Le principali novità introdotte dal d.l. 83/2015 in materia fallimentare

22 Settembre 2015

In data 21 agosto è entrata in vigore la legge 6 agosto 2015 n. 132 di conversione del decreto legge 27 giugno 2015 n. 83, che ha dettato una serie di misure in materia fallimentare, civile e processuale civile, nonché di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria. Il presente contributo mira ad analizzare le principali novità introdotte dal legislatore in materia fallimentare.
Premessa

In data 21 agosto è entrata in vigore la legge 6 agosto 2015 n. 132 di conversione del decreto legge 27 giugno 2015 n. 83, che ha dettato una serie di misure in materia fallimentare, civile e processuale civile, nonché di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria.

Il presente contributo mira ad analizzare le principali novità introdotte dal legislatore in materia fallimentare.

La ratio che ha ispirato l'importante riforma è ben evidenziata dal comunicato stampa reso noto dal Governo nel quale si legge che le modifiche introdottemuovono da un principio comune: un'azienda con problemi rischia di trascinare con sé altre imprese (fornitori di beni e servizi e intermediari finanziari) continuando a contrarre obbligazioni che non potrà soddisfare. Affrontare tempestivamente i casi di crisi aziendale consente di limitare le perdite del tessuto economico, sia nella dimensione strettamente imprenditoriale sia sul piano finanziario, o di risanare l'azienda, con benefici sul piano occupazione e più in generale tutelando il tessuto economico contiguo.

In altri termini, dunque, la ratio ispiratrice della riforma appare essere quella di ottimizzare la gestione della crisi impresa al fine di limitarne i riflessi negativi sul connesso contesto economico – sociale.

Si tratta, in realtà, di modifiche ampie, che riguardano il finanziamento alle imprese in crisi, con la finalità di incentivarne l'accesso al credito, il concordato preventivo, la figura del curatore fallimentare, l'introduzione di un nuovo accordo di ristrutturazione dei debiti con intermediari finanziari e di una convenzione di moratoria con i medesimi soggetti, in entrambi i casi applicabili solo in presenza di una forte esposizione con le banche.

Finanza interinale

In primo luogo, il legislatore (intervenendo con una modifica dell'art. 182-quinquies l. fall.) ha introdotto un istituto volto a consentire alle imprese in crisi di accedere al credito (indispensabile per la continuità aziendale) nella fase temporale antecedente la definizione dello strumento giuridico volto a risolvere lo stato di crisi e durante la quale l'imprenditore si trova spesso in grave carenza di liquidità.

In altri termini, ora, con le modifiche introdotte dalla novella in esame, il debitore che ha presentato anche solo un “concordato in bianco” (art. 161, comma 6, l. fall.), ovvero un accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis l. fall.) o ancora un “pre-accordo” (art. 182-bis, comma 6, l. fall.) può depositare in tribunale uno specifico ricorso finalizzato a ottenere l'autorizzazione a contrarre in via d'urgenza finanziamenti funzionali a urgenti necessità per l'esercizio dell'attività aziendale.

In particolare, si è previsto che il debitore possa chiedere al tribunale di essere autorizzato in via di urgenza a contrarre finanziamenti (prededucibili per i creditori che li hanno concessi) funzionali ad urgenti necessità relative all'esercizio dell'attività aziendale fino, rispettivamente, alla scadenza del termine fissato dal tribunale per il deposito del piano e della proposta di concordato preventivo, oppure fino all'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti o alla scadenza del termine per la presentazione dell'intesa di ridefinizione delle passività.

Il relativo ricorso presentato dal debitore deve specificare la destinazione dei finanziamenti, l'incapacità di reperirli in altro modo e, in particolare, deve dare atto che la mancata erogazione di tali finanziamenti cagionerebbe un pregiudizio grave ed irreparabile all'azienda.

In presenza di tali presupposti il tribunale decide in camera d consiglio entro dieci giorni dal deposito dell'istanza di autorizzazione, eventualmente dopo aver assunto sommarie informazioni sul piano e sulla proposta in corso di elaborazione, una volta sentito il commissario giudiziale e, se del caso, i principali creditori senza formalità.

