La concreta idoneità decettiva dell’informazione ovvero il volto nuovo del falso in bilancio

22 Dicembre 2016

La rilevanza penale delle valutazioni non consegue alla semplice violazione delle norme codicistiche in materia di redazione dei bilanci, non potendo, altrimenti, operare una distinzione tra illecito penale ed irregolarità di natura civile, bensì alla mancata corrispondenza tra i criteri di valutazione dichiarati e quelli effettivamente seguiti, tanto da impedire la ricostruzione del processo logico di formazione del bilancio.
Massima

La rilevanza penale delle valutazioni non consegue alla semplice violazione delle norme codicistiche in materia di redazione dei bilanci, non potendo, altrimenti, operare una distinzione tra illecito penale ed irregolarità di natura civile, bensì alla mancata corrispondenza tra i criteri di valutazione dichiarati e quelli effettivamente seguiti, tanto da impedire la ricostruzione del processo logico di formazione del bilancio.

Tale pricipio finisce per valorizzare il principio della chiarezza del bilancio e la sua funzione informativa, ponendo così particolare attenzione alla capacità decettiva del falso.

In effetti, le Sezioni Unite, con la sentenza del 21 marzo 2016 n. 22474/2016, hanno aderito a una combinazione tra il criterio del "vero legale" e quello della "corrispondenza tra il prescelto ed il dichiarato" (si rinvia, sul punto, a: D'Avirro, La Cassazione fa il Legislatore e salva “le valutazioni” nello schema del falso in bilancio, in questo portale).

Infatti, nella motivazione della citata sentenza si legge che "eliminato ogni riferimento a soglie percentuali di rilevanza (chiaro indice di un criterio valutativo agganciato al dato quantitativo), la nuova normativa affida al giudice la valutazione - in concreto - della incidenza della falsa appostazione o della arbitraria preterizione della stessa; dovrà dunque il giudice operare una valutazione di causalità ex ante, vale a dire che dovrà valutare la potenzialità decettiva della informazione falsa contenuta nel bilancio e, in ultima analisi, dovrà esprimere un giudizio prognostico sulla idoneità degli artifizi e raggiri contenuti nel predetto documento contabile, nell'ottica di una potenziale induzione in errore in incertam personam. Tale rilevanza, proprio perchè non più ancorata a soglie numeriche predeterminate, ma apprezzata dal giudicante in relazione alle scelte che i destinatari dell'informazione (soci, creditori, potenziali investitori) potrebbero effettuare, connota la falsità di cui agli artt. 2621, 2621-bis e 2622 c.c. Essa, dunque, deve riguardare dati informativi essenziali, idonei a ingannare e a determinare scelte potenzialmente pregiudizievoli per i destinatari. Ed è ovvio, in base a ciò che si è premesso, che tale potenzialità ingannatoria ben può derivare, oltre che dalla esposizione in bilancio di un bene inesistente o dalla omissione di un bene esistente, dalla falsa valutazione di un bene che pure è presente nel patrimonio sociale. L'alterazione di tali dati, per altro, non deve necessariamente incidere solo sul versante quantitativo, ben potendo anche il c.d. "falso qualitativo" avere una attitudine ingannatoria e una efficacia fuorviante nei confronti del lettore del bilancio.

Il caso

Il caso riguarda la contestazione di bancarotta societaria per violazione degli artt. 2621 c.c. e 223 l. fall. e aveva interessato numerose voci del bilancio di una cooperativa ritenute false, relative alle riserve tecniche, ai risconti attivi e alle partecipazioni.

Soprattutto in relazione alle riserve tecniche che l'appaltatore inseriva in bilancio, in ragione di maggiori oneri sostenuti per fatti imputabili al committente (si tratta dei cosidetti claims la cui esistenza e determinazione è spesso rimessa ad un arbitrato tra le parti) si era affermato dai giudici di merito che solo i claims definiti potevano essere iscritti a bilancio.

Osservazioni

Anche se la soluzione giuridica fornita dalla Cassazione risulta essere scollegata ai principi di diritto enunciati nella massima in premessa, in qualto la sentenza viene annullata sulla base di un'errata interpretazione dei giudici di merito sul concetto di ragionevole certezza cui fa riferimento l'OIC 23, la sentenza si rivela particolarmente interessante, perchè detta una serie di principi ai quali l'interprete deve fare ricorso per verificare se si sia in presenza o meno del reato di falso in bilancio.

