Il diritto alla difesa del socio occulto nel processo per la dichiarazione di fallimento in estensione

Simone Marzo
17 Luglio 2017

Il processo per l'estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile la cui esistenza (o la cui assunzione di responsabilità illimitata) sia venuta alla luce dopo la dichiarazione di fallimento della società, ai sensi dell'art. 147, comma 4, l.fall., ha ad oggetto esclusivamente i presupposti per la dichiarazione del fallimento del socio, senza alcuna possibilità di riaprire la discussione sui presupposti per la dichiarazione di fallimento della società.
Premessa

Con la sentenza n. 7769 del 27 marzo la Suprema Corte dà seguito ad un orientamento (cfr. Cass. civ., sez. I, sent. 10 luglio 2013, n. 17098), consolidato anche in dottrina, secondo cui l'oggetto del processo per la dichiarazione di fallimento in estensione del socio occulto illimitatamente responsabile ex art. 147, comma 4, l.fall. avrebbe ad oggetto soltanto i presupposti del fallimento del socio, senza alcuna possibilità per quest'ultimo di sollevare contestazioni in ordine ai presupposti del fallimento già dichiarato nei confronti della società.

Sulla correttezza di tale assunto e, soprattutto, sulla compatibilità di tale principio con il diritto di difesa del socio occulto, sembra però lecito avanzare qualche dubbio.

Il procedimento per la dichiarazione di fallimento in estensione ex art. 147 l.fall.

In linea di principio, il processo per la dichiarazione di fallimento delle società personali, che in forza dell'art. 147, comma 1, l.fall. produce effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, è soggetto alla medesima disciplina dettata dall'art. 15 l.fall.. In occasione della riforma del 2006 il legislatore ha peraltro ribadito quanto già in precedenza sancito dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 27 giugno 1972, n. 110); l'attuale art. 147, comma 3, l.fall., precisa, infatti, che “il tribunale, prima di dichiarare il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, deve disporne la convocazione a norma dell'articolo 15”.

È bene precisare che il diritto dei soci illimitatamente responsabili di esercitare il proprio diritto di difesa ha ad oggetto non soltanto i presupposti del loro personale fallimento (cioè la loro qualità di soci illimitatamente responsabili e l'esistenza di debiti sociali di cui gli stessi debbano essere chiamati a rispondere), ma anche i presupposti oggettivi e soggettivi per il fallimento della società (in primis, la commercialità e l'insolvenza della stessa). In definitiva, il socio illimitatamente responsabile nei cui confronti è destinato ad estendersi il fallimento sociale deve essere messo in condizione di resistere, in contraddittorio con gli istanti, con la società e con gli altri soci, alla domanda di fallimento proposta contro la società, con l'effetto che, in mancanza di tale convocazione, la dichiarazione di fallimento della società non potrà produrre effetti nei suoi confronti (in tal senso, nel vigore della precedente formulazione dell'art. 147 l.fall., Cass. civ., sez. I, sent. 6 febbraio 2003, n. 1751; più recentemente, Cass. civ. sez. I, sent. 8 settembre 2016, n. 17765).

Il diritto di difesa dei soci illimitatamente responsabili è assicurato anche nella fase di reclamo ex art. 18 l.fall., la cui proponibilità avverso la sentenza di fallimento ex art. 147, comma 1, l.fall., già pacifica prima della riforma del 2006, è oggi espressamente confermata dal successivo comma 6 del medesimo articolo. Anche in sede di reclamo, il socio illimitatamente responsabile potrà impugnare la sentenza dichiarativa del fallimento sociale tanto nella parte attinente al fallimento della società quanto nella parte relativa al proprio fallimento in estensione.

Nell'attuale assetto processuale delineato dal combinato disposto degli artt. 15, 18 e 147 l.fall., dunque, il socio illimitatamente responsabile sembrerebbe posto in condizione di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa, tanto nella fase prefallimentare quanto nelle eventuali fasi di impugnazione avverso la dichiarazione di fallimento.

