Trasferimento della sede sociale all’estero e trasformazione internazionale

24 Maggio 2016

Il trasferimento della sede sociale, ove l'operazione sia connotata da profili di internazionalità, rappresenta una fattispecie particolarmente articolata. In sintesi, l'ipotesi riguarda il trasferimento in altro Paese, diverso rispetto a quello di costituzione, della sede di una società, al fine di proseguire in detto contesto giuridico-economico l'esercizio dell'impresa. La questione che interessa l'interprete, in assenza di una disciplina sovranazionale uniforme, ha ad oggetto l'esatta individuazione della legge applicabile, tanto all'operazione di mutamento della sede sociale, quanto alle vicende societarie dell'ente all'esito del trasferimento. Di non secondario rilievo appaiono, inoltre, le ricadute operative inerenti le regole formali e di procedura applicabili alla fase di esecuzione della decisione sociale.
Introduzione

Il trasferimento della sede sociale, ove l'operazione sia connotata da profili di internazionalità, rappresenta una fattispecie particolarmente articolata. La complessità del fenomeno è accentuata dalla mancanza di una disciplina sovranazionale uniforme e, con riferimento al contesto italiano, dall'assenza di una normativa organica di riferimento.

Il trasferimento della sede sociale dall'Italia all'estero trova parziale regolamentazione negli articoli 2369, 2437 e 2473 del Codice Civile. L'articolo 2369 c.c. rende necessario il raggiungimento di una maggioranza rafforzata, anche in seconda convocazione, per l'assunzione della deliberazione assembleare di trasferimento della sede sociale (italiana) all'estero. Gli artt. 2437 e 2473 c.c. garantiscono ai soci, tanto di s.p.a. quanto di s.r.l., la possibilità di recedere dalla società per il caso in cui non avessero concorso all'assunzione della decisione avente ad oggetto il trasferimento della sede sociale (italiana) all'estero.

Non si rilevano, per converso, disposizioni idonee a regolamentare espressamente il caso del trasferimento in Italia della sede estera di una società ivi costituita. Unica norma inerente, applicabile in via analogica, risulta essere quella di cui all'articolo 2508 c.c., che regola alcuni aspetti dello stabilimento in Italia di sedi secondarie con rappresentanza stabile di società costituite all'estero.

La mancanza di regole dettagliate, per il vero, può trovare giustificazione considerando che il trasferimento della sede sociale non esaurisce i propri effetti nella modifica dello statuto della società. Se così fosse, le regole di diritto societario ordinariamente applicabili alle modifiche statutarie si renderebbero sufficienti alla disciplina del fenomeno. Il collocamento in altro Stato della sede, invece, generalmente importa il riassestamento altrove della struttura organizzativa dell'ente. Tale decisione può comportare, come spesso accade, un mutamento della disciplina applicabile e l'assoggettamento della società alle regole di diritto dello Stato di destinazione. La limitata normativa speciale della fattispecie, pertanto, pare coerente con la necessità di coordinare le regole societarie degli Stati coinvolti, senza che alcuna di esse possa ritenersi in via di principio prevalente.

In mancanza di una regolamentazione sovranazionale (la cui adozione potrebbe risultare utile al fine di consolidare una prassi uniforme che possa valere in ogni ipotesi di trasferimento all'estero della sede sociale), sarà necessario armonizzare la normativa di volta in volta prevista nello Stato in cui la società è stata costituita con le regole tipiche dell'ordinamento giuridico straniero, ove la società intende stabilire la propria sede.

Il coordinamento tra le legislazioni dei singoli Stati resta affidato alle norme di diritto internazionale privato aventi ad oggetto il diritto applicabile alle società. Occorrerà aver riguardo sia alle norme di diritto internazionale privato previste nel Paese di origine, che alle regole applicabili nello Stato di destinazione (quanto all'Italia, viene in rilievo l'articolo 25 della L. 31 maggio 1995 n. 218, che dall'entrata in vigore della riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, disciplina la materia).

Occorre precisare, però, come le richiamate regole (norme di conflitto di diritto internazionale privato e disciplina societaria vigenti negli Sati coinvolti) risultino sufficienti a disciplinare il trasferimento della sede sociale solo ove il trasferimento abbia carattere extracomunitario (cioè coinvolga almeno un Paese non membro dell'Unione europea).

Qualora il trasferimento della sede sociale intervenga all'interno dell'Unione europea, occorrerà tener conto anche delle disposizioni dei trattati comunitari in materia (in particolare il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) e le regole in tema di libertà di stabilimento contenute negli articoli 49 e 54). In particolare, l'art. 49 TFUE vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, estendendo tale divieto alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali e comprendendo nel contenuto della c.d. libertà di stabilimento anche la costituzione e la gestione di imprese e, in particolare, di società. L'art. 54, inoltre, afferma come le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno dell'Unione, debbano essere equiparate, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del Trattato stesso, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.

In sintesi, ove la programmata modifica statutaria abbia ad oggetto il trasferimento all'estero della sede sociale, e il trasferimento abbia carattere meramente comunitario, occorrerà far riferimento tanto alla disciplina dettata dalle norme dello Stato di origine, ove la società si è costituita e ha svolto la propria attività, quanto alle regole dello stato di destinazione, ove la società intende trasferirsi proseguendo l'esercizio dell'impresa (così come coordinate dalle norme di diritto internazionale privato). Occorrerà valutare, inoltre, la conformità di dette regole con quelle dei Trattati europei applicabili in materia.

Prima di procedere ad un esame più puntuale del quadro normativo in vigore per le società italiane, muovendo dall'art. 25 della L. 31 maggio 1995 n. 218, pare opportuno un breve richiamo alla disciplina previgente la Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.

Disposizioni antecedenti la riforma del sistema italiano diritto internazionale privato

Prima dell'entrata in vigore della Legge n. 218 del 1995, l'ordinamento italiano ricorreva, al fine di determinare quando la legge italiana fosse applicabile alle società, alla valutazione di un duplice criterio: (i) quello della sede amministrativa, dell'oggetto principale dell'impresa o della sede legale e (ii) quello dell'incorporazione.