Nel riaffermare la rilevanza penale delle valutazioni, la sentenza del 30 giugno 2016 prende le mosse dall'analisi dei vari orientamenti che si sono succeduti nel tempo in tema di falso in bilancio.

Secondo un primo orientamento, basato sul criterio del c.d. "vero legale", la falsità penalmente rilevante si identifica semplicemente nell'alterazione e nel mancato rispetto dei criteri fissati dalla legge per la redazione del bilancio.

Questa tesi sconta profili di criticità, perchè nonostante la prassi ragionieristica, sulle modalità di esposizione in bilancio delle valutazioni, contenuta nei principi contabili nazionali o internazionali sia ormai diffusa e accettata nel mondo economico, per diverse poste viene lasciata ampia discrezionalità al redattore del bilancio, sicchè può essere messo in crisi il principio di tassatività in sede di accertamento penale.

Secondo altro orientamento interpretativo possono considerarsi false le valutazioni effettuate in difformità agli affermati principi contabili e che, nel contempo, violino, secondo il principio del "vero relativo", il limite della "ragionevolezza" ovvero risultino totalmente arbitrarie ed artificiose.

I profili critici di tale orientamento sono stati evidenziati in ragione alla eccessiva genericità di un parametro come la "irragionevolezza", tanto da comportare una marcata relativizzazione a giudizi meramente soggettivi. Quindi viene ancora una volta messo in crisi il principio di tassatività delle norme penali.

Altro orientamento interpretativo afferma che il parametro da considerare per ritenere false o meno le valutazioni è quello della mancata corrispondenza tra i criteri legali di valutazione utilizzati e le valutazioni effettuate in bilancio. Si tratta del criterio della c.d. "verità coerente" o della "conformità tra il prescelto e il dichiarato".

La sentenza non si preoccupa minimamente, ritenendolo evidentemente superato, di affrontare il tema principale del nuovo reato di falso in bilancio sulla corretta interpretazione che si deve assegnare alla locuzione “fatti materiali” non corrispondenti al vero sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società.

Non vi è traccia nella sentenza del forte dibattito che ha caratterizzato l'entrata in vigore della reato di falso in bilancio e del contrasto giurisprudenziale ed in particolar modo delle soluzioni inizialmente adottate dalla giurisprudenza (Cass. Pen., Sez. V, 16/6/2015, n. 2151) che aveva escluso, sulla base del riferimento della norma, ai soli fatti materiali la rilevanza penale delle valutazioni.

La sentenza si limita a riaffermare che le Sezioni Unite riconoscono la rilevanza penale delle valutazioni sulla base di una combinazione tra il criterio del vero legale e quello della corrispondenza tra il prescelto e il dichiarato, anche se poi è a quest'ultimo criterio che si fa riferimento per assegnare rilevanza penale alle valutazioni.

La falsità del bilancio come mancata corrispondenza ai criteri valutativi prescelti

Secondo questo indirizzo, portato avanti per primo, nel lontano 1980, da Bartulli (Bartulli, Tre studi sulle falsità in bilancio, Milano, 1980, 122) e che ha trovato l'adesione di gran parte della dottrina (Mazzacuva, La tutela penale nell'informazione societaria, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale. Diritto penale commerciale, diretta da Bricola-Zagrebelski, II, Torino, 1990, 43; Musco, Diritto penale societario, Milano, 1999, 99; Perini, Il delitto di false comunicazioni sociali, Padova, 1999, 379), le false comunicazioni sociali consisterebbero nella mancata corrispondenza tra i criteri di valutazione indicati nella nota integrativa e quelli scelti per la redazione del bilancio.

Il bilancio, soprattutto alla luce delle innovazioni introdotte dal D.Lgs. n. 127/91 che, oltre a dettare criteri di valutazione più articolati delle poste di bilancio aggiungono la nota integrativa (l'art. 2427 c.c. stabilisce che la nota integrativa deve indicare i criteri applicati dall'amministratore nelle valutazioni delle singole voci di cui si compone il bilancio) cui è affidato il compito di spiegare la scelta adottata da colui che redige il bilancio, dà al lettore la possibilità di ricostruire il procedimento di valutazione che ha portato alla determinazione delle componenti del bilancio. Ne discende che il mancato rispetto dei criteri di valutazione previsti dall'art. 2426 c.c. potrà, al limite, rendere non valido il bilancio, ma la falsità potrà dipendere solo dalla difformità dei criteri di valutazione scelti con quelli adottati.

