Il discrimine tra amministratore e lavoratore subordinato a fini fiscali

Alessandro Corrado
12 Novembre 2015

La qualità di componente del consiglio di amministrazione di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato alle dipendenze della medesima società solo ove sia accertata l'attribuzione di mansioni diverse da quelle rientranti nel mandato di amministratore e l'assoggettamento all'effettivo potere direttivo, di controllo e disciplinare.
Massima

La qualità di componente del consiglio di amministrazione di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato alle dipendenze della medesima società solo ove sia accertata l'attribuzione di mansioni diverse da quelle rientranti nel mandato di amministratore e l'assoggettamento all'effettivo potere direttivo, di controllo e disciplinare. Al ricorre di tali due condizioni, i costi sostenuti dalla società per la retribuzione da lavoro dipendente sono deducibili ex art. 95, comma 1, TUIR.

Il caso

La vicenda riguarda una società cui l'Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento contestando la presunta indeducibilità dei costi sostenuti dalla stessa per la retribuzione del lavoro subordinato di un dipendente, il quale rivestiva altresì il ruolo di componente del consiglio di amministrazione della medesima società.

Con sentenza n. 92/10/08, confermando la sentenza di prime cure, la Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia rigettava l'appello e sanciva la deducibilità dei costi sostenuti dalla società per la retribuzione da lavoro dipendente di un soggetto che ricopriva altresì la carica di amministratore nell'ambito della stessa società.

La Commissione escludeva così la violazione del principio di inerenzaart. 109, comma 5, TUIR -, sulla base del fatto che l'ulteriore attività svolta dal componente del consiglio di amministrazione era «direttamente collegata all'attività societaria e volta alla produzione di reddito, cogliendo la questione in punto inerenza dell'attività svolta nell'interesse della società».

Avverso tale decisione l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.

Con il primo motivo del ricorso, censurava la decisione per aver affermato la piena deducibilità di emolumenti corrisposti all'amministratore delegato di una società, i quali sarebbero al contrario indeducibili in virtù del principio di necessaria inerenza di tutti i costi, nonché dei principi in materia di deducibilità delle spese di lavoro dipendente.

Con il secondo motivo denunciava, invece, omessa motivazione per non aver la sentenza impugnata preso in considerazione la questione della prova del rapporto di subordinazione tra la società contribuente ed il proprio amministratore.

La questione e la decisione

In tema di imposte sui redditi e con riferimento alla determinazione del reddito d'impresa, la questione dell'ammissibilità di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato nell'ambito della compagine sociale è disciplinata dall'art. 95 del D.P.R. 917/86 (c.d. TUIR), dovendosi ricomprendere nella suddetta disposizione anche la questione della compatibilità della posizione di componente il consiglio di amministrazione di una società di capitali con quella di lavoratore subordinato alla dipendenze della medesima società, tenendo in debita considerazione che gli aspetti fiscali sono una diretta conseguenza dei profili organizzativi e funzionali che la società si attribuisce.

Pertanto, sebbene la nomina di un lavoratore dipendente quale amministratore di società sia sempre possibile dal punto di vista del diritto societario e giuridicamente valida, vi sono circostanze in cui la stessa può far insorgere problematiche fiscali in capo alla società: l'accertamento dell'insussistenza del vincolo di subordinazione, ed il conseguente venir meno della qualifica di lavoratore subordinato in capo all'amministratore, determina l'illegittima deduzione della relativa retribuzione ex art. 95, comma 1, TUIR.

Tale ultima disposizione sancisce, infatti, la deducibilità dal reddito della società delle spese sostenute per prestazioni di lavoro dipendente. Pertanto, il vincolo di subordinazione, quale imprescindibile elemento costitutivo del rapporto di lavoro dipendente, costituisce il presupposto per l'applicazione dell'art. 95 TUIR per la deduzione del relativo costo.

Da quanto appena esposto, si comprende come sia di centrale importanza la corretta delimitazione delle ipotesi in cui l'amministratore/lavoratore dipendente possa mantenere la qualifica di lavoratore subordinato nonostante l'attribuzione di funzioni amministrative e gestorie.

Infatti, come statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, «stabilita la compatibilità giuridica astratta tra le funzioni del lavoratore dipendente e quelle di amministratore di una società, la sussistenza di un simile rapporto deve essere verificata in concreto, essendo indispensabile, da una parte, accertare l'oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico, dall'altra, la ricorrenza della subordinazione».

Emerge dunque come la compatibilità della qualità di componente il consiglio di amministratore con la qualifica di lavoratore subordinato alle dipendenze della medesima società sia subordinata al ricorrere in concreto di due condizioni, che dovranno verificarsi contemporaneamente: l'attribuzione di funzioni, rispettivamente quale amministratore e quale lavoratore dipendente, diverse ed estranee tra loro (così Cass. 329/2002; Cass. 5418/1996; Cass. 5944/1991), nonché la sussistenza del vincolo di subordinazione, ossia l'assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare di un superiore gerarchico (si veda in proposito Cass. 13009/2003, richiamata dalla sentenza in commento; Cass. 5418/1996).

