Collegio sindacale e O.d.V.: un coordinamento necessario?
24 Ottobre 2016
Premessa
Negli ultimi anni, complice anche la crisi economica e finanziaria, il legislatore ha accentuato la sua attenzione sui temi della corporate governance e del risk management. Infatti, negli anni recenti si sono susseguite, oltre al D.lgs. n. 231/2001 di cui ci occuperemo in questa sede, molteplici discipline e normative speciali, in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro e delle misure di prevenzione degli infortuni (D.lgs. n. 81/2008), sulla prevenzione del riciclaggio (D.lgs. n. 231/2007, più volte modificato, nel 2009, 2010, 2012 e da ultimo nell'agosto 2016), sulla salvaguardia dell'ambiente (con l'affermarsi della funzione di audit ambientale), sulla tutela della privacy (D.lgs. n. 196/2003), sulla tutela degli azionisti di minoranza e dei creditori, sulla prevenzione della criminalità economica.
Questa intensa attività di regolamentazione ha imposto alle società ed enti in generale specifici obblighi di organizzazione interna, ma, essendo intervenuta per stratificazioni successive non coordinate fra loro, ha finito per creare un mondo dei controlli definibile come un“reticolo e non un sistema”; infatti, fra “collegio sindacale, comitato audit, società di revisione, dirigente preposto ai documenti contabili, organismo di vigilanza [le] funzioni, [i] rapporti interorganici,[il] coordinamento complessivo non sono chiaramente delineati” (così Montalenti, Organismo di vigilanza e sistema dei controlli, in Giur. Comm., 2009, 646). In particolare, questo reticolo di controlli ha finito indirettamente con l'incrementare i doveri e le responsabilità del collegio sindacale, tanto che secondo alcuni esso è chiamato a…controllare gli altri controllori, così da vedersi attribuita la responsabilità di vigilare sulla complessiva funzionalità del sistema dei controlli interni.
Probabilmente, questa ipertrofia di funzioni attribuite al collegio sindacale dovrà essere ripensata, come è stato giustamente suggerito (cfr. ancora Montalenti, op. cit., il quale ritiene che la semplificazione della materia richieda non tanto un coordinamento tra le funzioni di controllo, quanto piuttosto una più rigida distinzione di compiti ed una riduzione dei poteri del collegio sindacale). In questa prospettiva, un problema sicuramente attuale, anche se la disciplina ha compiuto 15 anni, è quello di definire i confini dei rispettivi ruoli e funzioni del collegio sindacale e dell'organismo di vigilanza ex D.lgs. n. 231/2001, interrogandoci sulla effettiva necessità di un coordinamento fra i due organi, da più parti invocata. E' noto che il D. Lgs. n. 231/2001 ha introdotto il principio della responsabilità amministrativa degli enti dipendente da determinati reati commessi “nell'interesse” o “a vantaggio” degli stessi da parte di “soggetti in posizione apicale” o dai “soggetti sottoposti all'altrui direzione” (i cc.dd. “reati presupposto”). Il D. Lgs. n. 231/2001 (nel prosieguo, anche il “Decreto Legislativo”) si applica agli enti forniti di personalità giuridica e alle società anche prive di personalità giuridica, con l'eccezione dello Stato e degli altri enti pubblici. Il Decreto Legislativo prevede l'esenzione da responsabilità per quell'ente che provi: a) di avere adottato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (i “modelli organizzativi” o, al singolare il “modello organizzativo”); b) di avere istituito un organismo indipendente con il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza del modello adottato; c) che il reato è stato compiuto solo perché le persone che lo hanno commesso hanno eluso fraudolentemente il modello adottato; d) che l'organismo di vigilanza abbia effettivamente eseguito il compito assegnatogli (art. 6). La tecnica normativa adottata è dunque di natura “premiale”, perché non è imposto agli enti alcun obbligo di costituzione di organismi, ma viene concessa l'esimente dall'illecito amministrativo a quegli enti che abbiano spontaneamente attivato meccanismi di risk management, per la prevenzione del rischio di commissione di crimini, attraverso l'adozione di procedure e l'istituzione di un organo ad hoc, che la prassi aziendale ha definito Organismo di Vigilanza(di seguito anche “OdV”).
