L'assetto del settore dell'intermediazione finanziaria

Senza necessità di tracciare in questa sede l'excursus storico più risalente, ci si vuole soffermare su quello che può essere considerato l'impianto per così dire “di partenza” su cui si sono innestate le recenti riforme. Fino a non molti mesi fa il sistema si presentava fondamentalmente distribuito su due poli.

Da un lato, il c.d. “polo bancario” costituito da intermediari di natura bancaria (vale a dire banche italiane, banche comunitarie con succursali in Italia o operanti in regime di libera prestazione di servizi, banche extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia con o senza succursali, e infine società finanziarie controllate da banche italiane o extracomunitarie), soggetti ad una normativa prudenziale e di vigilanza stringente.

Dall'altro lato, il c.d. “polo finanziario” costituito dagli intermediari finanziari iscritti all'elenco generale degli intermediari finanziari tenuto ai sensi dell'art. 106 TUB (ante riforma) dalla Banca d'Italia, soggetti anch'essi alla vigilanza di quest'ultima, ma non a particolari requisiti di capitale di vigilanza.

Nel mezzo – se così si può dire – gli intermediari finanziari che, per l'intervenuto superamento di alcune soglie quantitative (volume di attività finanziaria pari o superiore a € 104 milioni) ovvero per la tipologia di attività esercitata (così, ad esempio, i soggetti incaricati della riscossione dei crediti ceduti e dei servizi di cassa e pagamento previsti dall'art. 2 della legge 30 aprile 1999, n. 130 - ante riforma), risultavano iscritti all'elenco speciale degli intermediari finanziari tenuto ai sensi dell'art. 107 TUB (ante riforma) dalla Banca d'Italia e assoggettati ad una normativa di vigilanza e prudenziale “para-bancaria”, sebbene attenuata. A latere, alcune eccezioni di portata circoscritta, quale ad esempio la possibilità per le società di cartolarizzazione dei crediti costituite ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130 di acquistare crediti (attività che rientra per tabulas nella sfera della concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma) ai soli e precipui fini della realizzazione di un'operazione di cartolarizzazione ai sensi della predetta legge.

L'intervento legislativo: la bancarizzazione degli intermediari finanziari e il direct lending

Il recente processo di riforma si è articolato lungo due direttrici di fondo.

Per un verso, si è assistito ad una “bancarizzazione” degli intermediari finanziari ad opera del D. Lgs. 13 agosto 2010, n. 141 che ha disposto il superamento della tradizionale ripartizione tra intermediari finanziari ex art. 106 TUB (ante riforma) e intermediari finanziari ex art. 107 TUB (ante riforma), istituendo l'albo unico di cui all'art. 106 TUB (testo post riforma) e prevedendo il loro assoggettamento a forme di vigilanza (anche prudenziale) assimilabili a quelle degli operatori bancari.

Per altro verso, al fine di ampliare le fonti di erogazione del credito nel contesto di un sistema bancario indebolito dalla crisi economica e finanziaria degli ultimi anni, si è superata la tradizionale impostazione “banco-centrica” del sistema finanziario italiano ammettendo e promuovendo (seppur nel contesto di una cornice normativa non ancora compiutamente definita) l'intervento di nuovi soggetti nel settore del direct lending alle imprese, anche grazie all'estensione di alcuni benefici fiscali tradizionalmente riconosciuti solo alle banche. È proprio ad esito di tale ampliamento che soggetti prima - per così dire – inediti, quali i fondi di investimento, le imprese assicurative e le società per la cartolarizzazione dei crediti, risultano oggi autorizzati ad erogare in Italia finanziamenti alle imprese. Si veda, sul punto, l'art. 22, comma 6, lett. f), d.l. 24 giugno 2014, n. 91 (convertito in legge 11 agosto 2014, n. 116) che, introducendo all'art. 7 della legge 30 aprile 1999, n. 130 i commi da 2-quater a 2-septies ha ammesso che le società di cartolarizzazione dei crediti possano, a certe condizioni, svolgere attività di direct lending. Invero, la legge 30 aprile 1999, n. 130 già ante riforma prevedeva all'art. 7, comma 1, lett. a), la possibilità per le società di cartolarizzazione dei crediti di erogare finanziamenti, ma ciò solo nel contesto di un'operazione di cartolarizzazione di crediti quale alternativa alla loro cessione. Per un'ampia disamina di tale fattispecie (che peraltro, ad avviso di chi scrive, continuerebbe a trovare applicazione anche nel rinnovato quadro normativo), si veda N. Pepe, La cartolarizzazione dei crediti futuri mediante finanziamento destinato ad uno specifico affare, in Contratto e Impresa, Padova, a. 27 n. 6, 2011, 1460 ss.

