La responsabilità degli amministratori di s.p.a. e l’arbitrato; la rilevanza della condotta antigiuridica “per sé” degli amministratori

Antonio Franchi
22 Settembre 2015

Non sussiste alcuna contraddizione fra la clausola (arbitrale) e la devoluzione in arbitrato delle controversie fra amministratori e fra amministratori e sindaci: si tratta di una scelta, discrezionale e per giunta razionale, mirata ad evitare l'appesantimento delle azioni di responsabilità verso gli amministratori con il fardello delle azioni di regresso fra i soggetti chiamati in responsabilità solidale.
Massime

Non sussiste alcuna contraddizione fra la clausola (arbitrale) e la devoluzione in arbitrato delle controversie fra amministratori e fra amministratori e sindaci: si tratta di una scelta, discrezionale e per giunta razionale, mirata ad evitare l'appesantimento delle azioni di responsabilità verso gli amministratori con il fardello delle azioni di regresso fra i soggetti chiamati in responsabilità solidale.

L'adesione degli amministratori alla clausola compromissoria da altri (i soci) predisposta con la redazione dello statuto, effettuata attraverso l'accettazione della carica, non ha effetto nei soli confronti della società, controparte del rapporto contrattuale, ma anche verso gli altri amministratori, pur in difetto di un rapporto contrattuale intercorrente specificamente con essi.

La creazione e gestione di fondi occulti, oltre che illecita in sé e verso terzi, lo è automaticamente e necessariamente verso la società.

La società attrice in risarcimento del danno deve solo provare l'uscita di cassa di somme prelevate dall'amministratore che invece è tenuto a provare e giustificare gli impieghi effettuati.

Il caso

Con atto di citazione, la s.p.a. attrice citava in giudizio gli ex amministratori delegati, al fine di vederne accertata la responsabilità, ai sensi dell'art. 2392 c.c., per il compimento di atti di mala gestio e ottenerne la condanna al risarcimento dei danni.

In particolare, la società contestava ai convenuti la creazione di fondi occulti mediante l'omissione della contabilizzazione delle commissioni che gli alberghi esteri riconoscevano alla società a titolo di remunerazione per l'attività di intermediazione, prenotazione e pagamento di servizi alberghieri.

I convenuti si costituivano in giudizio, eccependo, in via preliminare, l'incompetenza del Tribunale, in ragione della presenza nello statuto sociale di una clausola compromissoria, I convenuti non contestavano la creazione e la gestione dei fondi occulti, ma negavano, tuttavia, la sussistenza di un danno per la società, sostenendo che i fondi occulti, impiegati per doni e regalie ai manager delle aziende fornitrici e clienti, avessero generato “ingenti benefici economici” per la società, molto maggiori dei costi sostenuti.

Le questioni giuridiche

Fattispecie inerenti la responsabilità degli amministratori non contemplate nella clausola compromissoria statutaria

La clausola compromissoria dello Statuto della società attrice prevedeva il deferimento alla cognizione di un collegio di tre arbitri di “qualsiasi controversia tra gli azionisti o tra gli azionisti e la società relativa a qualsiasi diritto disponibile concernente rapporti societari, […]”, nonché di “qualsiasi controversia proposta tra gli amministratori, liquidatori e/o sindaci della Società”.

Pertanto, deve ritenersi che, mediante la previsione di una tale clausola, i soci abbiano inteso escludere dall'ambito di applicazione della stessa le controversie tra la società e gli amministratori, quali quelle ai fini dell'accertamento della responsabilità di questi ultimi, residuando la competenza decisoria in tale materia in capo al Giudice ordinario.

Il Tribunale di Torino, in effetti, ha correttamente osservato che, da un punto di vista sistematico, appare ragionevole la scelta di devolvere in arbitrato soltanto le controversie tra amministratori e tra amministratori e sindaci, giacché tale delimitazione della competenza del Giudice ordinario consente una maggiore celerità del processo, evitandosi “l'appesantimento delle azioni di responsabilità verso gli amministratori con il fardello delle azioni di regresso fra i soggetti chiamati in responsabilità solidale” (si vedano anche Cass. 17 luglio 2012, n. 12333; Trib. Milano 7 maggio 2012, n. 5240; Trib. Trento 3 maggio 2012, in Fisco on line, 2013).

