False comunicazioni sociali: secondo la Cassazione è evidente la continuità normativa
17 Settembre 2015
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37570 depositata il 16 settembre 2015, torna ad occuparsi della nuova disciplina del reato delle false comunicazioni sociali. Il caso. Ribaltando il giudizio di prime cure, la Corte d'appello di Cagliari assolveva l'amministratore di una società a responsabilità limitata dall'accusa di false comunicazioni sociali, ritenendo insussistente il fatto contestato descrivibile come omessa indicazione, in sede di redazione del bilancio infrannuale, di ricavi maturati dalla società e corrispondenti crediti di cui egli era il soggetto debitore. In qualità di parte civile, un socio, nonché amministratore della società, propone ricorso per la cassazione della pronuncia deducendo l'erronea applicazione della legge penale in riferimento alla valutazione della condotta materiale dell'imputato e dell'elemento soggettivo del reato. Le “nuove” fattispecie penali. La Corte di Cassazione coglie l'occasione per analizzare il contesto normativo venutosi a creare con l'entrata in vigore della legge n. 69/2015 che ha significativamente ridisegnato la fattispecie delle false comunicazioni sociali, configurando due autonomi titoli di reato, differenziati in base al fatto che la condotta sia stata realizzata in società quotate o meno e rispettivamente disciplinati dagli artt. 2621 e 2622 c.c. La nuova concezione legislativa riconosce alle due fattispecie – di struttura pressoché identica – la natura di reato di pericolo, proprio di amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili, sindaci e liquidatori. L'elemento oggettivo. La descrizione delle condotte tipiche risulta ora riferita alla comunicazione di “fatti materiali non rispondenti al vero” ovvero all'”omissione di fatti materiali la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società”, risultando dunque eliminato il riferimento alle valutazioni, previsto dal testo previgente. Al contempo, l'elemento oggettivo del reato è stato rafforzato dal requisito della concreta idoneità ingannatoria della falsa comunicazione, elemento che deve essere valutato concretamente. L'elemento soggettivo. Quanto alla struttura dell'elemento soggettivo, il legislatore ha voluto confermare la necessità del dolo specifico, caratterizzato dal fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto, sopprimendo invece il riferimento all'intenzione di ingannare i soci o il pubblico. Continuità normativa. Da tali premesse, i giudici di legittimità osservano come la l. 69/2015 abbia ampliato l'ambito di operatività della fattispecie delle false comunicazioni sociali, mantenendo inalterata la struttura della condotta tipica, con un evidente rapporto di continuità normativa con la disciplina previgente. E tale affermazione non può essere smentita dalla sostituzione, nell'ipotesi di condotta omissiva, del termine “informazioni” con la locuzione “fatti materiali”, modifica che se interpretata rigidamente porterebbe ad un ridimensionamento dell'elemento oggettivo del reato, tema che però i giudici di legittimità preferiscono non approfondire, a differenza di quanto affermato con la sentenza n. 33774/2015. In conclusione, la S.C. afferma che la sentenza impugnata risulta illogica e contraddittoria, poiché, avendo riconosciuto pacificamente come l'imputato fosse a conoscenza dei ricavi di cui aveva omesso la comunicazione alla società, risultanti in modo generico e indeterminato nella sola nota integrativa, non è possibile riconoscere in tale comportamento un eccesso di prudenza, come invece sostenuto dalla difesa. Per questi motivi, la Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili. |