Modifiche statutarie dei diritti di partecipazione dei soci e diritto di recesso

20 Novembre 2015

Il recesso del socio nella disciplina della società per azioni, come risultante dalla riforma del 2003, va considerato un'ipotesi di disinvestimento alternativa alla cessione delle azioni sul mercato per il socio di minoranza dissenziente rispetto a vicende societarie significative. In tale contesto sistematico la normativa in tema di recesso non pare più qualificabile come eccezionale, sicché non possono condividersi interpretazioni restrittive fondate su indici non univoci.
Massima

Il recesso del socio nella disciplina della società per azioni, come risultante dalla riforma del 2003, va considerato un'ipotesi di disinvestimento alternativa alla cessione delle azioni sul mercato per il socio di minoranza dissenziente rispetto a vicende societarie significative. In tale contesto sistematico la normativa in tema di recesso non pare più qualificabile come eccezionale, sicché non possono condividersi interpretazioni restrittive fondate su indici non univoci.

Le modificazioni statutarie concernenti i diritti di partecipazione dei soci – secondo quanto previsto dall'art. 2437, comma 1, lett. g,) c.c. – vanno individuate non solo nelle modificazioni statutarie incidenti sui diritti di partecipazione patrimoniale ma anche in quelle incidenti sui diritti di partecipazione amministrativa dei soci, tra i quali va senz'altro ricompreso il diritto del socio di presentare una lista per la nomina dell'organo amministrativo.

Il caso

I soci titolari di una partecipazione di minoranza in una società per azioni hanno impugnato le deliberazioni, adottate in loro assenza, concernenti l'aumento del capitale sociale e una modifica dello statuto funzionale ad eliminare il voto di lista per la nomina dell'organo amministrativo (e quindi la previsione che ogni socio potesse presentare una lista).

Secondo tali soci, la prima deliberazione sarebbe stata frutto di un abuso, essendo diretta a diluire indebitamente la partecipazione dei soci di minoranza, in quanto l'aumento di capitale non era giustificato da alcuna reale esigenza patrimoniale della società.

Quanto alla seconda deliberazione, che aveva eliminato la previsione del voto di lista dallo statuto, gli impugnanti hanno sostenuto che essa dovesse essere annullata in quanto – poiché essa comportava il diritto di recesso ai sensi dell'art. 2437, comma 1, lett. g), c.c. – non era stata preceduta dalla determinazione del valore di liquidazione delle azioni ai sensi dell'art. 2437-ter, comma 5, c.c.

La società convenuta ha eccepito che l'aumento di capitale doveva ritenersi giustificato alla luce delle vicende sociali, caratterizzate da perdite occorse negli esercizi precedenti e da una contrazione degli affidamenti bancari. Eccepiva inoltre, quanto alla deliberazione che aveva eliminato la previsione del voto di lista per la nomina degli amministratori, che essa non avrebbe legittimato il diritto di recesso, in quanto la fattispecie prevista dall'art. 2437, comma 1, lett. g) c.c. riguarderebbe le solo modifiche statutarie relative ai diritti di voto connessi alla aticipità delle azioni ovvero relative ai soli diritti di partecipazione di natura patrimoniale.

Il Tribunale ha rigettato l'impugnazione della deliberazione di aumento del capitale, in quanto – alla luce delle difese della conventa – gli indici di abuso indicati dai soci di minoranza non risultavano dotati di carattere univoco quanto alla dimostrazione che la deliberazione fosse finalizzata a realizzare un vantaggio ingiustificato dei soci di maggioranza a danno degli altri.

Riguardo all'impugnazione della deliberazione che escludeva il voto di lista per la nomina degli amministratori, il Tribunale ne ha sancito l'annullamento statuendo che tale deliberazione rientrasse fra quelle legittimanti il diritto di recesso del socio ai sensi dell'art. 2437, comma, 1, lett. g), c.c. e che, in mancanza della disponibilità, in capo ai soci, della determinazione del valore di liquidazione delle azioni prima dell'assemblea, la deliberazione dovesse ritenersi viziata.

Le questioni

La sentenza in commento ha affrontato il tema dell'ambito di applicazione della norma dell'art. 2437, comma 1, lett. g) c.c., dettata in tema di società per azioni, che configura un'ipotesi inderogabile di recesso del socio che non abbia concorso alle deliberazioni riguardanti le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.