Il primo dei citati criteri era disposto dal previgente art. 2505 c.c. (che apparteneva all'originario capo IX Delle società costituite all'estero o operanti all'estero, ora Capo XI Delle società costituite all'estero). La norma sanciva l'applicabilità della legge italiana alle società costituite all'estero aventi sede amministrativa o oggetto principale dell'impresa o sede legale in Italia. Il fondamento della disposizione poteva ravvisarsi nella consapevolezza della sussistenza di una più certa connessione tra l'ente e il luogo ove, di fatto, la società svolge la propria attività. Individuare la legge applicabile per mezzo della individuazione della sede della società, però, non sempre conduceva a risultati certi. Se la sede legale della società costituisce un fatto di oggettiva rilevanza e, dunque, la sua individuazione risulta essere agevole, lo stesso non può dirsi per la sede amministrativa. La sua circoscrizione, infatti, implica il ricorso a un criterio fattuale, di non facile accertamento. La norma poteva condurre, pertanto, a risultati talvolta incerti. Un secondo problema avrebbe potuto manifestarsi, nel caso di trasferimento di una sede sociale italiana all'estero, ove lo Stato ospitante la sede amministrativa avesse adottato un criterio divergente per l'individuazione della legge applicabile rispetto a quello disposto dall'ordinamento italiano (per esempio operando un rinvio indietro ovvero un rinvio oltre, all'ordinamento giuridico di un paese terzo). Anche detta circostanza avrebbe potuto causare non marginali incertezze nell'individuazione della legge applicabile.

Il previgente art. 2509 c.c. (già 2507), anch'esso modificato, ricorreva invece al luogo di costituzione della società al fine di determinare la legge applicabile alle vicende societarie dell'ente, prevedendo che “Le società che si costituiscono nel territorio dello Stato, anche se l'oggetto della loro attività è all'estero, sono soggette alle disposizioni della legge italiana”. Tale criterio, a differenza di quello della sede, non implicava il ricorso a valutazioni fattuali per l'individuazione della legge applicabile, garantendo una maggiore certezza giuridica. Mediante la previsione disposta dall'art. 2509 c.c., veniva consentito alle società di costituire sedi secondarie, filiali e succursali negli Stati ove erano offerte le migliori condizioni economiche o di mercato, ferma l'applicazione della disciplina societaria del luogo di costituzione dell'ente. Anche in quest'ipotesi, però, nel caso di trasferimento in Italia della sede di una società estera, non avrebbe potuto escludersi un rinvio operato dalla legge dello Stato di costituzione alla legge dello Stato estero di destinazione, con conseguente assoggettamento dell'ente alle regole di tale ultimo ordinamento.

La riforma del sistema italiano del diritto internazionale privato

L'art. 25 della L. 218/1995 ha di fatto recepito quanto previsto dagli artt. 2505 e 2509 c.c., ribadendone il contenuto ma estendendone la portata applicativa oltre il diritto societario.

Al fine di determinare la nazionalità di una società, tale disposto, al primo comma, fa riferimento alla legge dello Stato in cui si è perfezionato il procedimento di costituzione, aderendo quindi alla teoria dell'incorporazione, della sede statutaria, dell'organizzazione o Grϋndungstheorie. Tale teoria si contrappone a quella della sede o dell'amministrazione (Sitztheorie) e determina, in linea teorica, l'applicazione costante alla società della legge dello Stato d'origine, indipendentemente dal luogo operativo di volta in volta scelto dall'ente. Ne risulta, fra l'altro, che ai fini dell'applicazione della disciplina italiana, non è necessario che il procedimento costitutivo abbia inizio in Italia, ben potendo la costituzione della società prendere avvio all'estero, purché sia, successivamente, depositato l'atto costitutivo in Italia ai fini dell'iscrizione dello stesso presso il competente Registro delle Imprese (in questo modo trovando perfezionamento in Italia il procedimento di costituzione e potendosi applicare la legge italiana alle vicende societarie).

Nella seconda parte del primo comma viene altresì introdotta un'eccezione a favore dell'applicazione della legge italiana: essa diviene applicabile, nonostante la società sia stata costituita all'estero, anche nel caso in cui la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale dell'attività siano localizzati entro il territorio italiano.

Il terzo comma dispone che i trasferimenti della sede statutaria (nonché le fusioni di enti con sede in diversi Stati), sono considerati validamente effettuati solo in conformità alle leggi di ciascuno degli Stati interessati. Tale ultima disposizione implica necessariamente la sussistenza di un duplice controllo: il trasferimento della sede resterà subordinato alla verifica di compatibilità con la legge di entrambi gli ordinamenti di riferimento (Stato di costituzione e Stato di destinazione).

Le diverse interpretazioni dell'art. 25 L. 218/1995 con riferimento al caso del trasferimento della sede sociale italiana all'estero

Dall'entrata in vigore della Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, l'art. 25 della L. 218/1995, con riferimento all'individuazione della legge applicabile al caso del trasferimento della sede sociale italiana all'estero, è stato variamente interpretato.

Secondo parte degli autori (Benedettelli, Sul trasferimento della sede sociale all'estero, in Riv. Soc. 2010, 1267), il trasferimento all'estero della sede, nonostante venga a mancare, all'interno del territorio italiano, una sede di riferimento, non dovrebbe implicare la disapplicazione della legge italiana; secondo questo orientamento, dunque, poiché la società è stata costituita in Italia, essa continuerà, fino al suo scioglimento, ad essere assoggettata alle regole dell'ordinamento di costituzione (Trib. Verona 5 dicembre 1996; ugualmente Trib Lecco, 6 febbraio 2003). Il trasferimento all'estero della sede determinerebbe solo una modifica del luogo di esercizio dell'attività, senza implicare la necessaria estinzione dell'ente, la modifica delle regole ad esso applicabili, né la sua cancellazione dal Registro delle Imprese dello Stato nel quale l'ente è stato costituito (Grϋndungstheorie).

