La condotta commissiva del nuovo falso in bilancio

19 Novembre 2015

La nuova formulazione dell'art. 2621 c.c. punisce gli organi sociali che, “al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero”: qual è l'effettiva rilevanza della soppressione dell'inciso “ancorché oggetto di valutazioni” e come va letta l'introduzione della rilevanza dei fatti materiali, in correlazione anche con l'art. 2621-bis c.c.?

La nuova formulazione dell'art. 2621 c.c. punisce gli organi sociali che, “al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero”: qual è l'effettiva rilevanza della soppressione dell'inciso “ancorché oggetto di valutazioni” e come va letta l'introduzione della rilevanza dei fatti materiali, in correlazione anche con l'art. 2621-bis c.c.?

Ove si escludano dall'art. 2621 c.c. “nuova formulazione” le valutazioni, i fatti materiali sono veramente limitatissimi, perché o si tratta di crediti inesistenti iscritti o di debiti esistenti non iscritti, ma ci sono pochissime altre ipotesi. Se anche pensiamo al credito nei confronti di un soggetto che acceda ad una procedura concorsuale, si tratta comunque di valutazione perché non è detto che dalla procedura concorsuale non arrivi alcunché; anche se si tratta di valutazione del magazzino e capita un evento accidentale –, ad esempio, l'esondazione di un fiume con allagamento del magazzino – anche qui siamo nell'ambito della valutazione, perché o non esiste più il magazzino oppure si tratta di una valutazione.

Quindi i casi in cui residuerebbe la fattispecie sono limitatissimi; pertanto bisogna forse interrogarsi se veramente sia venuta meno la valutazione. Al proposito, devono essere svolte ulteriori considerazioni.

In particolare, anche l'art. 18 della legge Fornero menziona i “fatti materiali” e la giurisprudenza ha fatto questo esempio: il dipendente può avere compiuto un'azione o un'omissione che costituisce un fatto materiale; fatto materiale inteso come fatto storico. Lo stesso diventa un fatto giuridico soltanto quando gli si attribuisce valenza giuridica, quindi quando quel fatto si configura come un inadempimento che legittimi il licenziamento. Quindi il fatto materiale, in quella formulazione, deve intendersi non come fatto storico, nell'interpretazione che forse si è voluta dare a seguito della riforma, ma come fatto giuridico. Se questa è l'ipotesi, vuol dire che il fatto storico è, ad esempio, l'iscrizione di un credito o l'iscrizione di una posta di magazzino ovvero ancora la mancata iscrizione di un debito; il fatto materiale – o, per meglio dire, giuridico – consiste invece nella valutazione: se così è, l'esposizione del fatto storico implica necessariamente una valutazione e quindi la valutazione non è venuta meno.

Seconda considerazione: se invece per fatto materiale si intende un fatto che ha una materialità intesa in senso anglosassone, quindi che ha una certa rilevanza, è vero che forse si incorre in un pleonasma, perché ci sarebbero fatti materiali rilevanti e quindi che avrebbero una significatività e al tempo stesso una rilevanza. Però è anche vero che ci sono nella pratica della revisione contabile intervalli, diciamo così di significatività, quindi intervalli che vanno da certe percentuali ad altre percentuali.

Quindi si potrebbe ritenere che i fatti materiali sono fatti che stanno al di sotto di quelle soglie e che diventano rilevanti quando superano un certa livello di significatività; perché, se così non fosse, credo che la falsa comunicazione sociale diventerebbe inapplicabile; inapplicabile o comunque ridotta ad ipotesi molto residuali come il credito inesistente o il debito che non è stato iscritto, perché in tutti gli altri casi, salvo appunto l'esondazione del fiume che porta via il magazzino, si tratta sempre di valutazione.

Anche l'iscrizione di un credito nei confronti di una società – a parte quello vantato nei confronti di società in concordato, la quale comunque deve riconoscere una certa percentuale ai creditori, peraltro indeterminata nel momento in cui la società accede al concordato preventivo – comporta una valutazione; ma si tratta di valutazione anche nel caso di fallimento, persino nell'ipotesi in cui non sia un creditore privilegiato o con prelazione ipotecaria. Quindi l'indicazione del valore passa sempre attraverso una valutazione.

Alcune considerazioni in merito alla tematica riguardante cosa è valutazione e che cosa non lo è.

Sul magazzino: esulano da temi valutativi le differenze quantitative che assumano il profilo della materialità. Al riguardo occorre peraltro osservare che la rilevazione di cali ed ammanchi è spesso oggetto di stime sulla base di parametri astratti che dovrebbero come tali, salvo evidenti incoerenze con la situazione di fatto, rientrare nell'ambito delle valutazioni.

La determinazione del valore unitario dei beni a magazzino è di norma un tema valutativo. Occorre però non trascurare il caso della alterazione consapevole dei dati di costo assunti a base della valutazione. Gli elementi discrezionali (overhead, interessi passivi, ecc.) rientrano nell'ambito valutativo.

Ci si deve domandare quali siano le conseguenze in caso di dichiarazione di un criterio di valutazione diverso da quello concretamente e consapevolmente applicato. La omessa svalutazione dello slow moving dovrebbe rientrare nell'ambito valutativo. Diverso è però il caso della consapevole mancata svalutazione di beni deteriorati o distrutti.

Sui cespiti: rientra nell'ambito valutativo la stima della vita utile sottostante al processo di ammortamento.

Analogo il tema della svalutazione in caso di impairment per perdite durevoli di valore d'uso o di mercato. Pare invece questione diversa, che eccede l'ambito valutativo, il mancato allineamento del valore a quello inferiore di realizzo in caso di estromissione dei beni estromessi dal processo produttivo, fermo restando che l'entità della stima del secondo è questione valutativa.

Quanto alla capitalizzazione dei costi interni pare doversi distinguere l'ipotesi di una errata stima dei costi rispetto a quella della assunzione di costi che non sono stati in realtà sostenuti.

Sui crediti: la svalutazione di crediti incagliati è una questione valutativa.

Occorre peraltro distinguere il caso di debitori in situazione di insolvenza acclarata (falliti o che hanno richiesto accesso a procedure di sovraindebitamento); in tali casi, indipendentemente dal quantum della svalutazione, il mantenimento del valore nominale del credito, se non fruisce di privilegio o prelazione, dovrebbe eccedere l'ambito squisitamente valutativo. Non costituisce ovviamente questione valutativa l'iscrizione di crediti inesistenti o di crediti non ancora maturati.

Sui debiti: non costituiscono tematiche valutative la mancata iscrizione di debiti.

Quanto invece alle passività potenziali esse paiono rientrare nel perimetro delle valutazioni. Occorre domandarsi le conseguenze della mancata informativa in nota integrativa di quelle potenziati caratterizzate dalla probabilità di avveramento.

Ci si deve domandare se costituisca tematica valutativa l'insufficiente appostamento di interessi moratori maturati ex lege sui debiti commerciali. Gioca a favore della ipotesi valutativa il fatto che il track record storico non dia evidenza, in passato, di richieste di pagamento di interessi da parte dei fornitori.

Sui fondi: quando caratterizzati da incertezza nell'an e nel quantum la tematica è sicuramente valutativa.

Ci si deve domandare se la certezza nell'an e l'incertezza del quantum, in caso di mancanza assoluta di qualsivoglia appostamento, possa ancora considerarsi questione valutativa.

Sulla rilevanza penale delle valutazioni si veda la news "Tuttora punibile il falso c.d. valutativo"

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