Trasferimento d’azienda anteriore al fallimento e retrocessione dei lavoratori

Riccardo Girotto
10 Dicembre 2015

Firmare un verbale di incontro ex art. 47 L. 428/90, in cui il concedente dichiara che tutti i rapporti di lavoro si intendono retrocessi da una data diversa dalla data della sentenza di fallimento, come previsto dalla normativa fallimentare, può nuocere o causare danni patrimoniali di qualsiasi genere all'amministrazione fallimentare, ovvero esiste la remota possibilità che l'Inps richieda i contributi o quant'altro alla procedura per il periodo successivo alla sentenza di fallimento fino alla data indicata dal concedente?

Firmare un verbale di incontro ex art. 47 L. 428/90, in cui il concedente dichiara che tutti i rapporti di lavoro si intendono retrocessi da una data diversa dalla data della sentenza di fallimento, come previsto dalla normativa fallimentare, può nuocere o causare danni patrimoniali di qualsiasi genere all'amministrazione fallimentare, ovvero esiste la remota possibilità che l'Inps richieda i contributi o quant'altro alla procedura per il periodo successivo alla sentenza di fallimento fino alla data indicata dal concedente? Inoltre, è obbligatorio firmare un accordo ex art. 47 cit., o l'amministrazione fallimentare può ritenere chiusa la procedura di retrocessione dei dipendenti dalla data della sentenza di fallimento, anche a prescindere dalla firma di tale documento? Infine, quali dovrebbero essere i passaggi tecnici che la curatela deve attuare affinché non vi siano contenziosi futuri in merito alla retrocessione dei dipendenti dalla data della sentenza di fallimento, in ossequio alla legge fallimentare?

Il quesito sembrerebbe evidenziare un caso di trasferimento d'azienda (o di ramo di essa) tra due società in bonis, disciplinato da un accordo ex art. 47, comma 1, L. n. 428/90, il quale prevede la piena applicazione dell'art. 2112 c.c. Si presume, dunque, si tratti di affitto d'azienda, stipulato prima della data del fallimento con termine di scadenza successivo a quest'ultima (procedura eso-fallimentare). Posta di conseguenza l'esistenza di una sentenza dichiarativa di fallimento, il curatore, attraverso lo spossessamento, avrà due possibilità:
1) proseguire con il contratto d'affitto stipulato ante fallimento fino alla data di scadenza preventivata nell'accordo stesso, continuando ad applicare obbligatoriamente l'articolo 2112 c.c. ai dipendenti trasferiti, e quindi mantenendo valido l'accordo ex art. 47 firmato in bonis (art. 47, comma 1, L. 428/90);
2) verificare, avendone la possibilità concessa dall'art. 79 della legge fallimentare, se recedere dal contratto d'affitto ed eventualmente riformulare un nuovo accordo ex art. 105, comma 3, l. fall.

Nell'ipotesi di cui al punto 2) ci si riferisce, infatti, a quanto sancito all'art. 79 l. fall., il quale specifica che “il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto di azienda” e che “entrambe le parti possono recedere entro 60 giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo”.
Oltre a quanto evidenziato in precedenza, si possono rilevare altri casi per cui è possibile applicare, in modo differente da quanto visto in precedenza, l'art. 47 l. 428/90. Infatti, nella specifica dinamica di una retrocessione che avvenga dopo la sentenza di fallimento, le conseguenze per la curatela relativamente ai crediti vantanti dai dipendenti verso l'affittuario dipendono dall'applicazione totale, che deroga in parte o totalmente all'art. 2112 c.c. così come disposto ai commi 1, 4-bis e 5 dell'art. 47 della legge 428/90.