Viceversa, una seconda linea di pensiero, condivisa anche da parte della giurisprudenza (Cass. 23 gennaio 2004, n. 1244. Nella medesima direzione, App. Trieste 9/10/2002, che sostiene l'estinzione della società italiana dinnanzi a seguito di un fenomeno di trasferimento), ha affermato che il trasferimento della sede sociale determinerebbe la necessaria variazione delle regole corporative applicabili alla società. Al fine di garantire tale mutamento di disciplina, si è sostenuta la necessità di uno scioglimento preventivo dell'ente affinché questo potesse essere ricostituito nello Stato estero di destinazione, e così restare assoggettato alla disciplina giuridica di tale ordinamento. Alla base di tale orientamento viene evidenziata la necessità della tutela del ceto creditorio, il quale, ove la società si trasferisse all'estero, con mutamento della legge applicabile anche ai rapporti societari, senza preventivo scioglimento ma in regime di continuità dell'attività aziendale, potrebbe più difficilmente far valere le proprie ragioni di credito verso la società.

Da ultimo, l'orientamento che ha trovato maggioritaria affermazione, anche in giurisprudenza, ritiene che alla società la cui sede sia oggetto di trasferimento, risulterebbe applicabile la legge dello Stato di destinazione, pur senza che ciò renda necessario lo scioglimento dell'ente e la sua nuova costituzione all'estero. Il trasferimento della sede determinerebbe un mero mutamento della disciplina applicabile, senza che ciò possa implicare la cessazione e la necessaria ricostituzione della società. Tale indirizzo, in altri termini, consentirebbe “la continuità giuridica della società trasferita”: tale ricostruzione poggia sul combinato disposto degli artt. 2437 c.c. e 25, comma 3, L. n. 218/1195 ed è affermata da Cass. 28 settembre 2005 n. 18994; la ricostruzione è avallata anche dalla prassi notarile. In proposito, Boggiali – Ruotolo, in “Cancellazione della società per trasferimento della sede all'estero non accompagnata da iscrizione nello stato di arrivo”, Commissione Studi d'Impresa del Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 283-2015/I.

Tale terza e maggioritaria linea di pensiero è stata, a sua volta, diversamente argomentata: da un lato, il criterio di collegamento di cui all'art. 25, comma 1, L. 218/1995 viene inteso nel senso che per effetto del trasferimento sociale, la nuova sede debba essere considerata come nuovo luogo di costituzione (senza che si richieda un formale procedimento di scioglimento e ricostituzione dell'ente), generando una variazione della legge applicabile proprio per effetto dell'equivalenza tra trasferimento e nuova costituzione; in senso opposto, secondo la dottrina prevalente, il mutamento della legge applicabile non sarebbe da giustificare equiparando il trasferimento ad una nuova costituzione, bensì lo stesso sarebbe diretta conseguenza della previsione di cui al terzo comma dell'art. 25 in commento. Richiedendo la norma in parola che il trasferimento sia portato a compimento conformemente alla disciplina di entrambi gli ordinamenti coinvolti, ove quella del paese di destinazione richieda l'applicazione della legge dello Stato di arrivo, quest'ultima dovrebbe essere considerata l'unica legge applicabile. Il mutamento della normativa di riferimento sarebbe pertanto effetto di legge, e non prodotto della sostanziale equiparazione tra spostamento della sede e ricostituzione della società (Garofalo, Trasferimento della sede all'estero, mutamento della lex societas e continuità dei rapporti giuridici, nota a Trib. Milano 7/1/2013, in Riv. Dir. Soc., 2014, 55).

L'integrazione della disciplina italiana con le norme di diritto straniero

La norma di coordinamento dettata dall'art. 25 della L. 218/1995, impone che il trasferimento della sede sociale sia portato a compimento conformemente alla disciplina di entrambi gli ordinamenti coinvolti.

In caso di trasferimento della sede italiana all'estero, essa rende necessaria la verifica delle disposizioni di diritto internazionale privato previste nello Stato in cui la società intende trasferire la sede sociale. Nell'ipotesi più frequente, all'esito di tale verifica, l'interprete accerterà la necessità di applicare alla società la legge di detto Stato.

E' possibile che a seguito di tale analisi, però, si verifichino diverse ipotesi: il Paese straniero potrebbe imporre lo scioglimento della società originaria e la costituzione di una nuova società nello Stato di destinazione (per le ragioni che verranno espresse in seguito, l'ipotesi risulterebbe ammissibile unicamente ove il trasferimento avvenisse in ambito extra-europeo), potrebbe consentire un regime di continuità dei rapporti giuridici preesistenti, senza necessità di sciogliere e ricostituire la società, seppur imponendo la subordinazione dell'ente al diritto interno (come richiesto dalla legge italiana nell'ipotesi inversa, di trasferimento della sede sociale estera in Italia) o, infine, potrebbe permettere il trasferimento nel proprio territorio della società, in regime di continuità dei rapporti giuridici preesistenti, senza imporre l'assoggettamento alla legge nazionale, dunque consentendo che l'ente resti regolato dalla legge dello Stato di costituzione (ipotesi in via di principio possibile, seppur decisamente meno frequente nella prassi).

La trasformazione internazionale

Focalizzando l'attenzione sulla seconda delle situazioni ipotizzate, è agevole notare come essa preveda oltre al trasferimento della sede anche una conformazione dello statuto dell'ente alle regole di diritto societario dello Stato di destinazione.

Tale fenomeno viene definito “trasformazione internazionale” o “trasformazione transfrontaliera”. Esso ha ad oggetto la conformazione della società alle regole di un modello imprenditoriale che, pur rimanendo eventualmente uguale nel tipo, è disciplinato da un ordinamento giuridico diverso rispetto a quello nel quale la società è stata costituita. La fattispecie è nota e applicata dalla prassi notarile. In proposito può essere richiamato il lavoro di Boggiali – Ruotolo, Il trasferimento della sede sociale all'estero e la trasformazione internazionale, Studio n. 283-2015/I, Area scientifica - Studi d'impresa del Consiglio Nazionale del Notariato, 2016, 7.