La richiesta in oggetto, può, inoltre, riguardare anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda. L'estensione del beneficio della prededucibilità anche alle linee di credito autoliquidanti già in essere alla data di deposito dell'istanza di autorizzazione potrebbe, tuttavia, prestare il fianco alla critica secondo cui le medesime verrebbero ad avere un trattamento migliore in caso di fallimento. In altri termini, se per un verso si offre all'imprenditore una possibilità in più, per altro verso la creazione di crediti prededucibili potrebbe incidere sulla sorte dei creditori concorrenti. Al riguardo il legislatore non ha fornito alcuna precisazione, ma si potrebbe comunque ritenere che con l'espressione “linee di credito autoliquidanti” si sia riferito alle aperture di credito di norma erogate dalle banche, a fronte di operazioni che vedano i crediti sottostanti ceduti alla banca come naturale conseguenza delle anticipazioni (e, dunque, le anticipazioni su fattura, ovvero su RI.BA., ovvero su RID, ovvero le anticipazioni di credito alle esportazioni e in genere le più varie forme di anticipazione che vedano come contropartita per la banca la cessione di un credito portato da un titolo proprio o improprio).

La tipologia di finanziamento che può essere autorizzato viene poi estesa mediante un'integrazione del comma tre dell'art. 182-quinquies l. fall., dove si prevede che l'autorizzazione richiesta al tribunale possa coprire anche la concessione di pegno o ipoteca a garanzia dei medesimi finanziamenti. Dopo la parola ipoteca viene, infatti, aggiunta l'espressione “o a cedere crediti” con ciò intendendosi le forme di credito autoliquidante di cui sopra.

Concordato preventivo

Altre importanti modifiche introdotte con la riforma in esame riguardano l'istituto del concordato preventivo, e si muovono in un'ottica di accrescimento della competitività e della concorrenza tra i creditori.

Anzitutto, con l'introduzione dell'art. 163-bis l. fall., si è prevista una procedura competitiva per i concordati preventivi basati sull'affitto e successivo acquisto di azienda da parte di soggetti già determinati nella domanda.

In effetti, la predetta norma prevede che possano essere presentate offerte alternative per l'acquisto dell'azienda o di un suo ramo o di specifici beni. Sulle offerte concorrenti si esprimerà il tribunale, aprendo una procedura competitiva finalizzata alla migliore soddisfazione dei creditori.

Tale norma, dunque, si pone l'obiettivo di consentire a chiunque di presentare offerte competitive per l'acquisto dell'azienda, di rami dell'azienda o di specifici beni del debitore, allorquando tali beni siano oggetto di un piano di concordato che ne preveda la cessione a soggetti previamente indicati e per un prezzo già predeterminato.

La citata norma è intervenuta a regolare una prassi largamente diffusa: il debitore insolvente o in crisi decide di cedere la propria azienda (o un ramo della stessa o un cespite significativo) ad un soggetto da lui prescelto. Tale soggetto formula un'offerta di acquisto ovvero stipula un contratto preliminare o altra tipologia negoziale con il debitore avente ad oggetto il trasferimento del bene. L'accordo viene trasfuso nel piano concordatario e sottoposto all'approvazione dei creditori, con conseguente aggiramento delle procedure competitive attraverso le quali il cespite si sarebbe dovuto vendere all'esito dell'omologazione (spuntandosi, verosimilmente, un prezzo maggiore); ma anche con la certezza, per i creditori, di avere un acquirente disposto a corrispondere una somma, certificata come congrua dall'attestatore.

È indubbio che un tale fenomeno possa essere potenzialmente lesivo della concorrenza, perché consente al cedente di effettuare le alienazioni degli assets più appetibili, se non dell'intera azienda, a prezzi inferiori a quelli di mercato e a soggetti spesso compiacenti o allo stesso legati; e si tratta di alienazioni che spesso i creditori sono costretti ad accettare, a fronte del rischio di soluzioni fallimentari.

