E' agriturismo solo se attività di ricezione e ospitalità sono complementari a quella agricola
14 Agosto 2015
Su ricorso in opposizione a cartelle esattoriali dell'INPS, emesse per il pagamento di contributi ed accessori pretesi in relazione all'iscrizione dell'opponente alla gestione speciale commercianti, in luogo di quella alla gestione imprenditori agricoli, sia il Tribunale in primo grado che la Corte d'Appello territoriale in sede di gravame, respingevano l'opposizione proposta.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 16685/2015, depositata il giorno 11 agosto 2015, ha affermato che l'attività di ospitalità e ricezione deve avere carattere complementare e di connessione con l'attività agricola propriamente detta, al fine di poter essere qualificata come attività agrituristica.
L'attività agrituristica. La Cassazione richiama il disposto dell'art. 2, l. 730/1985 (anche prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 228/2001) che definisce l'attività agrituristica esclusivamente quella volta alla ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli attraverso l'utilizzazione della propria azienda, in rapporto di
connessione e complementarietà
rispetto alle attività di coltivazione del fondo, silvi-coltura e allevamento di bestiame, che devono rimanere principali. La Corte richiama dunque il principio affermato da sua precedente giurisprudenza secondo cui il riconoscimento della qualità agrituristica richiede la contemporanea sussistenza della qualifica di imprenditore agricolo da parte del soggetto che la esercita, e del rapporto di connessione e complementarietà con l'attività propriamente agricola e della permanenza della principalità di quest'ultima rispetto all'altra. Pertanto, laddove vi sia notevole consistenza dei redditi ricavati dall'attività di ristorazione (con assunzione di tre dipendenti), grande sproporzione del tempo dedicato all'attività di ristorazione rispetto a quello dedicato all'attività agricola, con prevalenza del primo, e utilizzo di prodotti acquistati sul mercato in misura maggiore rispetto a quelli provenienti dall'attività agricola, legittimamente si deve negare la qualifica di attività agrituristica.
Conflitto tra normativa regionale e statale. Viene poi richiamato l'indirizzo giurisprudenziale della Corte secondo cui la nozione di impresa, quando rileva ai fini della disciplina dei rapporti previdenziali, di esclusiva competenza statale, trova applicazione su tutto il territorio nazionale. E, dunque, la natura commerciale o agricola di un'impresa deve essere accertata sulla base di criteri generali ed uniformi, valevoli per tutto il territorio nazionale: la valutazione della sussistenza dei requisiti sopra richiamati per la qualificazione di attività agrituristica andrà condotta alla luce dell'art. 2135, comma 3, c.c., integrato dalle discipline di legge sull'agriturismo, che hanno fissato principi fondamentali cui le regioni devono uniformarsi nell'emanare le proprie normative in materia. I singoli criteri valutativi previsti dalle normative locali, sebbene possano fungere da supporto interpretativo, non possono rivestire carattere decisivo, altrimenti si potrebbe giungere a risultati diversi da regione a regione pur partendo dall'analisi di identici dati aziendali. |