Per trasformazione internazionale, in altri termini, deve intendersi la modifica delle regole statutarie e di organizzazione societaria e imprenditoriale dell'ente derivanti dall'assoggettamento dello stesso ad un ordinamento societario straniero a seguito del trasferimento in tale ordinamento della sede della società.

Il trasferimento della sede dell'amministrazione o dell'oggetto principale della società in Italia e l'istituzione di sedi secondarie in Italia

Nel caso di trasferimento della sede di una società straniera in Italia, assodata la necessità di verifica delle disposizioni societarie e di diritto internazionale privato previste dallo Stato di origine, occorrerà considerare il correttivo disposto dall'ultima parte del primo comma dell'art. 25, L. 218/1995, che impedisce che la società, trasferendo la propria sede amministrativa o l'attività principale in territorio Italiano, resti assoggettata alle regole dell'ordinamento di originaria costituzione. Tale comma prevede, come detto, l'assoggettamento all'ordinamento societario italiano per quelle società la cui sede amministrativa (da intendersi quale luogo nel quale si svolgono i processi decisionali attraverso i quali la società forma la volontà che verrà poi portata all'esterno), nonché l'attività principale che costituisce l'oggetto sociale (da individuarsi secondo il criterio della prevalenza) siano localizzati in Italia.

La normativa italiana, in proposito, non richiede lo scioglimento dell'ente e la sua ricostituzione in Italia. Essa garantisce, in questo modo, il mantenimento della continuità imprenditoriale dell'ente. Non potranno continuare ad applicarsi in Italia, però, le norme di diritto societario dello Stato di provenienza. Con la conseguenza, fra l'altro, del necessario deposito della decisione di trasferimento della sede sociale adottata all'estero presso un notaio italiano, il quale provvederà all'adeguamento dello statuto dell'ente secondo le regole del corrispondente tipo sociale italiano e al deposito dello stesso, con il proprio verbale, presso il competente Registro delle Imprese.

Occorre precisare, però, che solo le vicende societarie italiane dell'ente resteranno attratte dalle regole di diritto societario italiano. L'applicazione della legge italiana, in altre parole, non esclude che possano applicarsi, ad ambiti dell'impresa diversi da quelli di pertinenza italiana, regole di diritto straniero.

Qualora, per esempio, una parte dell'attività, magari secondaria, resti localizzata all'estero, a tale ambito resteranno applicabili le regole di diritto societario dello Stato d'origine.

Ugualmente, qualora la società mantenga sedi secondarie all'estero, a tali centri operativi resteranno riferibili le norme di diritto societario tipiche dello Stato d'origine. L'art. 25 della L. 218/1995, nell'assoggettare alla disciplina italiana le società con sede dell'amministrazione od oggetto principale in Italia, può consentire, in altri termini, l'esistenza di società provviste di doppia nazionalità, facenti riferimento, cioè, per gli ambiti di rispettiva competenza, alle regole di ordinamenti giuridici diversi.

L'ipotesi del trasferimento della sede (amministrativa) in Italia di una società costituita all'estero è da tenersi distinta rispetto a quella della creazione o del trasferimento, da parte di una società straniera, di una sede secondaria in Italia (da intendersi quale organizzazione dotata di autonomia amministrativa, ma priva di autonoma personalità giuridica, organicamente collegata con la sede principale dell'attività). La medesima previsione non risulta applicabile, invece, all'ipotesi di filiali o succursali costituite in Italia (da intendersi quali società controllate o partecipate della società straniera. Sul punto, Margiotta, Il trasferimento della sede all'estero, Riv. Not., 2004, 6-10).

In tale caso, non può essere revocato in dubbio che la costituzione, l'organizzazione e il funzionamento della sede secondaria resteranno disciplinati dalle regole dell'ordinamento giuridico d'origine della società. Solo l'attività svolta nel territorio dello Stato di localizzazione della sede secondaria sarà regolata dalla legge italiana. L'ipotesi è disciplinata dall'art. 2508 c.c., non abrogato dalla riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato. In una logica opposta rispetto a quella sopra decritta, in tale occasione il trasferimento non produce alcun tipo di assoggettamento dell'organizzazione all'ordinamento italiano. Troveranno in particolare applicazione le sole regole di diritto italiano inerenti la pubblicità degli atti sociali, senza necessità di un adeguamento statutario alla legge italiana.

In caso di trasferimento in Italia della sede di una società estera, in sintesi, occorrerà armonizzare le regole societarie e di diritto internazionale privato italiane con quelle dello stato di provenienza dell'ente. Verosimilmente, potranno presentarsi all'attenzione dell'interprete due ipotesi:

  1. l'ordinamento giuridico straniero potrebbe prevedere quale criterio di scelta della legge applicabile alle società quello dell'incorporazione (Grϋndungstheorie). Il trasferimento della sede sociale in Italia comporterebbe, però, il mutamento della legge applicabile ai sensi delle previsioni di cui all'art. 25 L. 218/1995. Il conflitto di disciplina determinerebbe il necessario scioglimento della società e la sua ricostituzione in Italia secondo le regole di diritto italiano e secondo uno dei tipi previsti dall'ordinamento italiano. Non potrebbe essere garantita, in quest'ipotesi, la continuità imprenditoriale dell'ente.
  2. l'ordinamento giuridico straniero potrebbe prevedere quale criterio di scelta della legge applicabile alle società quello della sede effettiva (Sitztheorie). In questo caso, la disciplina straniera risulterebbe compatibile con quella italiana e la società, al fine del trasferimento della sede sociale, non dovrebbe procedere allo scioglimento e alla sua ricostituzione in Italia, ben potendo proseguire nei rapporti giuridici in essere, seppure, come richiesto dalla legge italiana, secondo le regole di diritto italiano. Il trasferimento della sede sociale determinerebbe pertanto la sola disapplicazione della legge straniera e la continuazione dell'attività della società secondo le regole di diritto italiane.

Il trasferimento della sede sociale dall'Italia all'estero

La disciplina di riferimento, al fine di regolare il trasferimento della sede di una società italiana presso uno Stato estero, è data dall'art. 25 della legge di riforma del diritto internazionale privato.