Questo indirizzo sembra il più idoneo a dare una corretta lettura del tema relativo alla rilevanza penale delle valutazioni, non corrispondenti al vero perché, da un lato, consente di superare la rigida e troppo schematica soluzione del vero legale che fa coincidere l'illecito civile con l'illecito penale, dall'altro di dare una risposta più concreta rispetto a quella, eccessivamente indeterminata, fornita dal criterio della ragionevolezza.

Non sarà quindi sufficiente ad integrare il reato di falso in bilancio che non siano stati rispettati i criteri di valutazione previsti dalla normativa civilistica, ogni qualvolta ne sia stato dato chiarimento nella nota integrativa.

Va sottolineato come questo criterio della rispondenza alle scelte fornite nella nota integrativa ha trovato espresso riconoscimento normativo nel sistema penale tributario, introdotto con il D.Lgs. n. 74/2000, anche se la riforma operata dal D.Lgs. n. 158/2015 ne ha limitato la portata applicativa al solo reato di dichiarazione infedele.

L'art. 7 D.Lgs. n. 74/2000 – abrogato dall'art. 14 D.Lgs. n. 158/2015 - escludeva che potessero dar luogo ai delitti di dichiarazione fraudolenta e di dichiarazione infedele “le valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicabili fossero stati comunque indicati nel bilancio”.

Il legislatore con il D.Lgs. n. 158/2015 ha abrogato l'art. 7, ma ne ha riaffermato i principi in tema di dichiarazione infedele, precisando come ai fini di questo reato non si tiene conto della non corretta classificazione delle valutazioni di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati indicati in bilancio

Anche se in tema di reati societari ed in particolar modo per i reati di falso in bilancio non è stata introdotta una norma analoga, evidenti sono le conseguenze che la causa di non punibilità, prevista prima dall'art. 7 D.Lgs. n. 74/2000 ed ora dall'art. 4 riformato, viene a riflettere sulla disciplina delle false comunicazioni sociali.

Sarebbe assurdo pensare che una causa di esclusione della punibilità, che consista nel rispetto dei criteri che sono stati indicati in bilancio, possa far venir meno la punibilità del delitto di dichiarazione infedele senza incidere sui reati di false comunicazioni sociali. O che la rispondenza tra i criteri scelti ed i criteri adottati nel bilancio possa solo operare al fine di escludere la punibilità dei reati tributari, mantenendo in vita quella dei reati societari.

La soluzione positiva si palesa in tutta la sua assurdità, perchè urta contro qualsiasi criterio logico giuridico.

Anche se il Legislatore della riforma penale societaria non ha introdotto una norma analoga all'art. 7 D.Lgs. n. 74/2000 ed ora all'art. 4 il principio della rispondenza ai criteri valutativi prescelti nel bilancio assegna a quel principio una portata generale che si riflette anche nel sistema dei reati societari.

Ed infatti la Cassazione coglie, puntualmente, questa esigenza quando sottolinea nella sentenza del 30/6/2016 cha la rilevanza penale delle valutazioni consegue “alla mancata corrispondenza tra i criteri di valutazione dichiarati e quelli effettivamente seguiti”.

Il reato di falso in bilancio punisce la rappresentazione di fatti non rispondenti al vero sulla situazione patrimoniale economica e finanziaria della società, idonei ad indurre in errore i destinatari, idoneità che non potrà mai sussistere in presenza di un documento pubblico, qual'è la nota integrativa destinato a giustificare i metodi estimativi utilizzati (Perini, Il delitto di false comunicazioni sociali, cit., 100). L'aver espressamente indicato nella nota integrativa che vengano disattesi i criteri previsti dal Legislatore, anche se sono stati adottati nella valutazione delle poste di bilancio criteri diversi, impedisce ai destinatari delle comunicazioni sociali di poter essere ingannati e quindi rende inidonea la condotta ad integrare una falsa rappresentazione documentale (Musco, Diritto penale societario, cit., 100).

L'idoneità decettiva della falsa informazione

La valorizzazione del principio della mancata corrispondenza tra i criteri di valutazione dati e quelli effettivamente seguiti è stato significativamente riaffermato dal nuovo reato di falso in bilancio che fa un preciso riferimento normativo alla concreta idoneità ingannatoria della falsa rappresentazione.

Le norme infatti stabiliscono che la falsa rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società deve essere concretamente idonea ad indurre in errore i destinatari della predetta situazione.

