L’insegna può contenere anche parole che fanno parte di un marchio altrui

La Redazione
06 Novembre 2015

È lecito l'inserimento nella ditta o nell'insegna di una parola facente parte di un marchio brevettato da altro imprenditore, purchè non usato dallo stesso anche come ditta o insegna.

È lecito l'inserimento nella ditta o nell'insegna di una parola facente parte di un marchio brevettato da altro imprenditore, purchè non usato dallo stesso anche come ditta o insegna.

Il caso. La Corte d'Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiara la nullità di alcuni marchi, acquisiti dall'imprenditore per successione ereditaria, ritenendoli “marchi forti”. Il titolare di tali marchi propone ricorso per cassazione.

L'inserimento di marchi altrui nella propria ditta o insegna. Tra i motivi di ricorso, l'imprenditore deduce la violazione dell'art. 2563 c.c. e del R.D. n. 929/1942, sostenendo che i giudici avessero erronamente dichiarato la nullità dei marchi, riproduttivi della ditta e dell'insegna che lui stesso aveva utilizzato finchè il dante causa registrò l'analogo marchio.

La Cassazione ha l'occasione di ribadire la natura e i caratteri specifici della ditta e dell'insegna: la prima identifica l'imprenditore e, pertanto, l'art. 2563 richiede che essa contenga almeno il cognome o la sigla. L'insegna ha invece la funzione di identificare un determinato stabilimento nel quale l'impresa viene esercitata.

In conformità a quanto stabilito da precedenti pronunce giurisprudenziali, la S.C. ribadisce che l'inserimento, nella ditta o nell'insegna, di una parola facente parte di un marchio brevettato da altro imprenditore (ma non usato dallo stesso anche come ditta od insegna) è lecito, in considerazione della diversa funzione dei rispettivi segni distintivi.

Infatti, il concetto di ditta, “volto a designare, genericamente ed unitariamente, il nome sotto cui l'imprenditore esercita l'impresa, non ha - salvo che essa venga usata anche come marchio - una diretta attinenza con i prodotti fabbricati o venduti o con i servizi prestati, e si distingue, pertanto, sia dal marchio in generale, sia dal cosiddetto marchio di servizio […] sia dall'insegna, che non identifica nè il prodotto, nè l'attività o branca di attività, bensì un bene aziendale presso il quale o mediante il quale un prodotto viene posto in commercio" (Cass. n. 8034/2000).

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