L'intervento del legislatore intende, pertanto, porre fine a queste prassi distorsive del mercato, consentendo l'apertura di una procedura competitiva in relazione al bene (azienda, ramo d'azienda o cespite) oggetto del negozio di trasferimento tra debitore e acquirente.

Sempre nell'ottica di accrescere la competitività e la concorrenza nell'ambito della procedura concordataria, il legislatore ha modificato, altresì, l'art. 163 l. fall. consentendo ai creditori la presentazione di proposte di concordato alternative a quella presentata dall'imprenditore all'assemblea dei creditori. In particolare, la possibilità adesso prevista che la proposta del debitore sia messa in competizione con altre successive proposte persegue l'obiettivo del migliore soddisfacimento dei creditori, sia in via diretta, agevolando la presentazione di proposte più convenienti, sia in via indiretta, disincentivando il debitore a presentare, in modo opportunistico, proposte insufficienti.

A seguito di tale modifica, uno o più creditori che rappresentino almeno il 10% dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale attestata nella relazione di cui all'art. 161, comma 1, lettera e), l. fall. possono presentare una proposta concorrente di concordato preventivo e il relativo piano. Tale proposta non potrà essere ammessa se la proposta di concordato del debitore assicura comunque il pagamento, anche dilazionato, di almeno il 40% dei crediti chirografari. In sede di conversione la disposizione è stata riformulata precisando, altresì, che, in caso di concordato con continuità aziendale, la proposta alternativa non può essere ammessa se la proposta del debitore soddisfa almeno il 30% dei crediti chirografari.

Tali crediti possono anche essere acquisiti successivamente al deposito del ricorso per concordato preventivo e, tuttavia, la percentuale (nella quale non possono essere considerati “i crediti della società che controlla la società debitrice, delle società da questa controllate e di quelle sottoposte a comune controllo”) deve risultare alla data di presentazione della proposta, che non può essere depositata oltre 30 giorni prima dell'adunanza dei creditori. A sua volta, quest'ultima deve essere fissata dal tribunale non oltre 120 giorni dalla data del decreto di ammissione, con un considerevole spostamento in avanti del termine originario (30 giorni), cui non è corrisposto un analogo ampliamento del termine di durata della procedura, ancora fissato in 6 mesi, prorogabile di ulteriori 2 mesi.

La facoltà dei creditori di presentare proposte concorrenti ha mutato anche il ruolo del commissario giudiziale, il quale diviene l'interlocutore per acquisire le informazioni utili alla predisposizione delle medesime proposte.

Ed, infatti, il commissario ha l'onere:

a) di fornire ai creditori che ne fanno richiesta, previa valutazione di congruità della stessa e assunzione di obblighi di riservatezza, le informazioni utili per la presentazione di proposte concorrenti, tenuto conto delle scritture contabili e fiscali obbligatorie e di ogni altra informazione rilevante in suo possesso;

b) in caso di deposito di proposte concorrenti, di redigere una relazione integrativa contenente una particolareggiata comparazione tra tutte le proposte depositate, da depositare in cancelleria e comunicare ai creditori, con le modalità previste per la comunicazione della originaria proposta del debitore, almeno 10 giorni prima dell'adunanza dei creditori;

c) di comunicare ai creditori le proposte integrative nella loro interezza, analogamente a quanto avviene per la proposta del debitore ai sensi dell'art. 171, comma 2, l. fall.;

d) di redigere una relazione integrativa da comunicare ai creditori in caso di modifica delle proposte concordatarie (ivi compresa quella del debitore), che può intervenire non oltre 15 giorni prima dell'adunanza;

e) di redigere una relazione integrativa da comunicare ai creditori ogni qual volta emergano notizie rilevanti ai fini del voto.