Queste due direttrici e, quindi, il sistema che da esse emerge, potrebbero apparire a prima vista tra loro incoerenti in quanto ad una “bancarizzazione” degli intermediari finanziari, da un lato, si associa una “liberalizzazione” del mercato del credito a favore di soggetti non bancari, dall'altro.

A ben vedere, peraltro, questa incoerenza è soltanto apparente. A nostro avviso, infatti, l'architettura complessiva che risulta dal nuovo sistema presenta due tipologie di operatori: da un lato, i “generalisti”, ossia banche e intermediari finanziari, i quali godono di un ampio spazio di operatività, e, dall'altro, gli “specialisti” (fondi di investimento, imprese assicurative e società per la cartolarizzazione dei crediti), in grado di concedere anch'essi finanziamenti, ma solo a soggetti che non si qualifichino come persone fisiche o micro-imprese; entrambi, però, “generalisti” e “specialisti”, comunque soggetti direttamente o indirettamente a forme di vigilanza (nella maggior parte dei casi anche prudenziale) da parte di autorità domestiche o straniere, in ciò potendosi ravvisare il punto di convergenza delle due direttrici sopra richiamate.

È proprio da quest'ultima considerazione che emerge l'assoluta eccentricità, rispetto alla nuova impostazione di sistema, della previsione contenuta nel recente Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze (D.M. 2 aprile 2015, n. 53, “Regolamento recante norme in materia di intermediari finanziari in attuazione degli articoli 106, comma 3, 112, comma 3, e 114 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché dell'articolo 7-ter, comma 1-bis, della legge 30 aprile 1999, n. 130”) volta a permettere alle società titolari della licenza per l'attività di recupero stragiudiziale di crediti ai sensi dell'art. 115 TULPS, l'esercizio dell'attività finanziaria, seppur nei ristretti limiti dell'acquisto di crediti “non performing” e subordinatamente al rispetto di certe condizioni (cfr. art. 2, comma 2, lett. (b), del D.M. 2 aprile 2015, n. 53).

Si tratta di una novità che assume un particolare rilievo (oltre che, ovviamente, per le società di recupero stesse) per quegli intermediari finanziari tradizionalmente attivi, in via prevalente, nel settore dell'acquisto di crediti non performing, per i quali si pone oggi l'alternativa tra richiedere l'iscrizione al nuovo albo unico degli intermediari finanziari ex art. 106 TUB (post riforma) ovvero astenersi dal richiedere tale iscrizione, modificare il proprio oggetto sociale (escludendo la possibilità di svolgere attività finanziaria riservata) e, quindi, trasformarsi in una società per il recupero stragiudiziale dei crediti ottenuta la licenza di cui all'art. 115 TULPS.

Le novità per gli intermediari finanziari nel settore dell'acquisto di crediti non perfoming

È proprio in tale contesto che il presente contributo si propone di condurre all'indomani dell'adozione del decreto ministeriale una prima analisi di alcuni aspetti giuridici della nuova fattispecie introdotta dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, che possa fornire un ausilio tecnico alle valutazioni anche di ordine commerciale che i management dei predetti intermediari finanziari stanno già attualmente svolgendo.

