La prescrizione del diritto al compenso dell’amministratore revocatoFonte: Cod. Civ. Articolo 2949
23 Gennaio 2017
In caso di revoca dell'amministratore, non socio, di s.r.l. da parte della società, il termine quinquennale ex art. 2949, comma 1, c.c. relativo alla prescrizione del diritto al compenso, decorre dalla revoca stessa, oppure dalla chiusura di ciascun esercizio di bilancio?
Preliminarmente, appare opportuno sgombrare il campo da una questione primordiale: è vero che l'art. 2479 c.c. (a differenza dell'art. 2389 c.c. in tema di società per azioni) non prevede espressamente che sia stabilito un compenso per gli amministratori di s.r.l., ma è pur vero che, se come nel caso di specie l'amministratore non è un socio, ex art. 1709 c.c. il mandato si presume oneroso. Dunque, l'amministratore di una s.r.l. (a maggior ragione se non socio) ha diritto al compenso. Dopo il pronunciamento degli Ermellini (Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 13686/16, depositata il 5 luglio) è pacifica la riconduzione del rapporto dell'amministratore con la società all'alveo dei c.d. “rapporti societari”, ossia ad una di quelle relazioni che si istituiscono fra soggetti dell'organizzazione sociale in dipendenza diretta del contratto di società o che derivano dalle situazioni determinate dallo svolgimento della vita in società. Ed è, pertanto, altresì, pacifica l'applicazione del termine quinquennale di prescrizione del diritto al compenso previsto dall'art. 2949, comma 1 c.c.. La stessa Cassazione precisa che detto termine, in caso di revoca, inizia a decorrere dal momento della stessa. Con riferimento, dunque, al caso prospettato si sarebbe portati sinteticamente a concludere che il termine quinquennale di prescrizione del diritto al compenso dell'amministratore di s.r.l. inizi a decorrere dalla data della sua revoca. Sennonché, deve essere opportunamente considerato (e contestualizzato) il principio generale di cui all'art. 2935 c.c. a mente del quale “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”. Nel caso risolto dalla Cassazione citata, infatti, pare che la società adita dall'amministratore revocato non avesse disposto nulla in ordine ai compensi di quest'ultimo e, pertanto, la Suprema Corte ha correttamente disposto la decorrenza del termine prescrizionale quinquennale dalla data di revoca dell'amministratore medesimo. Dal momento che il quesito prospettato pone, invece, quale alternativa alla decorrenza del termine quinquennale dalla revoca, un termine (sempre quinquennale) ma variabile dalla data di chiusura di ciascun esercizio di bilancio, si sarebbe portati a concludere che nel caso di specie la determinazione dei compensi spettanti all'amministratore revocato sia, invero, avvenuta. Partendo, dunque, da questo assunto, altre considerazioni si impongono e forse la pronuncia della Corte di Cassazione non è così scontata, con riferimento al caso di specie. Sia pure con riferimento alla remunerazione del Collegio Sindacale, la giurisprudenza è ormai unanime nel ritenere che il compenso dei sindaci, pur essendo deliberato dall'assemblea per l'intero triennio, maturi di anno in anno, alla chiusura dei singoli esercizi sociali [Cass. n. 3496/1972; Cass. n. 1579/1975]. Da ultimo, il Tribunale di Roma (sentenza del 07.07.2010), che precisa, che, pertanto, il detto compenso non costituisce un debito unico per tutta la durata della carica, semplicemente ripartito in più annualità, ma dà luogo a distinti crediti annuali, ciascuno dei quali è autonomamente soggetto a termine quinquennale di prescrizione (ex art. 2948 n. 4 c.c.). Ragionando per analogia si può arrivare ad affermare lo stesso principio anche per il compenso dell'amministratore. Ma che il bilancio preveda una specifica posta a titolo di compenso per l'amministratore non vuol dire necessariamente che il predetto compenso sia stato previsto preventivamente nello statuto o deliberato dall'assemblea a norma di legge. E la questione è stata specificamente affrontata dalla Cassazione che è intervenuta a Sezioni Unite con la sentenza del 29 agosto 2008 n. 21933 affermando che l'approvazione del bilancio che contempli una posta come compenso a favore dell'amministratore di società a responsabilità limitata non configura (alias non sostituisce) la specifica delibera di determinazione del compenso richiesta dall'art. 2389, comma 1, c.c. in caso di mancanza di previsione nello statuto. La Cassazione si orienta ormai da tempo, dunque, verso un'interpretazione restrittiva della “prassi” di non adottare una specifica delibera sul compenso degli amministratori, nei fatti ratificando quanto viene esposto alla voce di bilancio, anche se quasi sempre è, invero, frutto di un preventivo accordo con i soci. La controversia che ha portato alla pronunzia si rifà alla disciplina vigente prima della Riforma, ma sul punto, non essendo intervenute modifiche sostanziali, si può ritenere che il principio valga anche ora. Le argomentazioni addotte a sostegno traggono il loro fondamento dalla natura imperativa dell'art. 2389 c.c. e dalla conseguente nullità dell'atto di determinazione del compenso che non sia stabilito all'atto della nomina o dall'assemblea; dalla disposizione dell'art. 2364 c.c. che nel determinare la competenza dell'assemblea testualmente distingue le due sedi dell'approvazione del bilancio dalla voce relativa al compenso degli amministratori, se non è stabilito dallo statuto, distinzione che non avrebbe significato se si ritenesse che la prima disposizione possa contenere al suo interno anche la seconda; infine dall'argomentazione che deriva dagli artt. 2434 e 2393, ult. comma, c.c., dai quali ricavare il principio per cui l'approvazione del bilancio non implica la liberazione degli amministratori per le responsabilità degli atti da loro compiuti nella gestione sociale, tra i quali la autodeterminazione del compenso, a meno che l'assemblea con una delibera propria sul punto non approvi la rinunzia all'azione relativa. La sentenza va nettamente contro il principio della possibilità che esistano deliberazioni implicite e desidera rafforzare invece il principio che sia necessaria una formazione della volontà sociale chiara, informata sul punto, determinata a risolvere espressamente ogni questione che appartenga alla competenza dell'assemblea. Alla predetta sentenza, ha fatto seguito, più di recente, la Cassazione 17673/2013 secondo cui, qualora il compenso non sia stabilito nello statuto, è necessaria un'esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall'essere la disciplina del funzionamento delle società dettata anche nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività economica. Ed ancora, per Cassazione, sentenza 5349/2014 “l'approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall'art. 2389, salvo che un'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori”. E, poiché come spesso in questi casi, orientamenti civilistici e tributari si confondono, non può tacersi del fatto che l'assenza di specifica delibera assembleare determina, altresì, l'indeducibilità dei compensi erogati per difetto del requisito di certezza e obiettiva determinabilità del costo (Cass., sentenza n. 20265/2013 e più di recente, Cass. n. 21953/2015, in questo portale, con nota di Molgora, Rilevanza della delibera ai fini della deducibilità dei compensi degli amministratori). Ricapitolando, dunque, sulla questione affidata, si può ragionevolmente concludere che il termine prescrizionale quinquennale del diritto al compenso dell'amministratore revocato decorra:
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