Il procedimento di fallimento in estensione del socio occulto

Quanto affermato nel paragrafo precedente è ormai un dato acquisito soltanto nel caso di fallimento in estensione contestuale, cioè dichiarato nei confronti dei soci già palesi al momento della dichiarazione di fallimento della società. Invece, secondo un altro orientamento, alquanto costante, nel caso di procedimento per l'estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile la cui esistenza (o la cui assunzione di responsabilità illimitata) sia venuta alla luce successivamente alla dichiarazione di fallimento della società, il diritto di difesa di tale soggetto potrà esercitarsi soltanto con riguardo alla dichiarazione del suo personale fallimento, senza alcuna possibilità di rimettere in discussione la dichiarazione di fallimento della società, al cui procedimento egli è rimasto estraneo proprio a causa della natura occulta della sua partecipazione.

Ciò vuol dire che anche il socio occulto, una volta che sia stato “scoperto” (o che sia stata “scoperta” la sua responsabilità illimitata), prima di poter essere dichiarato fallito deve essere convocato a norma degli artt. 15 e 147, comma 3, l.fall., e può reclamare la “sua” sentenza di fallimento in estensione ai sensi degli artt. 18 e 147, comma 6, l.fall.; tuttavia, tanto nella fase prefallimentare quanto nel successivo reclamo, i soci occulti (che ormai non saranno più tali) potrebbero sollevare soltanto questioni inerenti ai presupposti del loro personale fallimento (tra i quali non è inclusa la loro insolvenza), senza il diritto di sollevare alcuna contestazione inerente ai presupposti per il fallimento della società.

Gli effetti concreti di tale impostazione sono evidenti: il socio può essere dichiarato fallito a prescindere dalla sua personale insolvenza (poiché l'art. 147 l.fall. prevede l'automatico fallimento in estensione del socio illimitatamente responsabile, a nulla rilevando la sua eventuale solvibilità) e senza nemmeno potere in qualche modo contestare l'insolvenza (o gli altri presupposti di fallibilità) della società della quale egli, in ipotesi, è (o è stato in passato) partecipe occulto.

Oltre che in dottrina, di tale principio si trova ricorrente affermazione nella giurisprudenza di legittimità. Da ultimo, nella recente sentenza della Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, sent. 27 marzo 2017, n. 7769) è stato ribadito che “nel procedimento di opposizione alla dichiarazione di fallimento proposto dal socio illimitatamente responsabile, dichiarato fallito ai sensi della l. fall., art. 147, questi non è legittimato a contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, in relazione al quale la sentenza dichiarativa di fallimento fa stato “erga omnes”, e quindi anche nei confronti dei soci, attuali e precedenti se fallibili; la sua opposizione può avere, dunque, ad oggetto solo le condizioni che attengono alla sussistenza del vincolo sociale, e, quindi, alla sua personale fallibilità (e cfr. anche la successiva pronuncia Cass., n. 17765/2016)”.

La Corte, dunque, individua nell'efficacia erga omnes del giudicato sulla dichiarazione di fallimento della società la ragione giustificativa della preclusione, per il socio illimitatamente responsabile, a poter rimettere in discussione anche i presupposti del fallimento della stessa.

Nella medesima sentenza, peraltro, la Cassazione ha indicato anche le ragioni per le quali, a suo giudizio, tale assetto non inciderebbe sul diritto di difesa del socio, individuando nel reclamo avverso la sentenza di fallimento della società il rimedio mediante il quale anche il socio occulto può sollevare eventuali contestazioni avverso detta pronuncia. In particolare, secondo i giudici di legittimità, “nell'ordinamento è assicurata la possibilità di difendersi anche al socio occulto di società di persone, essendo a questi riconosciuta la facoltà del reclamo avverso la dichiarazione di fallimento della società, l.fall., ex art. 18, quale “interessato”, in quanto titolare di posizione giuridica che può ricevere pregiudizio dalla pronuncia del fallimento sociale. Né può sostenersi che il T. abbia acquisito l'interesse concreto ed attuale al reclamo solo a seguito del riconoscimento da parte del Tribunale della propria posizione di socio occulto-amministratore: tale individuazione non tiene infatti conto dell'esplicita attribuzione da parte della l.fall., art. 18 della facoltà di reclamo anche “a qualunque interessato”, dizione specifica e più ampia di quella di carattere generale dell'art. 100 c.p.c., e che si inserisce nello specifico procedimento fallimentare”.