Mi pare, inoltre, utile sottolineare il ragionamento svolto dal Giudice sull'interpretazione della clausola statutaria in oggetto, per il quale “se [l'art. 1362 c.c.] impone al giudice la ricerca della comune intenzione delle parti, senza arrestarsi al mero esame del senso letterale delle parole, richiede pur sempre il rispetto del valore semantico del linguaggio, precludendo un'attività ermeneutica in assoluto e insanabile contrasto con il significato comunemente attribuito alle espressioni usate” (sul punto si vedano Cass. 15 maggio 1987, n. 4472, in Giust. civ. Mass., 1987, 5; Cass. 13 luglio 2004, n. 12957; Cass. sez. lav., 3 giugno 2014, n. 12360).

L'adesione alla clausola compromissoria da parte di amministratori, sindaci e liquidatori

In merito all'applicazione della clausola compromissoria nei confronti di terzi non soci, che non hanno partecipato alla redazione della stessa, occorre richiamare l'art. 34, comma 1, D.Lgs. n. 5/2003, secondo cui le clausole compromissorie statutarie possono prevedere la devoluzione agli arbitri delle “controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell'accettazione dell'incarico, è vincolante per costoro”.

Si consideri, a riguardo, che l'automatica estensione degli effetti della clausola ai componenti degli organi sociali è ritenuta da una parte della dottrina in violazione del “principio della libera scelta” dell'arbitrato (si vedano F. P. Luiso, Appunti sull'arbitrato societario, in Riv. dir. proc., 2003, 714; G. Ruffini, Il nuovo arbitrato per le controversie societarie, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, 517, nt. 88; M. Bove, L'arbitrato nelle controversie societarie, in Giust. civ., 2003, II, 483; M. Bove, L'arbitrato societario tra disciplina speciale e (nuova) disciplina di diritto comune, in Riv. dir. proc., 2008, 939).

Tuttavia, una volta inserita nello statuto, la clausola compromissoria diventerebbe una “regola del gruppo” e sarebbe pertanto destinata a regolare tutti i rapporti inerenti il “gruppo sociale”, del quale farebbero parte anche gli amministratori e i sindaci della società (si vedano E. F. Ricci, Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 524; G. Arieta, F. De Santis, Diritto processuale societario, Padova, 2004, 611). L'accettazione dell'incarico da parte di amministratori e sindaci rappresenterebbe così un'adesione implicita a tale clausola (si veda E. Zucconi Galli Fonseca, La convenzione arbitrale rituale rispetto ai terzi, Milano, 2004, 519; Trib. Milano, 20 aprile 2009 n. 5199, in Giustizia a Milano, 2009, 4, 30; Trib. Milano, 11 giugno 2014, n. 7710).

D'altro canto, il soggetto che non volesse assoggettarsi alla clausola compromissoria potrebbe sempre non accettare l'incarico di sindaco o di amministratore che gli venga offerto (A. Stesuri, Gli arbitrati societari, Torino, 2005, 165).

La chiamata di un terzo in arbitrato

Interessante risulta, poi, in generale, il tema della chiamata in arbitrato di un terzo, che, in base all'art. 816-quinquies, comma 1 c.p.c., è ammessa solo con l'accordo del terzo e delle parti e con il consenso degli arbitri”.

A riguardo, si deve distinguere l'ipotesi in cui il terzo chiamato sia vincolato al patto compromissorio da quella in cui esso vi risulti estraneo.

Nel primo caso non pare necessario un ulteriore consenso né del terzo né delle parti del giudizio, essendo questi vincolati, gli uni nei confronti degli altri, avendo già accettato in precedenza la clausola arbitrale; né sembra debba ottenersi il consenso degli arbitri in funzione dell'accettazione dell'incarico da questi resa (si vedano G. F. Ricci, sub art. 816-quinquies c.p.c., in Arbitrato, a cura di F. Carpi, Bologna, 2007, 47, nt. 14; E. Zucconi Galli Fonseca, Collegamento negoziale e arbitrato, in I collegamenti negoziali e le forme di tutela, Milano, 2007, 94 ss.; M. Bove, L'arbitrato societario tra disciplina speciale e (nuova) disciplina di diritto comune, cit., 948 s.)