Ai fini di un agevole inquadramento della materia è opportuno, ad avviso di chi scrive, partire innanzitutto dalla disciplina contenuta nel D.M. 2 aprile 2015, n. 53 che, in via di eccezione, esclude dall'attività di concessione di finanziamenti oggetto di riserva di legge, “l'acquisto, a titolo definitivo, di crediti da parte di società titolari della licenza per l'attività di recupero stragiudiziale di crediti ai sensi dell'articolo 115 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza quando ricorrono le seguenti condizioni:

1) i crediti sono acquistati a fini di recupero e sono ceduti da:

  1. banche o altri intermediari finanziari sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia, i quali li hanno classificati in sofferenza, ovvero
  2. soggetti diversi da quelli indicati al punto i), purché si tratti di crediti vantati nei confronti di debitori che versano in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, secondo quanto accertato dai competenti organi sociali; non rileva, a tal fine, l'esistenza di garanzie reali o personali;

2) i finanziamenti ricevuti da terzi dalla società acquirente non superano l'ammontare complessivo del patrimonio netto;

3) il recupero dei crediti acquistati avviene senza la stipula di nuovi contratti di finanziamento con i debitori ceduti, la novazione di quelli in essere, la modifica delle condizioni contrattuali; non rilevano a tali fini l'estinzione anticipata e la posticipazione dei termini di pagamento.”.

Già dall'esame del dato testuale sembrano potersi trarre alcuni elementi qualificanti del tipo di operatività prefigurata dalla normativa regolamentare in questione.

Seguendo la successione degli enunciati giuridici in cui si articola il dettato oggetto di analisi, sembra potersi affermare che la deroga in argomento trovi applicazione a condizione che la società per il recupero stragiudiziale dei crediti si astenga da qualsiasi successiva attività di trading sui crediti acquistati. Ciò si evincerebbe con sufficiente chiarezza dal fatto che i crediti debbano essere acquistati “a fini di recupero” (cfr. n. 1). In tal senso potrebbe altresì deporre la locuzione che, in apertura della disposizione, qualifica (con formulazione invero atecnica) l'acquisto effettuato in deroga alla riserva di attività finanziaria, come “acquisto a titolo definitivo” (a meno di voler intendere tale precisazione quale ulteriore limitazione delle fattispecie alle sole cessioni di credito pro-soluto). In quest'ultimo senso deporrebbe il commento contenuto nella relazione di accompagnamento al Disegno di Legge n. 1253 recante disposizioni in materia di recupero del credito per conto di terzi, che riproponeva l'uso della locuzione “acquisto a titolo definitivo” nell'ambito di un testo sostanzialmente analogo a quello poi confluito nell'art. 2, comma 2, lett. (b), del D.M. 2 aprile 2015, n. 53.

Altro aspetto (forse ancor più) qualificante della fattispecie risulta senz'altro essere quello che emerge dalla formulazione impiegata per identificare la tipologia di crediti che può essere oggetto di acquisto da parte delle società per il recupero stragiudiziale. In sostanza, quasi come in una endiadi, il tipo di attivi sottostanti l'acquisto (crediti in sofferenza di origine bancaria o para-bancaria – si pensi, in quest'ultimo senso, all'attività di credito al consumo spesso e volentieri esercitata da intermediari finanziari specializzati -, da un lato, e insoluti commerciali, dall'altro) è messo in stretta correlazione con il soggetto cedente che, a seconda dei casi, li ha classificato in sofferenza o ha accertato lo stato d'insolvenza dei relativi debitori. La previsione precisa che l'esistenza di garanzie reali o personali non costituisce elemento di rilevanza a fini regolamentari (i.e. quale discrimine tra attività riservata e non). Peraltro, per completezza di esposizione, sembra opportuno rilevare come – di fatto – l'acquisto di attivi ipotecari da parte delle società di recupero stragiudiziale potrebbe essere disincentivato dai rilevanti costi fiscali associati con il trasferimento della garanzia. A tal riguardo la portata delle recenti modifiche apportate dall'art. 22 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 116) agli artt. 15 e ss. del DPR 601/73 in materia di imposta sostitutiva sulle operazioni di finanziamento a medio-lungo termine non risulta essere ancora stata testata. Occorre, infatti, verificare se, alla luce del dichiarato intento di tale intervento di estendere l'ambito di applicazione del regime agevolativo anche alle successive cessioni del credito derivante dal finanziamento “in sostitutiva”, l'Agenzia delle Entrate muterà il proprio indirizzo che richiede la sussistenza del requisito dell'inerenza della cessione rispetto all'originaria operazione di finanziamento, requisito di cui è incerta la ricorrenza nel caso di cessioni dei crediti in sofferenza.