Ratio della prima condizione è di escludere la commistione tra le diverse funzioni attribuite in capo allo stesso soggetto nell'ambito della medesima compagine sociale.

Ne consegue che le funzioni attribuite in forza del rapporto di lavoro dipendente instaurato con la società devono essere estranee e diverse a quelle esercitate in forza del mandato di amministratore (Cass. 5944/1991), giustificando così la sussistenza, in capo al medesimo soggetto, di due distinti rapporti con la società, quello di amministratore e quello di lavoratore dipendente.

Tale separazione, tra le attività svolte quale lavoratore subordinato e le funzioni rientranti nel mandato di amministrazione, deve essere evidente e provata. Il relativo onere della prova è a carico della società, la quale, al fine di evitare i costi derivanti dall'indeducibilità della retribuzione da lavoro dipendente, deve essere in grado di dimostrare l'attribuzione di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita (Cass. 329/2002, richiamata dalla sentenza in commento).

Per quanto riguarda invece la seconda condizione, il vincolo di subordinazione rappresenta un essenziale elemento costitutivo del rapporto di lavoro dipendente: il venir meno del vincolo di subordinazione, in seguito alle funzioni attribuite in forza della carica di amministratore, determina necessariamente l'impossibilità di qualificare l'amministratore altresì quale lavoratore dipendente e la conseguente impossibilità per la società di dedurre i relativi costi.

Così la Suprema Corte (Cass. 5418/1996) ha affermato che «per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato fra un membro del consiglio d'amministrazione di una società di capitali e la società stessa è necessario che colui che intenda far valere tale tipo di rapporto fornisca la prova della sussistenza del vincolo di subordinazione e cioè l'assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società nel suo complesso, nonostante la suddetta qualità di membro del consiglio d'amministrazione».

Pertanto, la cumulabilità della qualifica di amministratore e dipendente è da escludersi in tutti i casi in cui non sia configurabile una volontà imprenditoriale che si formi in modo autonomo rispetto al dipendente (in tal senso Cass. 7562/1983), ossia in tutte le ipotesi in cui manchi l'assoggettamento a effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare.

A tal riguardo, la giurisprudenza (si veda Cass. 24188/2006; Cass. 13009/2003) ha individuato – a titolo meramente esemplificativo – una serie di ipotesi in cui vi è sicuramente incompatibilità tra la qualità di membro del consiglio di amministrazione e la qualifica di lavoratore subordinato: amministratore unico; amministratore delegato (con ampi poteri); presidente del consiglio di amministrazione.

Sono queste ipotesi accumunate dal fatto che la carica amministrativa è tale da rendere evanescente la posizione di subordinazione. Infatti, tali soggetti, esprimendo la volontà propria della società, così come i poteri di controllo, di comando e di disciplina, in veste di lavoratori sarebbero subordinati di se stessi, cosa che non è giuridicamente possibile.

Nel caso di specie, la Suprema Corte – confermando la sentenza d'appello – ha confermato la deducibilità dei costi sostenuti dalla società per la retribuzione del lavoro dipendente prestato da un soggetto che rivestiva altresì la carica di componente del consiglio di amministrazione, ravvisando la ricorrenza delle due condizioni suesposte e riconoscendo, pertanto, la compatibilità, nel presente caso, della qualità di amministratore e di lavoratore subordinato alle dipendenze della medesima società.

Osservazioni

Tanto premesso, è da ritenersi pienamente condivisibile l'orientamento giurisprudenziale sopra delineato, il quale, una volta sancita la compatibilità giuridica astratta tra le funzioni di amministratore e di lavoratore dipendente, richiede la verifica effettiva della sussistenza in concreto del rapporto di lavoro dipendente.

Verifica questa che viene affidata a due condizioni oggettive – l'attribuzione di funzioni diverse e la sussistenza del vincolo di subordinazione -, che non lasciano adito a dubbi e spazio ad interpretazioni creative.

Tali due condizioni non sono da intendersi quale criterio ex post di verifica della compatibilità delle due funzioni – di amministratore e di lavoratore subordinato -, bensì quale linea guida ex ante per delineare correttamente i rapporti che i diversi soggetti intrattengono con la società, in modo tale da evitare gli ingenti costi derivanti da un accertamento successivo.

Infatti, l'attenzione nella definizione delle mansioni del dipendente e degli ulteriori e compatibili compiti che lo stesso svolgerà quale amministratore è cautela indispensabile per tutelare la società da pesanti conseguenze, in termini di indeducibilità della retribuzione da lavoro dipendente ex art. 95, comma 1, TUIR.

Conclusioni

In conclusione, la giurisprudenza maggioritaria, alla luce delle importanti conseguenze fiscali che discendono dalla definizione degli assetti organizzativi e gestionali della società, impone una particolare attenzione ex ante nella definizione del contenuto delle funzioni attribuite all'amministratore/lavoratore subordinato, così da evitare i costi di un successivo accertamento dell'insussistenza delle condizioni di compatibilità tra la funzione di amministratore e di lavoratore dipendente.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.