Detrazione IVA per le consortili che perseguono un fine commerciale

La Redazione
16 Giugno 2016

Le Sezioni Unite della Corte, con le sentenze n. 12190 e 12191 depositate ieri, si sono pronunciate in merito alla corretta disciplina fiscale da applicare alle società consortili, statuendo che la causa consortile non è ostativa allo svolgimento di una distinta attività commerciale con scopo di lucro. Compatibilità che si troverà anche ai fini fiscali, riconoscendo il diritto alla detrazione dei costi ai fini IVA.

Le Sezioni Unite della Corte, con le sentenze n. 12190 e 12191/2016, si sono pronunciate in merito alla corretta disciplina fiscale da applicare alle società consortili, statuendo che la causa consortile non è ostativa allo svolgimento, da parte della società consortile, di una distinta attività commerciale con scopo di lucro. La disciplina civilistica di riferimento va rinvenuta nell'art. 2615 c.c. secondo cui le società previste nei capi III e seguenti del titolo V possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell'art. 2602 c.c.

L'Ufficio contestava l'indebita compensazione tra i ricavi che il consorzio avrebbe dovuto trasferire alla consorziata ed il contributo che quest'ultima doveva al consorzio per il suo funzionamento. Tale modalità di fatturazione, secondo l'Ufficio, comportava il mancato rilievo di parte dei ricavi percepiti dalla società consorziata. Contrariamente i giudici della CTR ritenevano invece valida la condotta contabile tenuta nei rapporti interni dalle società.

I Supremi giudici, nell'iter logico-giuridico che ha portato alla decisione definitiva, rilevano che vi sono due indirizzi contrapposti sulla questione.

Orientamenti a confronto:

1) La "funzione mutualistica" ex artt. 2602 c.c. e 2614 c.c., non si esaurirebbe nell'oggetto o scopo della società consortile, ma informerebbe la stessa causa del negozio consortile, con la conseguenza che un'eventuale elusione della stessa – attraverso l'applicazione della disciplina normativa del tipo societario prescelto – configurerebbe abuso del diritto.

Ne consegue che il consorzio non può trarre per sé alcun vantaggio, né svantaggio, dall'attività posta in essere, poiché gli uni e gli altri appartengono unicamente sempre e solo alle imprese consorziate (cfr. Cass. civ., sez. trib., n. 13293/2011). Il Consorzio non potrebbe trattenere utili, né costi derivanti dalla attività svolta nell'interesse delle consorziate, ma dovrebbe sempre e comunque ritrasferire alle consociate l'intero importo del corrispettivo ricavato dai contratti stipulati con i terzi committenti. Se ne ricava che la differenza tra il maggior importo fatturato dal Consorzio e gli importi fatturati dalle singole consociate occulterebbe "una indebita compensazione tra i ricavi del Consorzio ed il rimborso delle spese sostenute".

2) La natura di ente non lucrativo non esclude il perseguimento di un'attività commerciale, essendo ormai superata l'immedesimazione tra società e scopo di lucro da un lato e cooperativa ed interesse mutualistico dall'altro (cfr. Cass. civ., sez. trib., n. 24014/2013).

Lo scopo di mutualità non contraddice lo scopo di lucro, con la conseguenza che la società consortile ben può conseguire autonomi ricavi dall'attività svolta nei confronti di terzi, salvo il perseguimento dello scopo mutualistico - assunto nell'oggetto sociale - nei rapporti interni con le imprese consociate.

Da ciò la conclusione che il Consorzio, agendo in conformità allo scopo indicato, evita di addossare alle società consociate eventuali maggiori oneri connessi ai costi di gestione della propria attività ed alle spese di funzionamento della organizzazione consortile, ricavando dallo svolgimento dell'attività esterna i proventi necessari a coprire integralmente tali costi attraverso l'applicazione di una percentuale di ricarico, sul maggiore corrispettivo che riceve dai terzi committenti per i contratti di appalto stipultai in nome proprio e per conto delle consorziate.

Le Sezioni Unite prendono le distanze dalla prima posizione, giacché da una simile interpretazione discenderebbe:

  • una sostanziale privazione di autonoma soggettività giuridica in capo alla società consortile di capitali;
  • una equivalenza tra maggiore corrispettivo convenuto dal Consorzio e minor valore della prestazione eseguita e fatturata dalla consorziata;
  • assenza di un vinvolo giuridico idoneo a far insorgere l'obbligo di integrare contributi versati in relazione a sopravvenute esigenze finanziarie dell'ente consortile.

Diversamente la società consortile deve essere qualificata come un ente commerciale, soggetto d'imposta, e dotato di autonoma personalità giuridica.

Tanto premesso, deve ritenersi che se vi è conciliabilità tra scopo mutualistico e scopo di lucro, la medesima compatibilità sussisterà anche ai fini fiscali trovando conforto indiretto nel dettato normativo di cui all'art. 4 della L. 240/1981, laddove si subordina la possibilità per i consorzi e le società consortili di fruire di una determinata agevolazione fiscale alla previsione di un divieto di distribuzione degli utili alle consorziate (divieto che non avrebbe ragion d'essere qualora si escluda la possibilità per le società consortili di conseguire utili, ex art. 18 L. 5 ottobre 1991, n. 317).

I giudici di legittimità hanno poi evidenziato che la riconosciuta possibile coesistenza delle due cause in oggetto postula, in primis, la necessità di un accertamento teso a valutare se il ricorso all'organizzazione consortile sia finalizzato unicamente a conseguire un indebito risparmio fiscale; ed in secundis la necessità di un ulteriore accertamento circa i rapporti intercorsi tra la società consortile e la consorziata nella fase di assegnazione dei lavori o dei servizi ai singoli consorziati, rapporti che, in assenza di specifica disposizione normativa, possono anche essere in concreto ricondotti ad istituti diversi dal mandato con o senza rappresentanza.

Costituisce questione di merito l'accertamento in ordine ai rapporti intercorsi tra la società consortile e la consorziata nell'assegnazione dei lavori o servizi ai singoli consorziati e nella esecuzione delle commesse. Nel caso di differenza tra quanto fatturato dalla società consortile al terzo committente e quanto alla prima dal consorziato, costituisce onere del consorziato fornire la prova che tale differenza non sia costituita da ricavi, o che la stessa corrisponda a provvigioni o servizi resi dal consorzio al terzo.

In correlazione tra attività esercitata della società consortile o dalla consorziata in relazione ai diversi scopi, deve essere riconosciuto il diritto alla detrazione dei costi ai fini IVA: ne consegue che ai sensi dell'art. 3, comma terzo del d.P.R. n. 633/1972, l'inammissibilità di differenze tra importo fatturato dal mandatario al terzo e dal mandante al mandatario salva la rilevanza fiscale della provvigione laddove pattuita e formalizzata.

Fonte: ilTributario.it

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