In relazione a tale previsione, la nota di commento della Redazione UNIREC del 31 luglio 2015 (pubblicata sul sito www.unirec.it) ha ritenuto che “la norma richiam[i] implicitamente i casi della procedura del concordato in bianco e delle altre procedure fallimentari”. Tuttavia, un approccio conservativo suggerirebbe di seguire il parallelismo con i criteri previsti per la classificazione di tali esposizioni da parte dei soggetti tenuti alle segnalazioni statistiche, e pertanto verificare in base a questa prospettiva se e quali di queste procedure possano dare luogo ad una classificazione “in sofferenza”. Tale approccio si fonda sulla considerazione che l'inciso “[debitori che versano] in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili” dell'art. 2, comma 2, lett. b), n. 1, par. (ii), del D.M. 2 aprile 2015, n. 53, è mutuato dalla previsione della Circolare n. 272 del 30 luglio 2008, “Matrice dei conti” di Banca d'Italia che regola il presupposto per la classificazione della relativa esposizione “in sofferenza”. Coerentemente, quindi, la tipologia di attivo che può essere oggetto di acquisto dovrebbe essere la medesima, a prescindere dal soggetto originator.

Il portato di tutto questo sembra essere, seguendo una interpretazione letterale, un'ulteriore importante limitazione a questa nuova operatività delle società di recupero, e cioè che la cessione a loro favore possa essere effettuata solo da parte dei soggetti originator dei crediti ceduti (con esclusione di qualsiasi acquisto sul c.d. “mercato secondario”).

Proseguendo nella disamina del testo, la condizione di cui al n. 2) fissa un massimale all'indebitamento della società acquirente. Se a prima vista tale condizione potrebbe essere intesa come un requisito di adeguata patrimonializzazione della stessa al fine di assicurarne la stabilità finanziaria (in possibile analogia con la regolamentazione prudenziale degli intermediari vigilati), a ben vedere – considerati gli angusti limiti del massimale stesso – essa potrebbe giustificare una diversa lettura. Come è stato già opportunamente notato (A. Parziale, Società di recupero stragiudiziale del credito: una nuova opportunità di investimento?, 25 giugno 2015, in www.fchub.it), infatti, in continuità con i vincoli già esaminati nei precedenti paragrafi, la ratio della limitazione ai finanziamenti di terzi alla società acquirente è da ricondurre, con ogni probabilità, all'esigenza di evitare una eccessiva “finanziarizzazione” del soggetto, e quindi una sostanziale assimilazione della società di recupero ad un intermediario finanziario.

