La Cassazione fa tornare le valutazioni nel falso in bilancio
13 Gennaio 2016
Nell'attuale formulazione dell'art. 2621 c.c., il riferimento ai “fatti materiali” oggetto di falsa rappresentazione non esclude la rilevanza penale degli enunciati valutativi, anch'essi idonei ad assolvere una funzione informativa laddove intervengano in contesti che implichino l'accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o tecnicamente indiscussi. Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 890/2016, i cui contenuti erano già stati anticipati con l'informazione provvisoria diffusa dalla Quinta Sezione nel mese di novembre.
Il caso. La pronuncia in oggetto conclude la vicenda processuale che vedeva protagonista l'amministratore unico di una s.r.l. dichiarata fallita, al quale veniva contestata la violazione degli artt. 2621 c.c. e 223 l. fall. per aver esposto fraudolentemente nel bilancio di esercizio fatti non corrispondenti al vero, al fine di ingannare i destinatari sulla reale situazione economica, finanziaria e patrimoniale della società. A seguito della condanna pronunciata nel giudizio di prime cure, la Corte d'appello assolveva in parte l'imputato che ricorre avverso tale pronuncia dinanzi alla Suprema Corte. I Giudici di legittimità hanno dunque modo di tornare sul tema del falso in bilancio e sul dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ha interessato il reato dopo la riformulazione dell'art. 2621 c.c. da parte della l. n. 69/2015 con l'esclusione delle “mere valutazioni” e il riferimento esclusivo ai “fatti materiali non rispondenti al vero”.
L'evoluzione del falso in bilancio. La Suprema Corte ripercorre il percorso di trasformazione della fisionomia del reato, dapprima riferita ai “fatti falsi” previsti dal codice Zanardelli, poi sostituita dal riferimento ai “fatti non rispondenti al vero” da parte del legislatore nel 1942 e nuovamente ridisegnata dal d.lgs. n. 61/2002 che indicava come elemento della fattispecie i “fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni”, per giungere con la l. n. 69/2015 all'attuale formulazione. Gli interpreti si sono dunque posti la quaestio iuris relativa alla soppressione del riferimento alla valutazioni e alla possibilità che ciò incida sugli aspetti sostanziali con l'espunzione dei fatti valutativi da quelli punibili.
L'interpretazione della norma. Dovendo l'indagine ermeneutica necessariamente associare l'analisi del dato letterale al canone sistematico e teleologico, la Corte sottolinea come i termini “materiali” e “rilevanti” siano stati oggetto di un errore di prospettiva che non ha considerato l'accezione tecnica e non comune degli stessi. Si tratta di termini concepiti e maturati in un contesto di tecnicismo economico presente anche nella normativa comunitaria, nel quale devono essere collocati per individuarne il significato precipuo, giungendo ad affermare che il concetto di “materialità” è sinonimo di essenzialità dei dati inseriti nel bilancio ai fini informativi, mentre la “rilevanza” deve essere riferita alla capacità d'influenza dell'informazione sulle decisioni degli utilizzatori. Allo stesso modo il termine “fatto” non può essere inteso nel senso comune di evento o fenomeno, ma deve essere letto in senso tecnico e certamente più lato e flessibile, in grado di comprendere tutti gli elementi di pertinente informazione non solo per il bilancio ma anche per le altre comunicazioni sociali obbligatorie. Il concetto “falso” invece, se non desta perplessità in riferimento agli enunciati descrittivi, diventa problematico quando riferito alla valutazione dei fatti, di cui il bilancio è evidentemente composto. Ma se il “fatto” lato sensu è ogni elemento informativo e “materiali e rilevanti” sono i dati oggetto di informazioni essenziali e significative per le scelte degli utilizzatori, anche le valutazioni non rispondenti al vero sono in grado di condizionarne negativamente le scelte ed escluderle dalla rilevanza penale sarebbe quindi manifestamente illogico.
Il principio affermato dalla Corte. In conclusione, prendendo le distanze dalla sentenza n. 33774/2015, peraltro pronunciata dalla medesima sezione, la Corte di Cassazione afferma che nell'art. 2621 c.c. il riferimento ai “fatti materiali” oggetto di falsa rappresentazione non esclude la rilevanza penale degli enunciati valutativi, anch'essi predicabili di falsità quando violino criteri di valutazione predeterminati. Infatti, quando intervengano in contesti che implichino l'accettazione di parametri normativamente determinati o tecnicamente indiscussi, anche gli enunciati valutativi sono idonei ad assolvere ad una funzione informativa e possono, quindi, essere veri o falsi. |