L'ultimo comma dell'art. 25 della L. 218/1995 stabilisce la necessaria conformità dell'operazione di trasferimento della sede sociale all'estero alle leggi di entrambi gli Stati interessati, sia quello di origine che quello di destinazione. La norma, in particolare, presupponendo l'ammissibilità dell'operazione, consente un regime di continuità societaria e non richiede la preventiva estinzione della società e la ricostituzione della stessa all'estero. Tale previsione, al fine di essere compiutamente attuata, dovrà trovare una disciplina conforme nello Sato estero all'interno del quale la società intende trasferire la propria sede.

Potranno allora verificarsi tre ipotesi:

  1. lo Stato estero di destinazione ammette il trasferimento della sede nel proprio territorio, senza preventivo scioglimento della società e sua nuova costituzione, pur assoggettando l'ente trasferito alla propria disciplina societaria. L'ipotesi è conforme a quanto previsto dalla legge italiana in materia e, pertanto, potrà trovare agevole integrazione con le regole di diritto italiano. La società, in questo caso, continuerà ad operare all'estero mutando ordinamento giuridico di riferimento, con conseguente integrazione dei tratti del tipo sociale previsto nell'ordinamento giuridico di destinazione. Inoltre, la società non sarà più tenuta, con efficacia ex nunc, al rispetto delle previsioni di legge italiane in materia di pubblicità. Il trasferimento della sede sociale all'estero, dunque, comporterà la cancellazione della società dal Registro delle Imprese. A tal fine, però, onde evitare il fenomeno della c.d. sparizione delle società (spesso provvisto di intento elusivo), tale cancellazione potrà avvenire solo ove al notaio italiano sia fornita la prova della intervenuta iscrizione della società nel Registro delle Imprese estero (o in analogo registro). Tale procedimento, oltre ad essere condiviso dalla prassi notarile (orientamento del Comitato Triveneto dei Notai E.B.3 in “Attuazione della pubblicità del trasferimento della sede all'estero), consta del favore costante della giurisprudenza (Cass. S.U. 3 ottobre 2011 n. 20144 ma anche, più di recente Cass., sez. I, 24 gennaio 2014, n. 1508, secondo cui “la cancellazione per dichiarato trasferimento all'estero della società presuppone […] che la società continui a svolgere la propria attività imprenditoriale, sia pure in altro Stato”. La Sezione Tributaria Civile della Corte di Cass., con sentenza 19 marzo 2014, n. 6388, precisa che “Qualora la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano sia avvenuta, non a compimento del procedimento di liquidazione dell'ente, o per il verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'esercizio […] bensì come conseguenza del trasferimento all'estero della sede della società, non può considerarsi verificata l'estinzione dell'ente, ai sensi dell'art. 2495 c.c.”. In altri termini, la giurisprudenza non ritiene possibile la cancellazione dal Registro delle Imprese in caso di mancanza della prova dell'avvenuta iscrizione della società nel Registro delle Imprese dello Stato straniero. A riguardo, Cass. 19 marzo 2014, n. 6388, cit.; Cass. 24 gennaio 2014, n. 1508; Cass. S.U. 3 ottobre 2011, n. 20144; Trib. Roma - Ufficio del Giudice del Registro delle Imprese - 15 febbraio 2015, cit.; Trib. Milano – Giudice del Registro delle imprese - decr. 7 gennaio 2013). Occorre precisare, infine, che per l'iscrizione della delibera di trasferimento della sede all'estero presso il competente Registro delle Imprese (italiano), non si renderà necessario depositare il nuovo statuto sociale aggiornato con l'applicazione della disciplina societaria dello Stato di destinazione. Una volta adempiuta la pubblicità prevista dalla legge nel Paese di destinazione, si potrà procedere con la richiesta di iscrizione della cancellazione delle società;
  2. lo Stato estero di destinazione ammette il trasferimento della sede nel proprio territorio, ma solo tramite il preventivo scioglimento della società e la sua nuova costituzione nel territorio dello Stato secondo le regole di tale ordinamento giuridico. In questo caso, il trasferimento della sede sociale avrà natura estintiva e determinerà la costituzione all'estero di una nuova società che si sostituirà alla precedente italiana nell'esercizio dell'attività d'impresa secondo le regole proprie dell'ordinamento di destinazione;
  3. lo Stato estero di destinazione ammette il trasferimento della sede nel proprio territorio, senza preventivo scioglimento della società e sua nuova costituzione e senza richiedere l'assoggettamento dell'ente trasferito alla propria disciplina societaria. L'ipotesi permette alla società di trasferire la sede sociale ove più conveniente, sotto un profilo imprenditoriale ovvero economico o fiscale, pur mantenendo la stessa assoggettata alle regole di diritto dello Stato d'origine (Grϋndungstheorie). La legge applicabile, in quest'ipotesi, resterà ancorata ad un criterio d'individuazione formale (il luogo della costituzione dell'ente) e permarrà invariata per tutto il periodo di attività della società. Potrà in quest'ipotesi continuare ad applicarsi la legge italiana pur proseguendo all'estero l'attività d'impresa.
La libertà di stabilimento all'interno dell'Unione Europea

Quanto sin ora detto vale certamente per il caso di trasferimento della sede da o verso un Paese extra-comunitario. Le stesse regole di diritto si applicano anche all'ipotesi di trasferimento della sede da o verso un Paese comunitario. In tale ultima circostanza, però, occorrerà integrare le regole di diritto internazionale privato di ciascun Paese coinvolto (e la disciplina societaria ivi richiamata) con le norme dei Trattati europei.