A quest'ultimo aspetto si ricollegano, poi, alcune considerazioni di ordine fiscale riguardanti la possibilità per la società di recupero acquirente di dedurre gli interessi passivi dalla propria base imponibile IRES. Come noto, in deroga al regime generale (che prevede la deducibilità per l'intero della quota parte di interessi passivi che trova copertura negli interessi attivi e, per la parte eccedente di interessi attivi, nella misura di una quota pari 30% del risultato operativo lordo (ROL)), l'art. 96, comma 5-bis, TUIR ha introdotto per le banche, gli altri soggetti finanziari ex art. 1 del D.Lgs. n. 87/1992 (peraltro recentemente abrogato dal d.lgs. n. 136/2015, senza che sia stato ancora chiarito l'impatto di tale abrogazione sulle disposizioni di altri atti normativi contenenti rimandi a disposizioni del decreto abrogato), tra cui gli intermediari finanziari e le società finanziarie ex art. 59, comma 1, lett. (b), del TUB, cui vanno aggiunte anche le imprese di assicurazione e le società capogruppo di gruppi bancari e assicurativi, una disciplina speciale per la deducibilità degli interessi passivi, che prevede, per tali oneri, una soglia di deducibilità pari al 96% del relativo ammontare. Allo stato, anche tenuto conto dell'orientamento restrittivo sinora espresso dall'Agenzia delle Entrate in alcuni suoi provvedimenti (risoluz. 268/E del 03-07-2008 e Circ. 19/E del 21/04/2009, secondo cui l'elenco dei soggetti esclusi dall'ambito della disciplina ordinaria in materia di deducibilità degli interessi passivi è tassativo e quindi non suscettibile di estensione a soggetti che svolgono attività assimilabili a quelle dei predetti soggetti), appare quanto meno dubbio che le società di recupero possano beneficiare della disciplina speciale sebbene non si possa escludere che in futuro l'autorità fiscale possa procedere ad aperture in tal senso anche solo limitatamente a quei soggetti che svolgano l'attività di acquisto di crediti in via prevalente. Questo limite, peraltro, potrebbe comunque essere superato, almeno in parte, mediante l'impiego di alcune tipologie di strumenti di debito partecipativi.

Da ultimo, pare opportuna una breve considerazione sulla condizione di cui al n. 3) della previsione in commento. Si tratta, nella sostanza, di una cautela volta a ribadire un limite in verità già insito nella natura stessa dell'attività di recupero (cfr. n. 1), e cioè che essa non potrà trasformarsi in una surrettizia attività di nuovo lending nei confronti del debitore ceduto.

Conclusioni

Alla luce di quanto precede, il nuovo regime derogatorio alla riserva di attività finanziaria introdotto dall'art. 2, comma 2, lett. b), del D.M. 2 aprile 2015, n. 53 sembra riconoscere quale proprio antefatto socio-economico l'operatività tipica delle società di recupero stragiudiziale dei crediti (vale a dire quelle aziende di servizi per la tutela del credito a cui piccole, medie e grandi imprese, banche, utilities e pubbliche amministrazioni centrali e locali affidano prioritariamente i propri crediti insoluti) al fine di dotarle di un nuovo strumento, l'acquisto del credito per l'appunto, nello svolgimento della loro attività, in continuità con tale presupposto e senza snaturarne l'originaria operatività.

D'altro canto, il tenore letterale della previsione in commento non sembra escludere la possibilità che soggetti diversi dai destinatari immediati della disciplina, quali ad esempio gli stessi intermediari finanziari iscritti all'elenco generale di cui all'art. 106 TUB (ante riforma), possano operare con le forme e modalità indicate dalla nuova disciplina nell'ottica del contenimento dei costi fissi (in primis, quelli di compliance) ma il tutto al prezzo di una significativa riduzione del loro perimetro di operatività. In questo esercizio di analisi comparativa di costi e benefici vale notare che l'impiego di strutture di cartolarizzazione potrebbe in effetti conciliare il superamento di certe rigidità della nuova normativa con l'esigenza di contenimento dei costi ma sempre nel rispetto dei vincoli cui quelle stesse strutture sono soggette (primariamenteil fatto che non possono essere utilizzare perfare “trading” su crediti), laddove l'opzione alternativa (l'iscrizione al nuovo albo unico degli intermediari finanziari ex “nuovo” art. 106 del TUB) permetterebbe un'operatività ancora più ampia rispetto a quella sinora conosciuta da quegli stessi intermediari (acquisti in blocco ex art. 58 del TUB, assunzione del ruolo di servicer in operazioni di cartolarizzazione del gruppo o per terzi, utilizzo di società costituite per singole operazioni di raccolta o di impiego ex art. 3, comma 2, lett. f), del D.M. 2 aprile 2015, n. 53).

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