Attraverso la modifica dell'art. 177 l. fall., in ordine alla maggioranza per l'approvazione del concordato, tenendo conto dell'introduzione delle proposte concorrenti, si dispone che quando sono poste al voto più proposte di concordato, si considera approvata quella che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto; in caso di parità prevale quella del debitore o, in caso di parità fra proposte di creditori, quella presentata per prima. Se non si raggiungono le maggioranze richieste il giudice rimette al voto la sola proposta che ha raggiunto la maggioranza relativa. In ogni caso deve essere raggiunta la maggioranza per l'approvazione del concordato. In sede di conversione è stato precisato che i creditori possono fare pervenire, entro venti giorni, il proprio voto (e non il proprio dissenso) in caso di rimessione al voto della sola proposta che ha raggiunto la maggioranza relativa dei crediti.

Ulteriori modifiche riguardano poi l'art. 185 l. fall. che prevede una serie di disposizioni finalizzate a dare esecuzione alla proposta di concordato dei creditori, tra cui l'ampliamento dei poteri di controllo del commissario giudiziale e la possibilità per il tribunale di revocare l'organo amministrativo e nominare un amministratore giudiziario in caso di mancato rispetto di quanto previsto.

Con l'art. 181 l. fall. è stato, inoltre, allungato da sei a nove mesi il termine concesso per l'omologazione del concordato preventivo.

In sede di conversione è stata completamente riscritta la norma del decreto (art. 4) contenente la disciplina della proposta di concordato preventivo.

Anzitutto, la proposta di concordato deve soddisfare (se non si tratta di concordato con continuità aziendale) almeno il 20% dei crediti chirografari e deve indicare le specifiche utilità ricavabili da ciascun creditore. Ciò, si è osservato in dottrina, per scoraggiare un uso del concordato distorto e scoraggiante per i creditori. Non sono, dunque, più ammessi i comportamenti scorretti di chi provava ad approfittare della procedura per liberarsi dei debiti a costo vicino allo zero: sono molti i casi di proposte che garantiscono meno del 5% della copertura. La regola non vale per il concordato con continuità, dal momento che in questi casi si cerca di far prevalere l'esigenza di tenere in vita l'azienda.

All'apertura della procedura di concordato preventivo il tribunale ordina al ricorrente di consegnare entro sette giorni al commissario giudiziale copia digitale delle scritture contabili. Il commissario giudiziale deve comunicare al PM tutti i fatti rilevanti ai fini di indagine penale e, nella relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, deve illustrare le utilità che, in caso di fallimento, possono essere apportate alle azioni risarcitorie o revocatorie che potrebbero essere promosse nei confronti di terzi.

Inoltre, importante novità è rappresentata dalla soppressione della disposizione secondo cui, in caso di silenzio dei creditori sulla proposta di concordato, essi siano da ritenere consenzienti ai fini del computo della maggioranza dei crediti. Invero, i creditori che non esercitano il voto possono farlo nei 20 giorni successivi alla chiusura del verbale.

Sul punto, in dottrina si è osservato che l'abolizione del silenzio assenso per il calcolo delle maggioranze utili per l'approvazione dei piani concordatari avrebbe lo scopo di assicurare una maggiore partecipazione e consapevolezza dei creditori al procedimento di approvazione del concordato preventivo. In particolare si è osservato che si tratterebbe di uno dei cambiamenti introdotti dal legislatore in grado di riequilibrare una legislazione sulla crisi di impresa assai sbilanciata nel corso degli anni nella tutela della impresa in crisi, a volte anche a danno delle aziende che con questa intrattengono rapporti commerciali.

Un'altra modifica di rilievo ha investito il tema dei contratti in corso di esecuzione al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo (art. 169-bis l. fall.). In proposito, infatti, si prevede che la richiesta di scioglimento del contratto ancora ineseguito o non compiutamente eseguito possa essere avanzata anche successivamente alla presentazione del ricorso di ammissione al concordato. Si è osservato che il legislatore, tuttavia, non ha chiarito se sospensione e scioglimento possano essere richiesti anche nel “concordato in bianco”. Lo scioglimento viene autorizzato dal Giudice delegato con decreto motivato (sentito l'altro contraente) ed ha effetto (così come la sospensione) dalla data di comunicazione all'altro contraente del decreto del giudice.