Il principio di libertà di stabilimento (o c.d. principio del trattamento nazionale), già disciplinato dagli artt. 43 e 48 del Trattato CE, è regolato dagli articoli 49 e 54 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione – TFUE e garantisce il diritto dei cittadini di stabilirsi in uno Stato membro, diverso da quello di origine, per svolgervi in modo stabile un'attività economica di natura non subordinata, alle stesse condizioni poste dallo Stato nei confronti dei propri cittadini. In particolare, il Trattato assicura, nell'ambito della libertà di stabilimento dallo stesso sancita, la facoltà di accesso alle attività non salariate e al loro esercizio nonché la costituzione e la gestione di imprese ed in particolare di società e l'apertura di agenzie, succursali, filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro (art 49 TFUE, già art. 43 Trattato CE). Tale libertà di stabilimento può essere limitata solo per la sussistenza di ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica. L'art 54 del TFUE (già art. 48 Trattato CE), inoltre, equipara alle persone fisiche, al fine di garantire effettività al principio della libertà di stabilimento, le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro ed aventi sede sociale, amministrazione centrale o centro dell'attività principale nel territorio della Comunità Europea.

Alla luce dei richiamati principi, non è disagevole comprendere come il principio di libertà di stabilimento risulti applicabile anche alla società che intenda trasferire altrove l'organizzazione della propria attività imprenditoriale. Esigenze di tutela del ceto creditorio o di corretta applicazione della disciplina fiscale non paiono rientrare, infatti, tra quelle ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica idonee ad impedire la circolazione delle persone (anche giuridiche), a parità di condizioni, all'interno dello spazio comune europeo. Il principio di libertà di stabilimento risulta idoneo a garantire alle società sia la libertà di stabilimento c.d. primaria, che si sostanzia nel diritto di avviare o ristabilire un'attività economica nel territorio di uno degli Stati membri (abbandonando lo Stato di origine), sia la libertà di stabilimento c.d. secondaria, ovvero il diritto delle società di costituire agenzie, succursali, filiali o sedi secondarie presso uno Stato membro diverso da quello di origine.

Tale principio, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha reso derogabili, ove con esso in contrasto, le previsioni delle leggi di diritto internazionale privato dei Paesi membri dell'Unione Europea. Ove infatti, per effetto del combinato disposto delle regole di diritto internazionale privato poste dai Paesi coinvolti nell'operazione di trasferimento della sede sociale nell'ambito dello spazio comunitario, la società fosse costretta a sciogliersi per doversi ricostituire secondo le regole di diritto societario dello Stato di destinazione, il principio suesposto troverebbe evidente disapplicazione.

Tale circostanza era di fatto rinvenibile, soprattutto nelle ipotesi di trasferimento della sede sociale da o verso Paesi, fra i quali la Germania, ancorati al principio affermato dalla Sitztheorie quale regola di determinazione della legge applicabile alle società. In forza di tale principio, una società, non potendo proseguire l'attività in uno Stato diverso da quello di costituzione continuando ad applicare le norme di diritto societario di tale ultimo Stato né semplicemente adeguando lo statuto alle regole dello Stato di destinazione, si sarebbe vista costretta, al fine di poter continuare ad operare, a procedere a scioglimento e successiva ricostituzione nello Stato di destinazione secondo uno dei tipi sociali ivi previsti (secondo la giurisprudenza tedesca classica, una società che avesse trasferito la sede amministrativa in Germania, seppur costituita in applicazione della disciplina societaria di altro ordinamento comunitario, non avrebbe potuto essere iscritta nel Registro delle imprese tedesco in quanto non costituita secondo le regole dell'ordinamento giuridico tedesco. Fra le tante, BGH 21 marzo 1986, 97, in BGHZ, 1986, 269 ss.). Al fine di escludere tale evenienza, la Corte di Giustizia europea ha ribadito come, per garantire il diritto alla libertà di stabilimento di cui ai Trattati europei, debba poter essere riconosciuta e debba poter operare ovunque nell'Unione una società costituitasi secondo le regole di uno dei Paesi membri, eventualmente a seguito dell'adeguamento del proprio statuto alle norme societarie inderogabili dello Stato di destinazione.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia, il caso “Daily Mail” del 27 settembre 1988, causa 81/87

La sentenza offre lo spunto per dimostrare come il diritto di stabilimento primario (diritto di avviare o ristabilire un'attività economica nel territorio di uno degli Stati membri, abbandonando lo Stato di origine), nonostante presenti una chiara individuazione a livello normativo (oggi rappresentata dagli artt. 49 e 54 TFUE ma già all'epoca dei fatti espressa dagli artt. 52 e 58 Trattato CE), abbia incontrato in Europa non insignificanti difficoltà applicative.

La fattispecie in commento ha riguardato la Daily Mail and General Trust plc.”, una società britannica che intendeva trasferire la propria sede sociale ed effettiva dal Regno Unito in altro Stato membro conservando la personalità giuridica britannica. A seguito del rifiuto di rilascio dell'autorizzazione necessaria al trasferimento da parte delle autorità britanniche e il ricorso della società alla High Court of Justice, la questione fu presentata dinanzi la Corte di Giustizia europea affinché questa potesse accertare il diritto della società a trasferire la propria sede sociale ed effettiva all'estero, in forza degli artt. 52 e 58 Trattato CE, in regime di continuità giuridica ed imprenditoriale (in concreto, attraverso questa sentenza veniva negato alla società britannica Daily Mail and General Trust Plc, sulla base della sussistenza in Gran Bretagna della residenza fiscale dell'ente, il trasferimento della sede amministrativa in Olanda. L'operazione veniva effettuata al fine di lucrare oltre che sulle sopravvivenze attive, sullo scarto dell'imposizione fiscale. Lo scopo del trasferimento della direzione era quello di poter vendere in Olanda, dopo avervi trasferito la residenza fiscale, una quota dei titoli costituenti l'attivo della società, al fine di lucrare consistenti sopravvivenze attive evitando al contempo la tassazione imposta dalla legislazione britannica. Il sistema olandese, infatti, non applicava l'imposta sulle sopravvivenze già realizzate, ma soltanto su quelle eventualmente intervenienti dopo il trasferimento della sede entro il suo territorio).

In tale sentenza, la Corte di Giustizia ebbe a negare il diritto di stabilimento primario a favore della società argomentando che “le società, diversamente dalle persone fisiche, sono enti creati da un ordinamento giuridico e, allo stato attuale del diritto comunitario, da un ordinamento giuridico nazionale e che esistono solo in forza delle diverse legislazioni nazionali che ne disciplinano la costituzione e il funzionamento”.