La locuzione usata dal legislatore (diritti di voto o di partecipazione), come è stato sottolineato dalla dottrina, risulta molto vaga, dai confini difficilmente definibili (cfr. Calandra Buonaura, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. comm., 2005, I, 294; Di Cataldo, Il recesso del socio di società per azioni, in Il nuovo diritto delle società, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, Torino, 2007, 228; Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, Milano, 2012, 19; Cavalaglio, sub art. 2357, in Comm. cod. civ. diretto da E. Gabrielli, Torino, 2015, 1184).

Di fronte all'incerta portata dell'espressione diritti di partecipazione – priva di una precisa definizione giuridica - la dottrina si è sostanzialmente divisa. Parte di essa propone un'interpretazione restrittiva, limitata ai soli diritti patrimoniali (inerenti agli utili ed al ricavato della liquidazione Cagnasso, Il recesso, in Trattato Cottino, IV, Torino, 2010; Galgano, Il nuovo diritto societario, in Trattato Galgano, Padova, 2003, 360; Paciello, sub art. 2437, in Commentario Niccolini - Stagno D'Alcontres, Napoli, 2004, 1114; Ventoruzzo, op. cit., 21 s.). La necessità di un'interpretazione restrittiva è stata ravvisata nell'esigenza di non ampliare eccessivamente i casi di recesso, valorizzando peraltro la contrapposizione con la prima parte della norma, relativa ai diritti di voto (Cagnasso, op. loc. citt.).

Altra parte della dottrina propone una lettura che comprenda anche i diritti amministrativi ulteriori rispetto ai diritti di voto (Calandra Buonaura, op. cit., 295 s.; Di Cataldo, op. cit., 228 s.; Cavalaglio, op. cit., 1185 s.; Butturini, Le fattispecie legali di recesso introdotte dalla riforma delle società di capitali, in Contr. e impr., 2008, 374; Fauceglia, Recesso del socio ed ‘aggravio indiretto' dei diritti di voto, in Giur. comm., 2015, II, 870; Sacchi, Autonomia statutaria, competizione fra ordinamenti e giurisprudenza comunitaria, in Riv. dir. civ., 2004, II, 76).

A fronte della difficoltà di individuare una definizione aprioristica della nozione di diritti di partecipazione, facendo riferimento a categorie predefinite (cfr. Abu Awwad, ‘Diritti di voto e di partecipazione' fra recesso e assemblee speciali, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, I, 318) il dibattito si è esteso anche alla necessità di precisare se legittimino il recesso anche le modificazioni incidenti indirettamente sui diritti di voto o di partecipazione, posto che la norma fa riferimento alle modificazioni concernenti tali diritti (e non alle modificazioni dei diritti, cfr. Butturini, op. cit., 375).

La considerazione che qualsiasi intervento sullo statuto può indirettamente determinare una modificazione dei diritti dei soci (cfr. Abu Awwad, op. cit., 331) ha portato parte della dottrina a sostenere che il recesso possa seguire soltanto a modificazioni incidenti direttamente su tali diritti (cfr. Calandra Buonaura, op. cit., 295 s.; Di Cataldo, op. cit., 228; Fauceglia, op.cit., 871 s.; contra: Butturini, op. cit., 375); mentre, concordemente, si ritengono escluse dal perimetro normativo le modifiche che di fatto incidano sui diritti del socio (ad esempio l'aumento del capitale sociale, cfr. Ventoruzzo, op. cit., 22; Fauceglia, op.cit., 871; Cavalaglio, op. cit., 1186; cfr. inoltre Butturini, op. cit., 375, il quale evidenzia che nelle modifiche indirette legittimanti il recesso il socio non può evitare un cambiamento della propria posizione, mentre in caso di aumento del capitale può mantenere inalterata la propria partecipazione esercitando il diritto di opzione).

Incerto continua tuttavia a rimanere il perimetro di applicazione della norma: si dubita, ad esempio, se le modifiche che comportino l'adozione del sistema dualistico in luogo del sistema tradizionale di amministrazione e controllo, che incidono sui diritti di voto in quanto vengono sottratti ai soci l'approvazione del bilancio a la legittimazione a deliberare l'azione di responsabilità, comportino il diritto di recesso (cfr. Ventoruzzo, op. cit., 22). Non è mancato, contro l'opinione di chi è favorevole (Sacchi, op. loc. citt.) chi ha invece sostenuto che una soluzione positiva finirebbe per estendere eccessivamente l'ambito del recesso, attribuendo al socio un inesistente diritto di mantenere l'assetto statutario originario (Fauceglia, op.cit., 872; nello stesso senso, Calandra Buonaura, op. cit, 295).