Il Decreto Legislativo disegna l'OdV come un organismo interno alla società, nominato dall'organo amministrativo, che opera con continuità al fine di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli, curandone l'aggiornamento, ha autonomi poteri di iniziativa e di controllo ed è destinatario dei flussi informativi sull'osservanza e sul funzionamento del modello adottato. Un primo aspetto critico della normativa è dato dalla individuazione delle concrete attività operative dell'OdV: sebbene abbia il potere esclusivo di esercizio dei controlli, l'Organismo non ha tuttavia poteri decisionali ed operativi, né con riferimento alle procedure aziendali che costituiscono attuazione del Modello adottato, né in sede sanzionatoria nel caso di sua inosservanza. Ciò significa, secondo alcuni commentatori, che l'organo ha una mera funzione di “prevenzione indiretta”, ossia di verifica generale del rispetto delle operazioni aziendali alle regole del modello adottato, senza alcun riguardo alla condotta specifica degli operatori; secondo altri, l'attività dell'OdV può, anzi deve, avere ad oggetto il “comportamento in sé del singolo esponente” e invocano a sostegno di questa tesi le previsioni normative sul flusso informativo che i modelli devono contemplare, proveniente da altri organi aziendali verso l'OdV, sui possibili comportamenti illeciti, anche con la finalità di “scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio” (art. 7.3 D.Lgs. n. 203/2001: in tal senso cfr. Giavazzi, Poteri e autonomia dell'organismo di vigilanza: prime certezze, nuove incertezze in Soc., 2012, 11, 1218 ss.). I commentatori sono unanimi, peraltro, nel ritenere che il potere dell'OdV di scoprire e accertare situazioni di rischio, o addirittura il compimento di reati, non comporta che esso abbia il potere effettivo di impedirne la consumazione, che compete soltanto all'organo amministrativo, che sarà a sua volta attivato dall'OdV (sul punto, cfr., ad esempio, Giavazzi, op. cit., 1218; Berti, Profili di responsabilità civile dell'organismo di vigilanza istituito ai sensi del D.lgs. n. 231/2001, in Resp. Civ., 2011, 8 ss.). Ciò solleva l'OdV, secondo la maggior parte degli interpreti, dalla responsabilità penale omissiva prevista dall'art. 40, comma 2 c.p., a norma del quale non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo (cfr. ancora Giavazzi e Berti). Si è osservato, peraltro che “non sembra azzardato ipotizzare che il comportamento dell'OdV che, per le più svariate ragioni, non porti all'attenzione dell'organo gestorio i comportamenti illeciti cui sia venuto a conoscenza possa essere qualificato come una sorta di agevolazione colposa o dolosa (…)” (così Giavazzi, op. cit., 1220). Nessuno dubita, in ogni caso, che l'OdV sia responsabile civilmente verso la società in caso di mancato, o negligente, assolvimento dei compiti assegnatigli, in quanto il “vincolo obbligatorio sorto tra Ente/OdV sarà sussumibile sotto lo schema del mandato professionale. Conseguentemente i membri dell'Organismo risponderanno nei confronti dell'Ente per inadempimento ai doveri di corretto adempimento della loro funzione”(cfr. Berti, op. cit., 10 ss., e Franzoni, Società per azioni Tomo III Dell'amministrazione e del controllo- 2. Del collegio sindacale, Bologna 2015, 173, ove si afferma che il regime di responsabilità applicabile ai componenti l'OdV è quello “comune di tutti i professionisti e no invece quello degli amministratori o dei sindaci della società”).
Il D. Lgs. n. 231/2001 prevede all'art. 6.3 che “I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base dei codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti (…)” e ciò ha incoraggiato le associazioni di categoria ad adottare “Linee Guida”. Le “Linee Guida per la costruzione di modelli di organizzazione, gestione e controllo” elaborate da Confindustria il 7 marzo 2002 e aggiornate al marzo 2014 (reperibili in www.confindustria.it) evidenziano in sintesi che:
Il D.Lgs. n. 231/2001 non prevede alcuna funzione per il collegio sindacale nell'ambito dell'attività di prevenzione assegnata all'OdV, se non al comma 4-bis dell'art. 6 (introdotto con la “Legge di stabilità 2012”, la L. n. 183/2011), che ha previsto per la prima volta la possibilità che nelle società di capitali il collegio sindacale (o il consiglio di sorveglianza o il comitato per il controllo della gestione) svolga le funzioni dell'OdV. Riservandoci di tornare oltre sulla questione del cumulo delle funzioni, vogliamo qui constatare che il silenzio serbato dal D.Lgs. n. 231/2001 sul punto non ha impedito che, fra gli operatori e gli studiosi, ci si interrogasse sul ruolo del collegio sindacale rispetto all'attività di vigilanza, anche in sintonia con quella tendenza, di cui si è dato conto in premessa, ad individuare nel collegio una sorte di “controllore supremo”, in quanto sovraordinato agli altri organismi deputati al controllo interno.