In altri termini, secondo la citata Corte, la questione della divergenza fra i criteri di collegamento previsti da ciascuno degli Stati membri al fine di individuare la legge applicabile alle società (ragione che aveva reso impossibile il trasferimento della sede sociale in regime di continuità giuridico-imprenditoriale) avrebbe dovuto essere considerata estranea all'ambito di competenza delle norme comunitarie sulla libertà di stabilimento; l'armonizzazione di tale divergenza avrebbe dovuto essere lasciata, secondo la Corte di Giustizia del 1988, alla disciplina e agli interventi legislativi degli Stati membri. Ne derivava che, inevitabilmente, avrebbero potuto verificarsi delle limitazioni al principio della libertà di stabilimento per effetto dell'esistenza di regole di conflitto europee non uniformi. Tanto maggiore sarebbe stata la concorrenza tra gli Stati membri dell'Unione Europea, tanto più difficilmente avrebbe potuto rendersi effettivo il principio di libertà di stabilimento.

Secondo la sentenza in commento, soltanto ove le norme europee inerenti i criteri di collegamento utili a determinare la legge applicabile alle vicende societarie avessero acquistato una dimensione sovra-nazionale, avrebbe potuto realizzarsi ed attuarsi pienamente il principio di libertà di stabilimento di cui ai Trattati comunitari e, conseguentemente, una società costituita secondo la legislazione di uno degli Stati membri, avrebbe potuto trasferire liberamente all'interno dell'Unione Europea la sede della direzione e dell'amministrazione, senza dover procedere con la cancellazione presso i pubblici uffici dello Stato di origine ed ottenere una nuova iscrizione presso lo Stato di arrivo.

Segue: il caso “Centros” del 9 marzo 1999, causa C-212/97

Il caso ha riguardato la società Centros plc che, nonostante la sede legale nel Regno Unito, non aveva mai effettivamente operato in Gran Bretagna. Nelle intenzioni dei soci, la società avrebbe dovuto esercitare la propria attività soltanto in Danimarca, attraverso l'istituzione di una succursale.

L'amministrazione danese, però, aveva rifiutato la registrazione di tale società entro il proprio territorio, considerando come tale operazione fosse finalizzata ad eludere la normativa di diritto societario danese in tema di costituzione di società, attraverso un esercizio abusivo del diritto di stabilimento a titolo secondario ex art. 43 Trattato CE.

La Corte, con la sentenza in commento, riconoscendo il diritto della società Centros di costituire sedi secondarie e succursali all'interno di Stati europei diversi da quello di costituzione, ha affermato come tale anche facoltà rientri pienamente nella libertà di stabilimento disposta dal Trattato.

La creazione di succursali in altri Stati membri per ivi esercitare integralmente l'attività d'impresa, diversi da quello di costituzione e di localizzazione della sede legale, anche al fine di beneficiare di un trattamento normativo favorevole, non potrebbe costituire, secondo la Corte, abuso del diritto di stabilimento.

Allo Stato ospitante la Corte ha riconosciuto, tuttavia, il diritto di adottare liberamente eventuali misure idonee a prevenire o sanzionare ipotesi di abuso, sia nei confronti della società, sia nei confronti dei soci che intendano in tale modo eludere eventuali legittime aspettative di creditori e terzi.

Segue: il caso “Überseering” del 5 novembre 2002, causa C-208/00

In tale caso, la Corte di Giustizia europea si è occupata di una società olandese, la società “Überseering” la quale, con la cessione del proprio intero pacchetto azionario ad acquirenti tedeschi, considerava trasferita la propria sede statutaria in Germania, nonostante l'assenza di una formale delibera in tal senso. A seguito di tale operazione, la società rivendicava il riconoscimento in Germania della propria capacità giuridica e processuale.

Di contro, la giurisdizione tedesca fondava l'applicazione del diritto interno sulla base dell'individuazione della sede reale della società (sede statutaria) e, in quanto tale, affermava l'irregolarità della Übersering in quanto non formalmente costituita e conseguentemente localizzata entro il proprio territorio.

La Corte di giustizia, nell'argomentazione della sentenza in commento, ha affermato che gli artt. 43 e 48 del Trattato CE vietano ad uno Stato membro la facoltà di non riconoscere una società che, essendosi costituita nel rispetto delle regole dello Stato membro di costituzione, abbia trasferito la propria sede amministrativa in altro Stato membro (anche a mezzo del trasferimento in tale Stato della proprietà della società). La Sentenza afferma che “allorché una società costituita conformemente alla normativa di uno Stato membro sul cui territorio essa ha la sede sociale, esercita la sua libertà di stabilimento in un altro Stato membro, gli artt. 53 e 48 del Trattato CE impongono a quest'ultimo di rispettare la capacità giuridica e, quindi, la capacità processuale che questa società possiede in forza del diritto del suo Stato di costituzione”.

Segue: la sentenza “Inspire Art” del 30 settembre 2003, causa C-167/01

Con questa sentenza, la Corte di giustizia europea ribadisce il principio già affermato nella precedente sentenza Centros esprimendo l'impossibilità, per uno Stato membro, di privare la società del diritto di avvalersi della libertà di stabilimento, ad eccezione dei casi in cui ne venga accertato l'abuso. La scelta di operare in uno Stato membro diverso da quello di costituzione, anche al fine di beneficiare di condizioni imprenditoriali e societarie più favorevoli, non può considerarsi, secondo la Corte, un abuso del diritto. Nemmeno l'esercizio dell'attività integralmente in uno Stato diverso da quello di costituzione e localizzazione della sede principale può considerarsi ipotesi abusiva. Tale circostanza non può ritenersi, infatti, sufficiente al fine di individuare una delle ipotesi di abuso che consentirebbe agli Stati membri di limitare il libero stabilimento delle società nell'Unione.

