La Cassazione ci ripensa: le valutazioni sono escluse dal falso in bilancio

La Redazione
La Redazione
23 Febbraio 2016

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6916/2016, torna sul tema della rilevanza penale del c.d. falso estimativo alla luce della nuova formulazione dell'art. 2621 c.c., prendendo le distanze da quanto recentemente affermato dalla pronuncia n. 890/2016 della medesima Sezione Penale della Corte di legittimità.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6916/2016, torna sul tema della rilevanza penale del c.d. falso estimativo alla luce della nuova formulazione dell'art. 2621 c.c., prendendo le distanze da quanto recentemente affermato dalla pronuncia n. 890/2016 della medesima Sezione Penale della Corte di legittimità.

Il caso. La pronuncia origina dal rigetto da parte del Tribunale del riesame del ricorso presentato avverso un provvedimento di sequestro preventivo adottato in relazione al reato di false comunicazioni sociali. La banca che aveva subito la misura cautelare ricorre per la cassazione del provvedimento, affermando sostanzialmente la violazione dell'art. 2621 c.c. per l'assenza di un'astratta configurabilità del reato contestato risultante dalla nuova formulazione della norma che, interpretata anche dai più recenti orientamenti giurisprudenziali in senso restrittivo, esclude la rilevanza penale del c.d. falso estimativo.

Il contrasto giurisprudenziale. La V Sezione Penale della S.C. si trova dunque ad affrontare nuovamente il tema della rilevanza penale delle “valutazioni” nella nuova formulazione della norma relativa al falso in bilancio e, in aperto contrasto con quanto affermato dalla medesima Sezione poco più di un mese prima (sent. n. 890/2016), giunge ad escludere la rilevanza penale delle “valutazioni”, dando continuità applicativa al principio affermato con la sentenza n. 33774/2015. Si apre così un palese contrasto giurisprudenziale che porta ad invocare un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, peraltro auspicato anche da Assonime in un recente contributo (il caso n. 1/2016 pubblicato il 19 febbraio e disponibile in questo portale, nella sezione Autorità e Prassi).

Il dato testuale. L'odierno Collegio, ripercorrendo l'evoluzione della formulazione della disposizione, sottolinea come il nuovo assetto dei reati di falsa comunicazione sociale abbia mantenuto una struttura piramidale degli illeciti, sottolineando come i “fatti materiali” siano l'oggetto tipico della condotta di cui all'art. 2622 c.c., mentre i “fatti materiali rilevanti”, connotati dal requisito dell'idoneità ad indurre in errore e dalla consapevolezza della finalità di conseguire un ingiusto profitto, assumono rilevanza nella condotta tipica dell'art. 2621 c.c. Il reato continua, dunque, ad essere previsto nella modalità esecutiva attiva ed omissiva, con evidenti diversità terminologiche tra le due differenti condotte tipiche.

Proseguendo nell'analisi del testo dell'articolo, viene evidenziato come parte della dottrina abbia escluso che l'eliminazione dell'espressione “ancorché oggetto di valutazioni” riferita ai fatti materiali, possa essere intesa quale implicita abrogazione della norma in quanto riferita ad un elemento della fattispecie che già prima dell'intervento legislativo veniva considerato sostanzialmente superfluo.

L'intento del legislatore. In tale contesto veniva ad inserirsi l'arresto della sentenza n. 33774/2015 che dal dato testuale e dal confronto con la precedente formulazione degli artt. 2621 e 2622 c.c. deduce chiari elementi indicativi della reale volontà legislativa di escludere la punibilità dei falsi valutativi. La Corte condivide le argomentazioni fornite a sostegno dell'assunto avvalorando, in primo luogo, proprio il dato testuale ed il confronto tra quello attuale e quello precedente all'intervento legislativo del 2002.

Il criterio sistematico. Viene inoltre riconosciuta rilevanza ad un profilo di natura sistematica e, in particolare, all'esplicito riferimento alle “valutazioni” previsto nell'art. 2638 c.c. (Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza) quale specificazione contenutistica della locuzione “fatti materiali non rispondenti al vero”. Un'interpretazione ancorata al criterio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit deve infatti valorizzare il contesto complessivo delle modifiche normative intervenute nel sistema della rilevanza penale delle false comunicazioni sociali. Il legislatore, escludendo il riferimento alle ”valutazioni” nell'art. 2621 c.c. ma mantenendolo nel successivo art. 2638, ha dunque manifestato uno specifico intento mirato ad escludere la rilevanza penale delle stesse dalla sola ipotesi delle false comunicazioni sociali.

Falso valutativo e affermazioni difformi dal vero. In conclusione, la Corte chiarisce il principio per cui il falso valutativo escluso dalla rilevanza penale può considerarsi integrato laddove un dato numerico venga associato ad una realtà economica comunque esistente, e dunque quale risultato di un'operazione valutativa, mentre non sfuggono alla pretesa punitiva le ipotesi in cui, attraverso una simile operazione, si fornisce una situazione di fatto difforme dal vero.

Nel caso di specie, le condotte descritte nel capo d'imputazione e relative alla consapevole rappresentazione in bilancio di valori oggettivamente non esistenti e difformi dal dato reale non rientrano nell'ipotesi del falso valutativo, bensì nella rappresentazione di fatti non esistenti e dunque oggettivamente falsi.

La Corte rigetta dunque il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.