Riflessioni critiche in ordine alla carente tutela del socio occulto

L'orientamento giurisprudenziale in commento merita alcune riflessioni, al fine di verificare se davvero le conclusioni cui giunge rappresentino un coerente e necessario sviluppo dei principi generali in materia di processo fallimentare e se dalle stesse non derivi alcuna sostanziale lesione del diritto di difesa che dovrebbe essere riconosciuto anche al socio occulto.

Quanto al primo aspetto, tanto in dottrina quanto nella giurisprudenza si afferma costantemente che il processo per l'estensione del fallimento al socio occulto avrebbe ad oggetto soltanto l'accertamento dei presupposti del suo personale fallimento, e non anche di quelli del fallimento della società, già oggetto nel processo “principale”. Da ciò deriverebbe la totale estraneità di dette questioni al successivo processo di fallimento in estensione del socio occulto.

Tale assunto non sembra, però, condivisibile. In effetti, l'affermazione secondo cui i presupposti del fallimento in estensione del socio occulto sarebbero costituiti soltanto dall'esistenza del rapporto sociale e dall'esistenza di debiti sociali per i quali egli debba rispondere, pare una fuorviante semplificazione: il primo ed il principale tra i presupposti per il fallimento in estensione (tanto dei soci palesi quanto di quelli occulti) è in realtà costituito proprio dal fallimento della società. È il fallimento della società, secondo quanto afferma testualmente l'art. 147, comma 1, l.fall., a “produrre” il fallimento del socio.

Si potrebbe semmai tentare di dimostrare che l'esame di tale questione è preclusa dall'essersi su questa pronunciata un'altra sentenza, che nel frattempo potrebbe anche essere passata in giudicato. Proprio in tale direzione sembra muoversi la Suprema Corte nella sentenza in commento, in particolare laddove afferma che la sentenza dichiarativa di fallimento fa stato “erga omnes”, e quindi anche nei confronti dei soci, attuali e precedenti se fallibili”.

Nemmeno tale affermazione, tuttavia, sembra del tutto convincente. In effetti, al pari di quanto si ritiene generalmente con riferimento ad altri provvedimenti analogamente aventi ad oggetto status giuridici in senso ampio, l'efficacia erga omnes della dichiarazione di fallimento non comporta affatto l'assoluta intangibilità della stessa da parte di qualunque soggetto, ivi compresi quelli rimasti estranei al giudizio nel quale detta decisione è stata assunta. Come messo in rilievo dalla più attenta giurisprudenza della stessa Cassazione, tale efficacia erga omnes comporta più semplicemente che “il soggetto estraneo […] non può ignorare il giudicato formatosi su di essa una volta che si è formato e deve, pertanto, nel promuovere il nuovo giudizio postulare la rimozione della decisione stessa” (così, Cass. civ., sez. III, ord. 3 ottobre 2005, n. 19293, con riferimento al decreto di messa in liquidazione coatta amministrativa di una società; nello stesso senso, con riguardo alla nomina giudiziale di un liquidatore di società, Cass. civ., sez. II, sent. 28 gennaio 2004, n. 1561).

In definitiva, nessuna ragione sembra davvero ostare al riconoscimento, in capo al socio di cui sia chiesto il fallimento in estensione successivo, del diritto a sollevare contestazioni riguardanti anche i presupposti su cui si fonda il fallimento della società, i cui effetti si pretende vengano estesi nei suoi confronti.

D'altro canto, se davvero il rimedio rappresentato dal reclamo ex art. 18, comma 1, l.fall. (oppure, in limine, dalla possibilità del socio occulto di intervenire, ex art. 18, comma 9, l.fall., nel giudizio per reclamo avverso la dichiarazione di fallimento della società già instaurato da altri) fosse in grado di tutelare adeguatamente il diritto di difesa del socio occulto, non vi sarebbe ragione di criticare eccessivamente la tesi in commento. A tal proposito, però, occorre sgombrare il campo da un equivoco nel quale sembra incorsa la Cassazione nella sentenza in esame, e cioè che l'attribuzione da parte dell'art. 18 l.fall. della facoltà di impugnare la dichiarazione di fallimento (o di intervenire nel relativo giudizio) a “qualunque interessato” sarebbe intervenuta sulla condizione dell'azione rappresentata dall'interesse ad agire, ampliandone lo spettro rispetto alla regola generale sancita dall'art. 100 c.p.c..