Vengono poi dissapati alcuni dubbi sulla portata della precedente formulazione della norma con espressa previsione della prededucibilità del credito derivante da prestazioni eseguite dopo la presentazione della domanda di concordato.

Infine si estendono anche al concordato preventivo i principi stabiliti per il fallimento in relazione allo scioglimento del contratto di leasing: il bene andrà restituito ma il locatore dovrà restituire le maggiore somme percepite in caso di vendita a terzi o di altra locazione.

Curatore fallimentare

Anche la figura del curatore fallimentare è stata interessata dalle novità introdotte dalla riforma, finalizzate a garantire maggiore trasparenza nei criteri di nomina nonché una maggiore celerità della procedura.

Anzitutto, nel suo testo originario il decreto 83 aveva previsto l'estensione da due a cinque anni, anteriori alla dichiarazione di fallimento, del periodo in cui vige l'incompatibilità alla nomina di chi ha concorso al dissesto dell'impresa. In sede di conversione è stato, invece, escluso che possa svolgere l'incarico di curatore colui che, in qualsiasi tempo, abbia concorso a cagionare il dissesto, con eliminazione di ogni riferimento temporale.

In sede di conversione è stato poi soppresso il requisito del possesso da parte del curatore della struttura organizzativa e dell'adeguatezza delle risorse, originariamente previsto, forse, nella prospettiva di garantire il rispetto dei più contratti tempi previsti dalla novella per la liquidazione dell'attivo.

Viene, inoltre, istituito presso il Ministero della Giustizia un registro nazionale volto a raccogliere i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori, con annotazione delle sorti delle procedure concorsuali.

Ponendo l'attenzione sulle esigenze di celerità del programma di liquidazione il legislatore ha previsto che il curatore dovrà predisporre il programma di liquidazione entro 60 giorni dalla redazione dell'inventario e in ogni caso non oltre 180 giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento, pena la possibilità di essere revocato per giusta causa in caso di mancato rispetto del termine senza giustificato motivo. Non si tratta di un termine perentorio, mancando sanzioni processuali al suo mancato rispetto, bensì di un termine acceleratorio e di obbligatoria osservanza, atteso che il suo mancato rispetto senza giustificato motivo è giusta causa di revoca del curatore.

Inoltre, il programma di liquidazione dovrà specificare il termine entro il quale sarà ultimata la liquidazione dell'attivo, che non potrà in ogni caso eccedere i due anni dalla sentenza dichiarativa di fallimento. Anche in questo caso, il mancato rispetto dei termini previsti dal programma di liquidazione costituisce una giusta causa di revoca del curatore.

Con la novella degli articoli 118 e 120 della l. fall. sono state introdotte importanti modifiche in materia di chiusura della procedura di fallimento.

In particolare, il nuovo articolo 118 consente di chiudere la procedura fallimentare anche in pendenza di giudizi, per i quali il curatore mantiene in ogni caso la legittimazione processuale, con la previsione di una specifica disciplina in ordine alle somme necessarie per le spese future. Al riguardo si prevede che le somme necessarie a coprire le spese di giudizio nonché quelle ricevute per effetto di provvedimenti non definitivi sono trattenute dal curatore. Dopo la chiusura del fallimento le somme trattenute e quelle che residuano dagli accantonamenti sono ripartite tra i creditori. In proposito si è osservato che l'esigenza sottesa alla nuova disciplina, comune a quella sottostante alle modifiche dei termini per la liquidazione dell'attivo, è quella di limitare drasticamente le ipotesi di durata della procedura fallimentare oltre i termini massimi previsti dalla legge 89/01 (cd. legge Pinto) e, quindi, il pericolo, per le finanze pubbliche, di esborsi collegati alle possibili azioni risarcitorie derivanti dalla eccessiva durata della procedura fallimentare.

Eventuali sopravvenienze dell'attivo derivanti dalla conclusione dei giudizi pendenti non comportano la riapertura della procedura di fallimento. Si prevede in ogni caso la permanenza in carico del curatore e del giudice delegato quando, nonostante la chiusura del fallimento, pendano giudizi inerenti i rapporti patrimoniali del fallito.

Ristrutturazione del debito

Infine, un'importante novità introdotta dal legislatore in materia fallimentare è rappresentata dall'introduzione di una particolare tipologia di accordo di ristrutturazione dei debiti applicabile soltanto ove il monte debitorio sia rappresentato per almeno la metà da debiti verso banche ed intermediari finanziari, nonché una convenzione di moratoria con i medesimi soggetti (art. 182-septies l. fall.).

In ordine al primo istituto il nuovo art. 182-septies l. fall. prevede un particolare regime che consente di vincolare ai contenuti dell'accordo di ristrutturazione non solo i creditori finanziari che abbiano sottoscritto l'accordo, ma anche quei creditori finanziari che, pur essendo stati messi in grado di partecipare alle trattative, abbiano deciso di non aderire all'accordo. La ratio della norma parrebbe essere quella di risolvere alcuni problemi concreti del settore ove sempre più frequentemente si assiste allo “sfilarsi” di alcuni creditori finanziari dalle trattative, con conseguente ostacolo al raggiungimento dell'accordo e indebito vantaggio in proprio favore (in virtù del pagamento integrale per i creditori estranei all'accordo, come previsto dall'art. 182-bis l. fall.). A ciò si aggiunga anche la conseguente necessità per il debitore di adottare scelte concorsuali più invasive, che si riflettono sulle concrete possibilità di recupero da parte dei creditori nonché sulla tenuta dell'attività di impresa in continuità aziendale.

In particolare, si prevede che l'accordo possa essere concluso ove vi aderiscano creditori finanziari che rappresentano il 75% del credito della categoria, fermo restando l'integrale pagamento dei creditori non finanziari. Si prevede, infatti, di “classare” i creditori finanziari, suddividendoli in una o più categorie secondo un criterio di omogeneità di posizione giuridica ed interesse economico. I criteri sono i medesimi già utilizzati in ordine alla formazione delle “classi” di creditori nel concordato preventivo: è identica l'espressione “posizione giuridica ed interessi economici omogenei”. Tuttavia, si è osservato, che vi sono rilevanti differenze rispetto alla formazione delle classi nel concordato: non tutti i creditori bancari devono necessariamente essere ricompresi in una “categoria”, né le “categorie” devono essere formate sin dall'avvio delle trattative con gli istituti finanziari. Si prevede, anzi, che ciò avverrà in una fase avanzata, quando emerge una posizione minoritaria che deve essere superata: una “categoria” potrà quindi essere individuata solo quando sono già noti i creditori dissenzienti che si intende costringere ad aderire all'accordo. Naturalmente, questo richiederà una dimostrazione convincente che ve ne siano i presupposti.

Il debitore può chiedere l'estensione dell'accordo alle banche non aderenti, purchè il creditore non aderente sia stato informato dell'avvio delle trattative e sia stato messo in condizione di parteciparvi in buona fede.

In ogni caso il creditore vincolato avrà la possibilità, in sede di giudizio di omologa, di opporsi contestando la richiesta di estensione nei suoi confronti degli effetti dell'accordo. A tal riguardo l'art. 182-septies opportunamente prescrive che, oltre alla pubblicazione dell'accordo di ristrutturazione presso il registro delle imprese come normalmente richiesto dall'art. 182-bis l. fall., il debitore deve singolarmente notificare il ricorso per l'omologazione dell'accordo a ciascun creditore finanziario di cui viene richiesta l'adesione coatta all'accordo.

Il tribunale potrà, poi, procedere all'omologa soltanto una volta verificato che il creditore: abbia effettivamente una posizione giuridica e un interesse economico omogenei con quelli degli altri creditori finanziari della medesima categoria; abbia ricevuto un completo set informativo in merito all'accordo ed ai suoi effetti e sia stato messo in condizione di partecipare alle trattative; possa ottenere in base all'esecuzione dell'accordo un grado di soddisfazione delle proprie pretese non inferiore alle alternative concretamente praticabili (ad esempio concordato preventivo, esecuzione forzata individuale ecc..). Recependo una prassi virtuosa, la norma prevede, inoltre, che il tribunale possa avvalersi, per la verifica delle condizioni di omologabilità, di un ausiliario che aiuterà l'organo giudicante nell'accertamento dei predetti requisiti.

In proposito, una disposizione importante è, altresì, quella che precisa che non potrà comunque essere “imposto” alle banche di eseguire nuove prestazioni ed, in particolare, di erogare nuovi finanziamenti o anche solo di mantenere aperte le linee autoliquidanti già esistenti. Potrà, invece, essere esteso l'obbligo di consentire l'utilizzo di beni concessi in leasing.

In ordine al secondo istituto giuridico il legislatore introduce uno strumento per estendere gli effettidi “una convenzione diretta a disciplinare in via provvisoria gli effetti della crisi attraverso una moratoria temporanea [trattasi di una dilazione che la norma chiama “moratoria” mutuando il termine che l'abrogato codice di commercio utilizzava per disciplinare un istituto precursore dell'amministrazione controllata] dei crediti nei confronti di una o più banche”, che nella prassi sono definiti accordi di “stand still” e hanno la funzione di regolare i rapporti tra l'impresa ed i propri finanziatori nel corso delle trattative.

Anche in tale circostanza il legislatore ha voluto fare fronte a situazioni che si erano venute a creare nella prassi ove, spesso, nella fase prodromica alla negoziazione degli strumenti giuridici per la soluzione alternativa alla crisi di impresa, non tutti i creditori finanziari intendono aderire ad accordi di moratoria sottoscritti dalla gran parte del ceto creditorio.

A tal fine l'istituto consente al debitore di ottenere gli effetti della moratoria anche nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari (ferma la necessità del raggiungimento del citato 75%). Mancando una verifica giurisdizionale della correttezza dell'agire del debitore, il legislatore della riforma ha previsto che l'accertamento circa “l'omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici fra i creditori interessati dalla moratoria” sia fatta da un professionista in possesso dei requisiti cui all'articolo 67, lettera d), l. fall.

È prevista una fase giurisdizionale di controllo dell'operato, ma, tuttavia, solo su opposizione dei creditori non aderenti. Ciò significa che, in mancanza di opposizione, la moratoria non è soggetta ad alcun controllo da parte dell'autorità giudiziaria, nemmeno di natura omologatoria. La disposizione non individua la tipologia di rito applicabile alla opposizione da parte dei creditori non aderenti. In proposito si è osservato che il relativo giudizio potrebbe assumere la forma del giudizio ordinario o sommario di cognizione anche se la forma del provvedimento che lo definisce sarà quella del “decreto motivato”, a meno che da tale ultimo riferimento (“decreto motivato”) non si voglia inferire che il rito applicabile sia quello previsto dagli articoli 737 e seguenti c.p.c.

Infine, prima di ultimare le novità in materia fallimentare con le disposizioni relative alla possibile rateizzazione del prezzo per le vendite e gli atti di liquidazione, (in particolare, si modifica l'art. 107 l. fall., stabilendo che le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione, effettuati dal curatore del fallimento tramite procedure competitive, possano prevedere che il versamento venga rateizzato) il legislatore è intervenuto sull'art. 236 l. fall. per estendere la disciplina penale ivi prevista - per i soli concordato preventivo e amministrazione controllata - alle ipotesi di illecito riferite ai nuovi istituti di ristrutturazione del credito e convenzione di moratoria. Si è osservato che il riferimento all'art. 236 l. fall. relativo al concordato preventivo potrebbe mettere in dubbio la natura giuridica degli strumenti introdotti con l'art. 182-septies quali istituti di tipo concorsuale anziché di natura meramente privatistica.

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