Anche la giurisprudenza appare divisa. Se in un caso, infatti, ha statuito che nei diritti di partecipazione rientrano i diritti amministrativi collegati alla titolarità delle azioni (Trib. Roma, 21 gennaio 2013, in Foro pad., 2013, I, 469 s.), in altra occasione ha ritenuto che i casi di recesso dettati dalla legge siano soggetti ad una interpretazione restrittiva, concludendo che il diritto di voto sia “quello statutariamente attribuito a ciascuna azione”, mentre quello di partecipazione “non può che concernere l'aspetto patrimoniale relativo agli utili” (App. Brescia, 2 luglio 2014, in Riv. dott. comm., 2015, 123 s.).

Una pronuncia ha affermato che legittimano il recesso solo le “deliberazioni che hanno direttamente ad oggetto la modificazione dei diritti di voto o di partecipazione”, incidendo “pariteticamente, sia sul piano qualitativo sia sul piano quantitativo, sul diritto di voto di ciascun socio” ed ha quindi escluso che rientrasse in tale categoria la delibera che modificava lo statuto introducendo soglie più alte nei meccanismi per il voto di lista, limitando la possibilità per i soci di minoranza di nominare un amministratore ma non escludendo il generico diritto di nomina dei soci (Trib. Roma, 30 aprile 2014, dec., in Giur. comm., 2015, II, 864 ss.; nel senso di escludere l'applicazione della norma in commento alle delibere che incidano indirettamente sui diritti di voto o partecipazione cfr. App. Bologna, 2 luglio 2015).

La sentenza in commento si è inserita in tale dibattito partendo dalla constatazione della portata innovativa della riforma del 2003, che nel disciplinare il diritto di recesso ha individuato, come evidenziato in dottrina, “un nuovo punto di equilibrio fra potere della maggioranza e diritti individuali dei soci”, di modo che al rafforzamento del principio maggioritario (e quindi alla compressione del diritto di veto del socio di minoranza) fa da contrappeso l'estensione del diritto di recesso (Calandra Buonaura, op. cit., 292; in termini Daccò, Diritti particolari e recesso dalla s.r.l., Milano, 2013, 37 ss.). Tale considerazione, secondo il tribunale, induce ad adottare un'interpretazione non restrittiva della formula normativa diritti di partecipazione, che includa entrambe le categorie dei diritti patrimoniali e dei diritti amministrativi, tra i quali ultimi va ricompreso “il diritto del socio di presentazione di lista per la nomina dell'organo amministrativo, tale presentazione risolvendosi nella facoltà, riconosciuta statutariamente ad ogni socio, di concorrere alla nomina dell'organo gestorio secondo uno schema estraneo alla regola di maggioranza”.

Osservazioni

Appare condivisibile l'interpretazione della locuzione diritti di voto o di partecipazioneresa dalla pronuncia in commento, ed in particolare l'analisi ermeneutica basata sul diritto di recesso inteso come rimedio compensativo all'ampliamento dei poteri della maggioranza.

Va notato tuttavia che solo apparentemente tale sentenza si pone in contrasto con il precedente, in essa indicato come dissenziente, costituito da Trib. Roma, 30 aprile 2014, cit. Anche la sentenza commentata sembra infatti escludere dalle ipotesi di recesso le modificazioni che non incidano direttamente sui diritti di partecipazione: il discrimine fra le due pronunce sembra doversi cogliere nel fatto che, mentre l'ipotesi sottoposta al Tribunale di Roma riguardava la modifica del voto di lista, la fattispecie al vaglio del Tribunale di Milano concerneva l'eliminazione di tale metodo di voto.

Di conseguenza, mentre la prima fattispecie incideva solo indirettamente sui diritti della minoranza, la seconda si risolveva in una generalizzata compromissione della forma organizzativa in vigore, incidendo direttamente sul diritto di ciascun socio di concorrere alla nomina dell'organo amministrativo presentando una lista.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.