Nello specifico, le disposizioni di cui sopra descrivono e disciplinano le seguenti ipotesi:
Art. 47, comma 4-bis: si prevede parziale deroga all'art. 2112 c.c. per salvaguardare maggiormente l'integrità dell'azienda.
Tale comma verrà applicato solo in seguito ad un accordo circa il mantenimento (anche parziale) dell'occupazione, qualora il trasferimento riguardi aziende che si trovano in situazione di crisi aziendale (che dev'essere certificata), amministrazione straordinaria, apertura di concordato preventivo ed accordo di ristrutturazione dei debiti.
Art. 47, comma 5: si prevede totale deroga all'art. 2112 c.c.; la disposizione si applica nei confronti di aziende sottoposte a fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione di beni e in caso di liquidazione coatta amministrativa.
Inoltre, si ricorda, che nel caso di una procedura di trasferimento endo-fallimentare si potrà applicare l'art. 104-bis l. fall. il quale afferma che “La retrocessione al fallimento di aziende, o rami di aziende, non comporta la responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli articoli 2112 e 2560 del codice civile”. Tale deroga all'art. 2112 del c.c. riguarda solamente il comma 2, ossia la disciplina della responsabilità solidale tra cedente e cessionario: in questa circostanza essa viene meno in virtù del suddetto articolo.

L'art. 11, comma 2, del D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito dalla legge n. 9/2014, stabilisce che "Nel caso di affitto o di vendita di aziende, rami d'azienda o complessi di beni e contratti di imprese sottoposte a fallimento, concordato preventivo, amministrazione straordinaria o liquidazione coatta amministrativa, hanno diritto di prelazione per l'affitto o per l'acquisto le società cooperative costituite da lavoratori dipendenti dell'impresa sottoposta alla procedura”.
Infatti, dottrina maggioritaria sostiene che tale disposizione possa essere applicata solo per procedimenti endo-fallimentari, mentre dottrina minoritaria ritiene che l'art. 104-bis possa essere applicato in entrambi i casi: sia di fronte ad una procedura eso-fallimentare che endo-fallimentare.

Per quanto concerne la questione dei contributi INPS, si può anzitutto richiamare l'art. 2116 c.c. dal quale si evince che il rapporto versamento-riscossione contributi intercorre fra il datore di lavoro e l'Istituto di Previdenza Sociale, e, pertanto, l'INPS si pone quale soggetto terzo rispetto alle previsioni di cui all'art. 2112 c.c. poiché quest'ultimo tratta soltanto i crediti del lavoratore (soggetto quindi estraneo al rapporto contributivo INPS - azienda) verso il datore di lavoro. Infatti, si può affermare, come da giurisprudenza consolidata (fra le altre, Cass. n. 8179/2001), che in presenza di trasferimento d'azienda, i debiti contratti dal cedente o dal cessionario nei confronti dell'Ente Previdenziale non soggiacciono a responsabilità solidale.
Nel caso specifico, i contributi riguardanti il periodo successivo la dichiarazione di fallimento saranno a carico del cessionario, senza che vi sia possibilità di riscossione in capo al cedente per l'eventuale relativo mancato versamento.

Infine, per quel che riguarda i quesiti inerenti:
1) l'obbligatorietà della firma di un accordo ex art. 47 al fine di far ritenere la procedura di retrocessione dei dipendenti alla data di fallimento: non sussiste necessità di firma di un verbale di accordo ex art. 47, ma comunque vi è l'obbligo di comunicazione del trasferimento alle organizzazioni sindacali nei termini e modalità di cui all'articolo citato. Tuttavia, come ricordato, la sentenza di fallimento non comporta l'automaticità del recesso del contratto d'affitto con contestuale retrocessione;
2) i passaggi tecnici da attuare affinché non vi siano contenziosi futuri: il curatore, avendo la facoltà di cui all'art. 79 l. fall., potrà far cessare il trasferimento con contestuale cessazione dei dipendenti, ed in seguito stipulare un altro accordo ex novo con lo stesso o con un nuovo affittuario. Questa disciplina permette al curatore di tutelarsi verso i debiti sorti successivamente a tale data di stipula, poiché, in questo modo, si potrà applicare l'art. 104-bis l. fall. che, in caso di trasferimento endo-fallimentare, non comporta la responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione.