Azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di SGR
22 Ottobre 2015
Massima
La legittimazione all'esercizio dell'azione di responsabilità svolta nei confronti degli amministratori di SGR, società gestore di un fondo comune di investimento, e volta ad ottenere il ristoro dei danni arrecati al fondo da quest'ultima gestito, spetta alla SGR e non ai singoli partecipanti al fondo. Il caso
Una S.G.R. in amministrazione straordinaria promuoveva azione di responsabilità, ai sensi degli artt. 2392, 2393, 2407 c.c., 56 T.U.F., 72 T.U.B., nei confronti di ex componenti degli organi sociali e, segnatamente, di amministratori e sindaci, chiedendo la condanna dei medesimi, in via tra loro solidale, al risarcimento dei danni cagionati, per atti di mala gestio agli stessi addebitati, al fondo di investimento gestito dalla SGR medesima. Di particolare interesse, in considerazione del decisum della sentenza in esame, risulta l'eccezione, proposta dalle parti convenute, di carenza di legittimazione ad agire in capo alla SGR in l.c.a. al fine di ottenere il ristoro di danni patiti dal fondo gestito dalla SGR medesima.
A sostegno della predetta eccezione, le parti convenute, adducevano:
Le questioni
La sentenza costituisce il primo caso edito in materia di responsabilità degli amministratori di una SGR per danni arrecati al fondo gestito. La rilevanza della decisione di specie consiste nell'avere espressamente riconosciuto la sussistenza, in capo alla SGR, della legittimazione ad agire contro i propri ex amministratori e sindaci per ottenere il ristoro dei danni arrecati al fondo gestito dalla SGR medesima. Di particolare interesse, pertanto, risultano le argomentazioni addotte dal Tribunale al fine di respingere l'eccezione sopra illustrata, di cui si darà brevemente atto nel prosieguo.
Quanto al decisum, il Tribunale di Milano ha statuito che “si impone una lettura degli artt. 72, comma 5, TUB (14) e 56, comma 3, TUF; 84, comma 5, TUB (15) e 57, comma 3, TUF nel senso che, laddove è menzionata la «azione sociale di responsabilità» - espressione che evidentemente richiama il disposto degli artt. 2392, 2393, 2407 comma 3 c.c. -, essa debba essere intesa come riferentesi alla legittimazione non solo all'azione per il risarcimento del danno subito, per effetto della mala gestio dei suoi amministratori, dal patrimonio della SGR, ma anche all'azione per il risarcimento che quegli atti abbiano provocato al fondo, quale patrimonio separato gestito dalla SGR medesima”.
Tale soluzione si giustifica, secondo il Tribunale, in ragione: (a) “dell'obbligo di gestione diligente assunto dagli amministratori verso la SGR in ordine al fondo gestito”. Gli amministratori della SGR, infatti, accettata la carica, assumono ex lege e per contratto, nei confronti della SGR stessa, il dovere di amministrare diligentemente non solo il patrimonio della società, ma proprio e soprattutto i fondi costituiti in patrimoni separati; (b) “della titolarità formale del patrimonio separato in capo alla SGR” e dell'obbligo, di quest'ultima, di “gestire il patrimonio del fondo a vantaggio del partecipanti”; (c) infine, “della carenza di legittimazione dei partecipanti ad agire per il danno solo indirettamente subito”.
Preliminarmente, il Tribunale ha preso posizione in merito alla qualificazione della fattispecie, affermando che “l'articolazione delle posizioni giuridiche della SGR, del fondo e dei partecipanti […] non è assimilabile a quella che si rinviene nel rapporto fiduciario, non nella fiducia romanistica – perché i partecipanti non trasferiscono alla SGR i beni da gestire con obbligo di restituzione a richiesta, i beni formano invece un patrimonio separato e non divengono di proprietà sostanziale della SGR -, non nella fiducia germanistica (tipologia cui si riferiscono i rapporti tra società fiduciarie ed i loro clienti), perché i beni che formano il fondo non sono né rimangono in proprietà dei partecipanti al fondo (mentre lo rimangono in capo al fiduciante) né costituiscono specifico oggetto di un mandato gestorio, come nel negozio fiduciario”. In considerazione di ciò, a nulla varrebbe richiamare, secondo il Tribunale, la giurisprudenza formatasi circa l'inammissibilità dell'azione risarcitoria proposta dalla società fiduciaria nei confronti dei propri amministratori per mala gestio dei beni amministrati fiduciariamente: in tal caso, infatti, i beni fiduciariamente intestati devono ritenersi di “piena ed immediata proprietà dei fiducianti”, di talché essi ben possono agire, al fine di ottenere il ristoro dei danni cagionati al valore dei predetti beni, ai sensi dell'art. 2395 c.c., vale a dire, lamentando un danno diretto.
Nel caso di specie, invece, i beni oggetto del fondo, e pertanto, i danni agli stessi cagionati “non ineriscono al loro [rectius, dei partecipanti al fondo] patrimonio, ma a quello – che è separato – del fondo, di cui [i partecipanti] non sono titolari”, conseguentemente, prosegue il Tribunale, “il danno che si ripercuote sul valore della quota è solo un danno riflesso” e non un danno diretto, risarcibile ex art. 2395 c.c.,“come tale non risarcibile in base ai principi generali”: in altri termini, i partecipanti al fondo non hanno azione nei confronti degli amministratori della SGR per i danni che il fondo abbia subito (es.: vendita di un bene del fondo a prezzo inferiore al suo valore), poiché tali danni, non appartenendo al patrimonio dei partecipanti al fondo, ma al patrimonio del fondo, non sono diretti, ma soltanto “riflessi”, e pertanto, irrisarcibili ex art. 2395 c.c.
Altra premessa svolta dal Tribunale è la seguente. Unico “referente” degli obblighi previsti dal contratto di gestione stipulato con la SGR, e pertanto, della responsabilità prevista ex lege dall'art. 36, comma 5, TUF (oltre che legittimata passiva della relativa azione), “è soltanto la SGR e non i suoi amministratori, terzi rispetto a detti rapporti”.
Conseguentemente, prosegue il Tribunale, a differenza che nel caso della proprietà fiduciaria, “le azioni di cui dispongono i partecipanti al fondo non esauriscono la tutela di cui il fondo stesso necessita”: - non vi provvede “l'azione di cui all'art. 2395 c.c., al cui esercizio pure i partecipanti al fondo sono titolati, poiché si sostanzia nella risarcibilità soltanto del danno diretto che gli amministratori della SGR avessero provocato al loro patrimonio, [mentre] non conferisce loro tutela rispetto agli atti di mala gestio che avessero colpito direttamente il patrimonio segregato nel fondo, e si tratta dei casi in assoluto più frequenti e perniciosi”; - né vi provvede l'azione ai sensi dell'art. 36, comma 5, TUF, poiché, deve ribadirsi, unica “referente” degli obblighi previsti dal contratto con la SGR e della responsabilità prevista ex lege dall'art. 36, comma 5, TUF è la SGR. Conclude pertanto il Tribunale che “in questo contesto, se non si ammettesse che la SGR può agire nei confronti dei suoi amministratori e sindaci per i danni provocati al patrimonio segregato nel fondo da atti di mala gestio che essi avessero posto in essere, nessuno potrebbe agire direttamente nei loro confronti per ottenere il risarcimento” dei medesimi.
È proprio tale (inaccettabile) risultato, pertanto, ad imporre, secondo il Tribunale, di ritenere gli amministratori della SGR “destinatari dell'azione risarcitoria da parte della SGR ex contractu non meno del locatario che abbia danneggiato un'immobile del fondo o del venditore alla SGR di un pacchetto azionario destinato al fondo che abbia lucrato per dolo un prezzo maggiore del valore delle azioni vendute”. Da ultimo, quanto alla disposizione di cui all'art. 3, comma 6, l. n. 77/1983, il Tribunale offre una lettura diversa dell'abrogazione della stessa operata dal legislatore. Secondo il Tribunale, infatti, essa deve essere intesa “non già come sopravvenuta carenza di legittimazione straordinaria della SGR ad esercitare i diritti dei partecipanti al fondo [come hanno, invece, sostenuto i convenuti], quanto invece come implicito riconoscimento di una legittimazione autonoma in capo alla SGR di agire a tutela dell'integrità del patrimonio separato in quanto coessenziale alla struttura, posizione e funzione della SGR stessa”. La predetta disposizione, osserva il Tribunale, come modificata dall'art. 4 d.lgs. n. 83 del 1992, recitava che "L'azione di responsabilità può essere comunque esercitata da ciascun partecipante nei limiti del proprio interesse" e che "Nei confronti degli stessi [gli organi amministrativi e di controllo della SGR: n.d.e.] ciascun partecipante può esercitare l'azione di risarcimento dei danni": dunque, la legge ben prevedeva una legittimazione dei partecipanti, concorrente a quella dei commissari, all'esercizio dell'azione risarcitoria verso gli organi della SGR. Ebbene, proprio la mancata riproposizione della norma che legittimava i partecipanti al fondo ad agire contro gli organi della SGR, afferma il Tribunale, “rispecchia la volontà del legislatore […] di sottrarre questa azione alla disponibilità dei singoli investitori per attribuirla ai soli commissari straordinari (e commissari liquidatori poi) della S.G.R., trattandosi dei soggetti chiamati a gestire il patrimonio del fondo ad interim ed a porre in essere tutte le iniziative finalizzate a ricostruire l'integrità del patrimonio del fondo”. Osservazioni
La principale difficoltà interpretativa che il Tribunale ha dovuto affrontare è stata, a tutta evidenza, la questione concernente la qualificazione della fattispecie, non riconducibile, secondo la soluzione accolta, all'alveo della proprietà fiduciaria. La negata riconducibilità alla proprietà fiduciaria del rapporto tra partecipanti al fondo ed SGR, infatti, ha condotto il Tribunale all'individuazione di un “vuoto” di tutela delle ragioni creditorie del fondo stesso (negando che i partecipanti al fondo potessero ritenersi proprietari, seppur “sostanziali”, ha negato loro la legittimazione ad agire per ottenere il ristoro degli specifici danni di specie), “vuoto” che il Tribunale ha colmato aderendo ad una interpretazione “estensiva” della categoria, di matrice giurisprudenziale, dei cc.dd. “diritti di pertinenza del patrimonio separato in cui il fondo si sostanzia”, per l'accertamento dei quali la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, in plurime occasioni (seppur mai, prima d'ora, con riferimento ai diritti risarcitori in rilievo nel caso di specie), ha riconosciuto la legittimazione ad agire in capo alla SGR (così, quanto alla giurisprudenza di legittimità, in particolare: Cass. 20 maggio 2013 n. 12187, in Riv. not. 2013, 3, 744; Cass. 17 luglio 2010 n. 16605, in Foro it. 2011, 6, I, 1853. Quanto alla giurisprudenza ambrosiana, si rimanda a: Trib. Milano 2 luglio 2013; Trib. Milano 4 ottobre 2013; Trib. Milano 29 marzo 2012).
Dovendosi ritenere oramai prevalente l'orientamento che esclude il riconoscimento al fondo di una autonoma soggettività (in dottrina solo COSTI, La struttura dei fondi comuni di investimento nell'ordinamento giuridico italiano e nello schema di riforma delle società commerciale, in Riv. soc. 1968, 299-308, citato in A. SCANO, Fondi comuni di immobiliari e imputazione degli effetti dell'attività di investimento, in Giur. comm. 2011, 5, 1133; interpretazione confermata solo da un parere del Consiglio di Stato: n. 108/1999), una certa confusione qualificatoria sorge nel momento in cui si afferma la sussistenza di una “proprietà in senso sostanziale” in capo ai partecipanti al fondo e una “proprietà in senso formale” in capo alla SGR (così Cass. 17 luglio 2010 n. 16605, cit.: "La separazione, unitamente alle specifiche disposizioni cui si è fatto cenno, garantisce adeguatamente la posizione dei partecipanti, i quali sono proprietari sostanziali dei beni di pertinenza del fondo, lasciando però la titolarità formale di tali beni in capo in capo alla società di gestione che lo ha istituito (con la precisazione che, ove la società promotrice non coincida col gestore, la suddetta titolarità formale, al pari della legittimazione anche processuale che ne consegue, spettano alla prima, potendo il gestore essere sempre sostituito)").
Un tale distinguo evoca la categoria della intestazione fiduciaria, come colto, tra l'altro, dal Tribunale ambrosiano medesimo, secondo il quale la sopra richiamata ricostruzione, fornita dalla Suprema Corte, “assimila il fondo comune di investimento (…) alla proprietà fiduciaria” (così Trib. Milano 9 maggio 2012 n. 5329. In dottrina, G. COTTINO, Diritto commerciale 2, I, Padova, 1992 (rist.), 153, che definisce la società di gestione una “fiduciaria ex lege”). Ma se così è, la scelta operata dal Tribunale nel caso di specie, di escludere la riconducibilità alla intestazione fiduciaria, al fine di evitare l'applicabilità alla fattispecie de qua della giurisprudenza che nega la legittimazione ad agire della fiduciaria qualora si chieda il ristoro di danni subiti dai beni fiduciariamente intestati, appare una scelta dettata, principalmente, dal buon senso, o meglio, dall'esigenza, condivisibile, di evitare che la tutela delle ragioni creditorie del fondo, in casi quali quello di specie (atti di mala gestio che abbiano colpito direttamente il patrimonio segregato), sia lasciata all'azione dei singoli partecipanti, azione che “data l'abituale sproporzione tra costo dell'azione e danno che sarebbe a lui risarcibile (pro-quota) è sempre improbabile” sia “perché il risarcimento, quando come frequentissimo non fossero tutti i partecipanti ad agire, sarebbe solo parziale, [sia] perché non consta sia ammissibile un'azione del singolo quale legittimato straordinario a far valere i diritti di tutti i partecipanti”. |