Il ruolo del collegio in caso di mancata adozione del modello organizzativo Un primo problema ripetutamente affrontato è se il collegio sindacale debba sollecitare l'adozione del modello organizzativo, con la conseguente istituzione di un OdV, e quali siano le conseguenze dell'eventuale omissione. La questione non è affatto banale, atteso che, se da un lato, l'istituzione del modello e dell'OdV è rimessa alla decisione volontaria dell'organo amministrativo, dall'altro lato occorre valutare se sia adeguato un assetto organizzativo (artt. 2381 e 2403 c.c.) che non preveda il funzionamento di un OdV, pur in presenza di profili di rischio, valutabili “ex ante”. I casi affrontati in giurisprudenza sono stati definiti con soluzioni contrastanti, almeno apparentemente. La Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, con sentenza n. 32626 del 2 ottobre 2006 ha annullato un provvedimento cautelare adottato dal giudice di merito che, nell'ambito di un'indagine per episodi di corruzione di pubblici impiegati, aveva “ordinato” alla società coinvolta nei fatti criminosi di adottare i modelli predisposti da un commissario giudiziario, nominato ad hoc, attribuendo a tale ultima figura il compito di accertarne l'effettiva adozione. In motivazione, la Corte afferma che nel D. Lgs. n. 231/2001 “non si prevede alcuna forma di imposizione coattiva dei modelli organizzativi, la cui adozione, invece è sempre spontanea, in quanto è proprio la scelta di dotarsi di uno strumento organizzativo, in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società, a determinare in alcuni casi la esclusione dalla responsabilità, in altri un sollievo sanzionatorio (….)”. La Cassazione penale sembra dunque tranchant nell'escludere che si possa in qualche modo imporre ad una società l'adozione di un modello organizzativo, attesa la natura “premiale” della normativa, basata sullo scambio tra soggezione volontaria a un controllo interno e riduzione o eliminazione delle sanzioni amministrative. Con sentenza 13 febbraio 2008, invece, il Tribunale civile di Milano ha condannato un amministratore a risarcire alla società i danni da essa subiti per effetto della mancata attivazione da parte del primo di un modello organizzativo, considerato che lo stesso amministratore era stato condannato, in concorso con altri organi sociali per reati di corruzione, turbativa d'asta e truffa. Se, dunque, la costruzione ed attuazione di un modello organizzativo ex D.Lgs. n. 231/2001 è frutto di una scelta “spontanea”, come giustamente rilevato dalla Cassazione penale, si può configurare ciononostante una responsabilità dell'organo gestorio, ed eventualmente dei sindaci, per non avere adottato questa scelta? Posta in questi termini, in effetti, la risposta potrebbe essere negativa, ma occorre fare un ulteriore sforzo ermeneutico e rilevare che una scelta spontanea non è necessariamente rimessa all'arbitrio dell'organo amministrativo chiamata ad adottarla.