Tali richiami normativi evidenziano comeil nucleo centrale della condotta sia caratterizzato dalla potenzialità decettiva delle informazioni false contenute nel bilancio, come risulta dalla sentenza che segnala come “la nuova normativa affida al giudice la valutazione in concreto dell'incidenza della falsa appostazione cioè della potenzialità decettiva della informazione falsa”.

Una volta che il legislatore da un lato ha eliminato dalla struttura del falso in bilancio le soglie di rilevanza penale, dall'altro la giurisprudenza ha riaffermato la rilevanza penale delle valutazioni per evitare che l'illecito penale possa coincidere con l'illecito civile, nella struttura della norma assume rilevanza decisiva l'idoneità decettiva della falsa comunicazione.

Questa idoneità decettiva è espressa nell'ambito della norma da un lato dalla rilevanza dei fatti materiali non rispondenti al vero e dall'altro dall'idoneità ingannatrice della falsa rappresentazione.

La formula “in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore” è stata riprodotta, come nel vigore della precedente disciplina, nella descrizione del fatto tipico, estendendone l'operatività sia all'ipotesi commissiva che a quella omissiva. Con questa formula il legislatore, ancora una volta, ha inteso precisare quel connotato del fatto tipico che, nel vigore della disciplina sul falso in bilancio, risalente al 1942, era ricompreso nell'avverbio fraudolentemente la cui collocazione in una dimensione psicologica si era rivelata inadeguata. Con la riforma del 2002 il legislatore, richiedendo che la condotta vietata presentasse il requisito dell'idoneità ingannatoria, riconosceva la natura oggettiva del requisito della fraudolenza che era stato relegato dalla dottrina prevalente e dalla giurisprudenza dell'epoca nella sfera soggettiva. Sia la dottrina prevalente che la giurisprudenza avevano optato per la rilevanza sul piano dell'elemento soggettivo dell'avverbio “fraudolentemente” sulla base di una duplice considerazione storica e logica. La prima faceva ricorso al fatto che l'avverbio “fraudolentemente” veniva a sostituirsi all'altro avverbio “scientemente” che nella precedente ipotesi delittuosa connotava l'elemento soggettivo. La seconda faceva risaltare come l'avverbio avrebbe costituito un semplice pleonasmo, se non fosse stato collocato nella sfera soggettiva, dal momento che la falsità del bilancio costituisce lo strumento tipico della fraudolenza.

Come per il requisito della rilevanza dei “fatti materiali”, anche l'idoneità ingannatoria della comunicazione sociale nasce dall'esigenza di evitare sovrapposizioni con l'illecito civile, in quanto il falso penalmente rilevante non può semplicemente coincidere con la violazione del modello civilistico, ma deve consistere in una condotta lesiva del principio di verità.

Questa funzione di informazione di maggiore caratterizzazione del fatto tipico prevista dagli artt. 2621 e 2622 c.c., ottenuta attraverso il requisito della concreta idoneità ad indurre altri in errore, cerca di recuperare sotto il profilo oggettivo una dimensione di concreta lesività della falsità.

Il venir meno dell'ipotesi di danno prevista dal precedente art. 2622 c.c. e la trasformazione di entrambe le fattispecie di false comunicazioni sociali in reato di pericolo concreto ha annullato le perplessità che avevano accompagnato la presenza del requisito dell'idoneità ingannatoria dell'informazione.

Essendo richiesto, nel vigore della precedente disciplina, per il delitto di cui all'art. 2622 c.c. il verificarsi di un danno patrimoniale il requisito dell'idoneità decettiva della comunicazione sociale appariva del tutto superfluo, essendo evidente che la condotta che aveva provocato un danno patrimoniale era stata necessariamente idonea ad indurre in errore i destinatari della comunicazione.

Con la riforma del 2015 il problema è venuto meno, perché con la trasformazione di entrambe le fattispecie di falso in bilancio in reato di pericolo, l'inserimento del requisito dell'idoneità decettiva della condotta, assume un ruolo specifico ed essenziale per determinare la rilevanza penale della falsa rappresentazione.

Mentre il requisito della rilevanza attiene alla significatività del falso, l'idoneità ingannatoria riguarda la capacità decettiva dell'informazione o meglio l'idoneità ingannatoria presuppone che non siano stati offerti al lettore del bilancio gli strumenti necessari a comprendere quale sia l'effettivo percorso attraverso il quale nel bilancio viene data una certa rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società.