Segue: il caso “Cartesio” del 16 dicembre 2008, causa C-210/06

La sentenza riguarda una società ungherese la quale, trasferendo la propria sede operativa in Italia, aveva inteso mantenere l'iscrizione presso il Registro delle imprese ungherese e la qualifica di società di diritto ungherese.

Al contrario, il giudice del registro delle imprese ungherese aveva negato l'iscrizione dell'operazione di trasferimento della sede operativa in Italia, a causa del mancato preventivo scioglimento dell'ente in territorio ungherese e successiva costituzione della società in Italia. Tale rigetto veniva fondato sulla sussistenza di una legge ungherese che impediva ad una società costituita entro il territorio nazionale di trasferire la propria sede all'estero continuando a rimanere assoggettata all'ordinamento di costituzione.

In tale sentenza dunque, la Corte di giustizia si esprime, specificamente, in merito al tema del trasferimento della sede statuaria all'estero.

Secondo la sentenza della Corte di Giustizia Europea è da ritenere non conforme all'ordinamento comunitario una legge nazionale che imponga alla società, al fine di poter trasferire all'estero la propria sede, di estinguersi nello Stato d'origine e di costituirsi nuovamente nel Paese di destinazione. Un eventuale previo scioglimento costituirebbe, secondo la Corte, una restrizione alla libertà di stabilimento della società che, se non giustificata da motivi di interesse pubblico, risulta essere vietata ex art. 43 Trattato CE. Diversamente, risulterebbe ammissibile, secondo la Corte di Giustizia europea, la richiesta statuale di conformazione dell'ente alle regole di diritto societario vigenti nello stato di destinazione. L'adeguamento della disciplina statutaria alla legge nazionale dello Stato in cui la società intende trasferire la sede principale deve ritenersi ammissibile. Ciò, purché tale conformazione non importi il necessario preventivo scioglimento dell'ente.

Il pronunciamento della Corte nella sentenza in commento risulta essere compatibile con le previsioni di diritto internazionale privato italiane. Come noto, esse impongono, in caso di trasferimento in Italia della sede di una società estera, l'adeguamento dell'ente alle norme inderogabili di diritto societario italiano, pur senza rendere obbligatorio lo scioglimento della società e la sua ricostituzione secondo le regole di diritto interno. Tale adeguamento si rende compatibile con il principio di libera circolazione delle società nello spazio dell'Unione e deve pertanto ritenersi legittimo.

Segue: la sentenza “Vale” del 12 luglio 2012, causa C-378/10

Il caso ha riguardato una controversia in merito alla trasformazione transfrontaliera della società di diritto italiano Vale in società di diritto ungherese.

In tale sentenza, la Corte di Giustizia ha riaffermato i principi espressi in sede di sentenza “Cartesio”, disponendo che la libertà di stabilimento comunitaria obbliga le legislazioni nazionali a riconoscere la cd. trasformazione “transfrontaliera” o “internazionale”, rendendo incompatibili con le norme comunitarie quelle disposizioni nazionali che impongano alla società che intenda trasferire la sede all'estero di estinguersi nel Paese d'origine, per poi costituirsi ex novo nello Stato di destinazione (Garofalo, in “Trasferimento della sede all'estero, mutamento della lex societas e continuità dei rapporti giuridici” nota a Trib. Milano 7/1/2013, in Riv. Dir. Soc., 2014, 65).

Conclusioni

In conclusione, alla luce dell'evoluzione della giurisprudenza europea, si può affermare come la disciplina contenuta nell'art. 25 della L. 218/1995 dovrà essere disapplicata nei casi in cui essa determini il riferimento ad una legge straniera che, per il trasferimento della sede sociale all'estero, imponga alla società di estinguersi nel Paese d'origine e di ricostituirsi alla luce delle regole vigenti nello Stato di destinazione. In questi termini, non potranno essere poste limitazioni alla libertà di stabilimento delle società in Europa.

Nel caso di trasferimento della sede di una società italiana all'interno dell'Unione Europea, non potranno sussistere limitazioni e vincoli diretti a comportare il preventivo scioglimento delle società italiane che trasferiscono all'interno del territorio comunitario la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale dell'impresa, nonché sedi secondarie.

Si deve però ritenere ammissibile, ai sensi della vigente disciplina italiana di diritto internazionale privato e della normativa comunitaria in materia, l'assoggettamento della società alle regole di diritto societario del Paese di destinazione, in forza della prevalenza del diritto “vivente” comunitario rispetto al diritto interno (Daniela Boggiali e Antonio Ruotolo in Studio n.283-2015/I approvato dall'Area scientifica – Studi d'Impresa il 26 novembre 2015; approvato dal CNN nella seduta del 12-13 gennaio 2016– “Il trasferimento della sede sociale all'estero e la trasformazione internazionale” 15).

Con riguardo ai profili pubblicitari del trasferimento, come già accennato, qualora la società intenda restare assoggettata all'ordinamento giuridico dello Stato di destinazione, potrà provvedersi alla cancellazione della società dal Registro delle imprese italiano (previa iscrizione della relativa delibera) solo ove sia fornita la prova dell'avvenuta iscrizione dell'ente presso il corrispondente Registro estero.

Allo stesso modo, potranno essere trasferite in Italia, senza vincoli di preventivo scioglimento, le sedi dell'amministrazione o l'oggetto principale dell'impresa di società comunitarie o potranno essere istituite in Italia sedi secondarie di enti esteri unicamente previo adeguamento, ove necessario, dello statuto sociale alle disposizioni inderogabili della legge italiana. Con applicazione analogica delle previsioni dell'art. 2508 c.c. al caso del trasferimento in Italia della sede della società estera, occorrerà assoggettare l'atto di trasferimento (da adottarsi all'estero secondo la legge dello Stato di provenienza) alle disposizioni della legge italiana sulla pubblicità degli atti societari e sulla pubblicazione delle generalità dei rappresentanti dell'ente, con specificazione dei loro poteri. Tale controllo verrà svolto in sede di ricevimento del verbale da parte del notaio incaricato, il quale provvederà all'eventuale integrazione dello statuto secondo le regole di diritto societario italiano, con particolare riferimento al rispetto della disciplina di tutela del capitale.

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