Tuttavia, il consenso del terzo chiamato sarebbe necessario qualora (diversamente rispetto a quanto previsto nell'arbitrato societario, ove, in base all'art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003, la clausola compromissoria statutaria prevede, a pena di nullità, che la nomina degli arbitri sia effettuata da un terzo estraneo alla società) il terzo, pur soggetto al patto compromissorio, non abbia partecipato alla nomina degli arbitri. Il meccanismo di nomina del collegio arbitrale non consentirebbe infatti una posizione paritaria del terzo chiamato rispetto a quella delle parti originarie (si vedano F. P. Luiso, B. Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006, 292; G. Lipari, sub art. 816-quinquies c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di A. Briguglio e B. Capponi, III, 2, Padova, 2009, 784 ss.; C. Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche, Torino, 2010, III, 217; L. Salvaneschi, sub art. 816-quinquies c.p.c., in La nuova disciplina dell'arbitrato. Commentario agli artt. 806-840 c.p.c., a cura di S. Menchini, Milano, 2010, 254 ss.)

Qualora invece il terzo non sia vincolato al patto compromissorio, questo non potrebbe essere chiamato in arbitrato senza il suo consenso, risultando altrimenti privato del diritto costituzionalmente garantito di accedere alla tutela giurisdizionale davanti al giudice ordinario (si vedano G.F. Ricci, sub art. 816-quinquies c.p.c., in Arbitrato, cit., 457; F. P. Luiso, Diritto processuale civile, cit., IV, 395; F. P Luiso, B. Sassani, La riforma del processo civile, cit., 292; E. Fazzalari, L'arbitrato, cit., 61 s.; G. Ruffini, L'intervento nel giudizio arbitrale, cit., 662; Coll. Arb., 27 gennaio 1994, in Riv. arbitrato, 1995, 781 ss.; Coll. Arb., 24 febbraio 1993, in Arch. giur. op. pubbl., 1994, 538 ss.; Coll. Arb., 27 ottobre 1992, in Arch. giur. op. pubbl., 1994, 371 ss.; Coll. Arb. 17 ottobre 1988, in Arch. giur. op. pubbl., 1989, 580 ss).

L'antigiuridicità per sé della condotta degli amministratori

Il Tribunale di Torino ritiene che la creazione e la gestione di fondi occulti mediante prelievo dalle casse sociali da parte degli amministratori costituisca di per sé un'azione dannosa sufficiente a determinare la responsabilità civile degli amministratori stessi, qualora non sia da questi fornita prova dell'impiego di tali somme a favore della società.

Nel caso di specie, quindi, sembra che venga a determinarsi un'automatica attenuazione dell'onere della prova del danno in capo alla società attrice. Gli amministratori, infatti, devono dimostrare di avere impiegato a favore della società le somme distratte dalle casse sociali e, in assenza di tale prova/giustificazione, la sola prova della distrazione di somme deve ritenersi sufficiente a sostanziare e dimostrare l'esistenza di un danno risarcibile a carico della società (si vedano Cass. 22 giugno 1990, n. 6278; App. Milano 20 dicembre 2002, Giur. Milanese, 2004, 124; Trib. Milano 21 aprile 2005, in Giur. comm., 2007, II, 675; Trib. Milano 2 luglio 2013 e Trib. Milano 25 giugno 2013; C. Sasso, Irregolarità di bilancio e responsabilità degli amministratori e sindaci, Milano, 2000, 10).

Osservazioni

La sentenza in esame indica, in maniera del tutto condivisibile, che in una clausola compromissoria di una s.p.a. sia ragionevole prevedere che le controversie tra amministratori e società siano di competenza del Giudice ordinario e che soltanto le controversie tra la società e i soci e quelle tra amministratori, liquidatori e/o sindaci siano devolute alla competenza arbitrale. In tal modo, infatti, la società non vede ritardata la trattazione delle azioni di responsabilità verso gli amministratori dagli accertamenti circa il regime di responsabilità interna dei condebitori.

La sentenza fornisce, inoltre, una lettura interessante con riguardo alla rilevanza a fini risarcitori dell'antigiuridicità della condotta degli amministratori, individuando ipotesi di attenuazione e/o inversione dell'onere della prova.

Quanto alle altre questioni affrontate, sull'operatività della clausola compromissoria nei confronti di soggetti non soci e di terzi chiamati nel procedimento arbitrale, la pronuncia si allinea con l'orientamento maggioritario di dottrina e giurisprudenza.

Conclusioni

Sono condivisibili i principi affermati dalla sentenza qui commentata, sia relativamente all'impostazione e all'interpretazione delle clausole compromissorie statutarie, sia con riguardo alla rilevanza dell'antigiuridicità per sé della condotta degli amministratori in caso di occultamento ingiustificato di risorse della società.