Così come accade in relazione ad altre scelte organizzative aziendali, l'organo amministrativo ha il dovere di decidere seguendo un metodo razionale in funzione della situazione e della missione aziendali e, pertanto, dovrà valutare l'adozione del modello ex D.Lgs. n. 231/2001 tenuto conto dell'area di attività della società, della storia di questa e della concreta possibilità che gli amministratori e i collaboratori possano compiere reati presupposto (sul punto, sembra doversi riscontrare unanime opinione: per tutti, cfr. Bartolomucci, Amministratore diligente e facoltativa adozione del compliance program e D.lgs. n. 231/2001 da parte dell'ente collettivo, in Soc., 2008 (Nota a sentenza Trib. Milano sez VIII 13.2.2008), 1507 ss.; A. Bertolotti, Società per azioni Collegio sindacale. Revisori Denunzia al Tribunale, Torino, 2015, 218, ove si legge che: “si può dunque ritenere che l'onere si trasformi in obbligo in relazione alle caratteristiche dell'ente”; Berti, op.cit., 9). Giustamente, quindi, le Norme di Comportamento del Collegio Sindacale in vigore, per le società non quotate, dal 30 settembre 2015 (di seguito solo le “Norme di Comportamento del Collegio Sindacale”) prevedono, al punto 5.5- Criteri applicativi, che nel caso in cui la società non abbia adottato un modello organizzativo, “è comunque opportuno che il collegio sindacale solleciti un'adeguata riflessione in merito”. Resta fermo, tuttavia, che, come osservato da Bartolomucci, “l'apprezzamento potrà avere un esito legittimamente negativo”. Se la società ha scelto di adottare il modello, sorge il problema della individuazione dei rapporti fra il collegio sindacale e l'OdV istituito, sempre che, ovviamente, le due funzioni non siano state cumulate presso il primo. Come detto in precedenza, le Linee Guida Confindustria prevedono che l'OdV rediga una relazione semestrale, che esse suggeriscono di inviare non soltanto all'organo amministrativo, ma anche al collegio sindacale; in altro passaggio, esse formulano l'auspicio che collegio sindacale e OdV “interagiscano nello svolgimento dell'attività di propria competenza”. Le Norme di Comportamento del Collegio Sindacale prevedono che “il collegio sindacale acquisisce informazioni dall'organismo di vigilanza in merito alla funzione ad esso assegnata dalla legge di vigilare sull'adeguatezza, sul funzionamento e sull'osservanza del modello adottato ex D. Lgs. n. 231/2001”; inoltre, il collegio sindacale dovrà verificare “che il modello preveda termini e modalità dello scambio informativo dell'organismo di vigilanza a favore dell'organo amministrativo e dello stesso collegio sindacale”.
Un recente contributo della Fondazione Nazionale dei Commercialisti suggerisce che il collegio sindacale acquisisca dall'OdV “le informazioni relative al modello organizzativo adottato dalla società ed al suo funzionamento per valutare l'operatività dello stesso e la congruità delle valutazioni e l'adeguatezza delle indicazioni da quest'ultimo adottate (…), concordando anche un programma di incontri nel corso dell'anno” (ci riferiamo a Onori, Gli organi di controllo aziendale. I rapporti di collaborazione del “sistema di controllo interno”- Documento datato 15 settembre 2016 della Fondazione Nazionale dei Commercialisti in www.fondazionenazionalecommercialisti.it). Occorre dare conto del fatto che, a fronte di questi orientamenti, la dottrina giuridica non sembra altrettanto unanime nel ritenere necessaria, o addirittura nemmeno “auspicabile”, un'interazione fra i due organismi. E' stato sottolineato, ad esempio, che esiste una differente configurazione normativa delle competenze fra sindaci e OdV, in quanto i due organismi operano in “settori od ambiti di intervento non sovrapponibili se non in misura parziale”, anche se resta “sullo sfondo- e non potrebbe essere diversamente- il tratto comune del controllo di legalità, pur se specifico e mirato nel caso dell'organismo [di vigilanza, nde]” (così Bertolotti, op. cit., 220). E' stato anche affermato che “più di qualche dubbio sussiste sulla scelta, che sembra avere molti sostenitori fra i non penalisti, di imporre all'OdV di riferire anche o in via prioritaria al collegio sindacale, quasi che sia quest'ultimo il suo interlocutore primario, affidando al collegio il ruolo di “filtro” o, peggio, di “mandante” delle attività del primo. Ammesso che questa sia la soluzione più logica per razionalizzare il sistema dei controlli interni, essa è in aperta contraddizione con quanto codificato nel Decreto [D.lgs. 231/2001, nde] , che contempla tra i soggetti deputati all'adozione e al funzionamento del Modello esclusivamente l'organo dirigente e l'OdV” (così Giavazzi, op. cit., 1227). Ed ancora si legge nello stesso contributo dottrinale che: “Accanto all'inopportunità di un obbligo di reporting sistematico al collegio sindacale, sono numerosi gli argomenti che inducono a ritenere, in via generale, che le attività dell'Odv non dovrebbero nemmeno essere preventivamente concordate o successivamente “sindacate” da altri attori del controllo interno. Anzitutto, tale opzione può avere un'influenza negativa nel giudizio di adeguatezza del Modello: l'operato di un Odv `assoggettato' alla funzione di Internal Audit o ad altri controllori interni è facilmente qualificabile come «passività operativa» soprattutto se «le indagini condotte sono quasi sempre state il frutto di iniziative della funzione audit, senza che preesistesse una chiara linea strategica da parte dell'Odv». In secondo luogo, l'Odv, per la parte di controllo di sua esclusiva competenza, non dovrebbe essere a sua volta controllato, per evitare forme di deresponsabilizzazione e corto circuiti che, qualora vi fosse davvero qualcosa da “scoprire” o da “riparare”, potrebbero rallentare o ridurre il suo potere di intervento. La collaborazione tra gli organi o le funzioni di controllo non dovrebbe nemmeno comportare un reciproco obbligo di informativa completa sulla notizia di violazione del modello, posto che tale divulgazione potrebbe pregiudicare la qualità dell'indagine dell'Odv.