In realtà, la norma interviene piuttosto sulla diversa condizione della legittimazione ad agire e stabilisce che, in deroga al principio generale vigente in materia processuale civile (secondo cui la legittimazione ad impugnare appartiene alle sole parti del giudizio conclusosi), la sentenza che dichiara il fallimento può essere impugnata anche da quanti non abbiano preso parte al processo per la dichiarazione di fallimento. L'art. 18 l.fall., però, non esclude affatto che il reclamo avverso la dichiarazione di fallimento debba fondarsi su un interesse del reclamante, al pari di quanto prevede in generale l'art. 100 c.p.c..

È quindi certo che il reclamante ex art. 18 l.fall. (e quindi anche quello ex art. 147, comma 6, l.fall.) sia legittimato anche se non è stato parte del giudizio concluso con la sentenza di fallimento, come fisiologicamente accade per il socio occulto scoperto dopo il fallimento della società; è però altrettanto certo che egli debba dimostrare il suo interesse ad agire in sede di reclamo.

Tale circostanza da luogo ad una rilevante conseguenza proprio con riguardo alla posizione del socio occulto (che sia ovviamente ancora tale al momento della dichiarazione di fallimento della società). Appare infatti plausibile ritenere che, nel proporre reclamo ex art. 18 l.fall. avverso la sentenza dichiarativa del fallimento sociale (o nell'intervenire nel relativo giudizio già instaurato da altri), il socio occulto debba quanto meno dedurre di avere un interesse a tale impugnazione; assumendo che non tenti di accreditare il proprio interesse deducendo circostanze non rispondenti al vero (ad esempio, sostenendo di essere un semplice creditore della società), egli dovrebbe dunque allegare la sua qualità di socio occulto illimitatamente responsabile o, quanto meno, la fondata prospettiva di poter essere individuato quale socio occulto illimitatamente responsabile della società fallita. Con ciò, però, il medesimo soggetto darebbe verosimilmente luogo all'avvio del procedimento per la sua dichiarazione di fallimento in estensione ex art. 147, comma 4, l.fall.. Laddove poi il suo fallimento in estensione venisse effettivamente dichiarato, lo stesso non potrà più seriamente contestare i presupposti del suo personale fallimento, dato che proprio egli ne avrebbe affermato l'esistenza con lo scopo di dimostrare l'interesse al reclamo avverso la sentenza di fallimento della società.

In definitiva, dinanzi alla dichiarazione di fallimento della società, il socio occulto potrebbe essere costretto a dover scegliere tra proporre immediatamente il reclamo avverso la dichiarazione di fallimento della società (in tal modo sostanzialmente rinunciando ad impugnare l'eventuale dichiarazione di fallimento in estensione nei suoi confronti) oppure attendere l'eventuale sua dichiarazione di fallimento in estensione ed impugnare tale pronuncia (rinunciando però a contraddire sui presupposti del fallimento sociale).

Non si può certamente dire che tale alternativa sia in grado di assicurare al socio occulto la pienezza di tutele che, pur compatibilmente con le caratteristiche del procedimento fallimentare, la Corte Costituzionale ha ritenuto necessaria anche in favore del socio illimitatamente responsabile di società personali.

Tale ultima notazione, forse, dovrebbe indurre ad una più meditata riflessione in ordine alla effettiva ragionevolezza della tesi che nega al socio contro cui confronti sia chiesto il fallimento in estensione ai sensi dell'art. 147, comma 4, l.fall., il diritto a contraddire, sia nella fase prefallimentare che in quella di reclamo, in ordine ai presupposti del fallimento della società di cui egli è ritenuto partecipe illimitatamente responsabile, oltre che su quelli del suo personale fallimento.