Riemerge in tutta la sua importanza il ruolo della nota integrativa, il cui scopo è quello di rendere intellegibile e chiaro il bilancio, mediante la possibilità di risalire al processo di valutazione seguito nella redazione dello stesso.

Ad esempio il criterio di valutazione delle immobilizzazioni finanziarie, ossia delle quote di partecipazione di una controllata (art. 2426, comma 1 n. 4) è quello del costo storico, cioè del costo di acquisto, ma la norma prevede che in alternativa possa essere utilizzato il metodo del patrimonio netto.

Se il redattore del bilancio dichiara nella nota integrativa di valutare tale partecipazione al costo storico, mentre poi la valutazione è stata fatta utilizzando altri criteri o altri parametri (ad esempio il redattore del bilancio non ha ritenuto durevoli le perdite della società partecipata), di cui non è stata data informazione nella nota integrativa, si può affermare che al lettore del bilancio non solo non sono state fornite informazioni utili a renderlo intellegibile, ma è stato tratto in inganno per mancata corrispondenza tra il dichiarato e l'accertato.

In questo caso la condotta dell'agente risulta essere concretamente idonea ad indurre in errore i destinatari della comunicazione.

Al contrario se per gli immobili che devono essere iscritti a bilancio al costo storico, cioè al costo di acquisto, nel momento in cui vengono rivalutati, non si tiene conto del costo di acquisto, ma si adotta per la rivalutazione un criterio diverso che però è stato puntualmente illustrato nella nota integrativa, si dà la possibilità al lettore del bilancio di conoscere il procedimento attraverso il quale si è giunti a quella valutazione.

In questo caso al lettore del bilancio è stata offerta la possibilità di ricostruire il percorso seguito dal redattore del bilancio e non può quindi parlarsi di condotta concretamente idonea ad indurre in errore i terzi.

Mentre i destinatari delle comunicazioni sociali sono i soci ed il pubblico, la condotta ingannatoria si riferisce genericamente ad “altri”.

Non si comprende per quale ragione il legislatore parli di “altri, anziché dei destinatari delle comunicazioni, quando anche gli altri non potranno che identificarsi nei destinatari delle comunicazioni sociali, cioè i soci, i creditori sociali, i soggetti legati alla società dal rapporto contrattuale, nonché i potenziali soci, creditori e contraenti (Pedrazzi, La disciplina delle società commerciali, cit., 305).

Ma è chiaro che una categoria così aperta, quale è quella dei destinatari dell'informazione sociale, tale da ricomprendere i soci, i creditori sociali, i soggetti legati alla società da rapporti contrattuali, nonché i potenziali soci, creditori e contraenti, crea non pochi problemi nell'individuazione, in concreto, dell'idoneità ingannatoria dell'informazione falsa o reticente in relazione al soggetto cui è destinata.

Conclusioni

La redazione ed al tempo stesso la lettura di un bilancio, attesa la complessità di questo documento, in particolar modo dei bilanci delle società quotate e di quelle ad esse equiparate che debbono uniformarsi ai principi contabili internazionali, richiedono un elevato grado di tecnicismo, che è in possesso di pochi.

I criteri dello “investitore ragionevole”, cui fa riferimento l'art. 181, comma 4, D.Lgs. n. 58/98 (Mucciarelli, Le “nuove” false comunicazioni, in DirittoPenaleContemporaneo.it, 18) o del destinatario “medio” (Giunta, Lineamenti di diritto penale dell'economia, Torino, 2004) o del destinatario “modello”, in possesso di un certo grado di standard conoscitivi delle tecniche contabili per individuare il destinatario dell'informazione ingannatoria, si rivelano insufficienti ed incapaci di dare una risposta adeguata.

Quali possano essere gli standard conoscitivi medi del socio, o dei creditori o di coloro che hanno instaurato rapporti contabili con la società è un percorso impossibile da identificare, perché occorrerebbe misurare l'idoneità decettiva dell'informazione falsa o reticente nei confronti di un numero illimitato di persone per ricavare il livello conoscitivo idoneo a determinare il destinatario medio.

Non resta che prendere atto, una volta che si è consapevoli che l'informazione societaria è specialistica ed appannaggio di pochi (Alessandri, Diritto penale e attività economiche, Bologna, 2010, 282), che l'idoneità ingannatoria dell'informazione falsa o reticente è difficilmente individuabile in relazione ai destinatari e come per il requisito della rilevanza dei “fatti materiali”, la determinazione è rimessa alla discrezionalità del giudice.

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