Queste osservazioni devono essere attentamente considerate, a parere di chi scrive, sia per la serietà delle argomentazioni sviluppate, sia perché occorre evitare una pericolosa sovrapposizione di ruoli fra collegio sindacale e OdV che comporta inevitabilmente una più difficile ripartizione delle responsabilità. Una stretta collaborazione fra i due organi, infatti, oltre a forzare l'assetto normativo, finisce per confonderne ruoli e funzioni e per trasferire, inevitabilmente, sul collegio sindacale, che ha compiti di alta sorveglianza, le responsabilità che la Legge ha attribuito in via esclusiva all'OdV ed all'organo amministrativo. A conferma di quanto qui sostenuto sta una contraddizione, che riteniamo di ravvisare in due distinti passaggi delle Linee Guida di Confindustria. Nel primo si insiste, ci pare correttamente, sulla necessità che “le attività poste dall'OdV non possano essere sindacate da alcun altro organismo o struttura aziendale, fermo restando che l'organo dirigente vigila sull'adeguatezza del suo intervento, poiché ad esso compete la responsabilità ultima del funzionamento e dell'efficacia del Modello organizzativo” (pag. 61); nel secondo si afferma che “è opportuno in ogni caso che Collegio Sindacale e Organismo di Vigilanza interagiscano nello svolgimento delle attività di propria competenza. Infatti, i modelli, come cerchi concentrici, costituiscono il fulcro dell'attività di controllo dell'Organismo di Vigilanza, ma rientrano anche nel più ampio ambito dell'attività di controllo del Collegio Sindacale. In mancanza di controllo, il rischio è la duplicazione dei compiti in capo a soggetti diversi e una perdita complessiva di efficienza del sistema dei controlli” (pag. 64, enfasi nostra). La contraddizione fra queste affermazioni è presto detta: se si afferma che nessun organo sociale può sindacare l'attività svolta dall'OdV, dal momento che la Legge assegna a quest'ultimo una funzione esclusiva, non si vede quale possa essere l'oggetto della stretta interazione auspicata nel secondo passaggio, posto che il collegio sindacale non potrebbe interloquire né sul modello, la cui adozione compete all'organo amministrativo, né sulle modalità di esercizio delle sue funzioni da parte dell'OdV. La seconda affermazione, peraltro, ci sembra per sè errata, perché, se fosse vero che l'attività dell'OdV “rientra” nel perimetro del controllo esercitato dal collegio sindacale, allora occorrerebbe affermare che, in mancanza dell'OdV, la vigilanza sul compimento dei reati presupposto è in ogni caso operante e spetta al collegio sindacale. Sappiamo, però, che il D.Lgs. n. 231/2001 istituire un sistema premiale per le società che effettivamente adottano modelli adeguati, proprio perché, in mancanza, non vi sarebbe vigilanza preventiva in questa materia. Ribadito, dunque, che collegio sindacale e OdV operano in ambiti distinti, occorre comprendere se vi sia e quale possa essere l'ambito di “dialogo” fra questi due organi. L'analisi non può prescindere dalla normativa primaria che disciplina la materia.
Il D.lgs. n. 231/2001, come più volte detto, non assegna al collegio sindacale alcun compito, se non nell'ipotesi di assunzione delle funzioni di OdV ; a sua volta l'art. 52 D.Lgs. n. 231/2007 (disciplina sull'antiriciclaggio) prevede che “il collegio sindacale, (…) l'organismo di vigilanza di cui all'art. 6, comma 1 lett. b), D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231 (….) vigilano, ciascuno nell'ambito delle proprie attribuzioni e competenze, sull'osservanza delle norme” contenute nello stesso decreto. Neanche questa norma ipotizza un'azione coordinata, ma presuppone, al contrario, l'esistenza di ambiti distinti di attribuzioni e competenze nella vigilanza. Quanto al codice civile, esso prevede espressamente uno scambio di informazioni fra il collegio e il revisore legale (art. 2409-septies) oppure con “i corrispondenti organi delle controllate in merito ai sistemi di amministrazione e controllo ed all'andamento generale dell'attività sociale” (art. 2403-bis), ma non afferma un potere/dovere generale del collegio sindacale di scambiare informazioni con ogni altro organo di controllo interno o esterno alla società. Ciò precisato, il collegio sindacale non potrà certamente disinteressarsi dell'esistenza e dell'attività dell'OdV istituito in seno alla società, perché rientra comunque nei suoi doveri la vigilanza sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo e sul suo “concreto funzionamento” (art. 2403 c.c.). Questa vigilanza del collegio sindacale, tuttavia, non può e non deve spingersi fino ad interferire con l'attività dell'OdV, né dovrà comportare una pretesa di ricevimento di un costante flusso informativo da quest'ultimo (che, tra l'altro, la Legge prevede esclusivamente verso l'OdV e non dall'OdV). A ben vedere, quindi, si tratta anche in questo caso di applicare le norme che presiedono alla vigilanza del collegio sindacale sull'adeguatezza e sul funzionamento dell'assetto organizzativo. Le Norme di comportamento qualificano questa attività come “alta sorveglianza” che “si concentra su metodi, procedure e strumenti con cui l'azienda organizza la propria attività amministrativa” (Norma 3.4 Commento). In dottrina si afferma che la vigilanza non è rivolta (necessariamente) al singolo atto o fatto gestorio, “ma alla funzionalità dell'organizzazione interna dell'azienda, vista come presidio avanzato di una corretta gestione” (così. Bertolotti, op. cit., 170. Sul punto cfr. anche Franzoni, op. cit., 145 dove precisa che “questa vigilanza non preclude il controllo sulle operazioni di maggiore rilevanza economica per la società, qualora si reputi che queste possano non rispondere a criteri di economicità”). Non v'è ragione per discostarsi da queste regole di condotta anche in relazione alle funzioni che la Legge assegna all'OdV, per cui i sindaci dovranno verificare che:
Qualora l'attività di vigilanza del collegio, così come innanzi delineata, dovesse evidenziare carenze nell'assetto organizzativo, il collegio chiederà all'organo amministrativo l'adozione di azioni correttive, verificandone la realizzazione nel corso dell'incarico, riservandosi, in caso di inerzia protratta, o di insufficienza o inadeguatezza delle correzioni apportate, di adottare le iniziative previste dalla legge per la rimozione delle violazioni riscontrate, dandone conto nella relazione da proporre all'assemblea in occasione dell'approvazione del bilancio di esercizio (così la Norma 3.4- Criteri applicativi). Inoltre, il collegio sindacale potrà segnalare all'OdV, ove ravvisate in occasione dell'esercizio delle sue funzioni, eventuali violazioni delle prescrizioni del modello adottato che possano comportare l'insorgere di una responsabilità in capo alla società. Come sappiamo, il Decreto Legislativo prevede la possibilità che la funzione dell'OdV sia svolta dal collegio sindacale (art. 6 comma 4-bis). La novella legislativa è stata salutata con favore nelle Linee Guida di Confindustria, mentre ha suscitato le perplessità di alcuni commentatori. Si è parlato, infatti, di un “appannamento” della possibilità di distinguere le rispettive funzioni, mentre altri hanno avanzato il dubbio che il collegio sindacale possa assicurare una presenza dedicata esclusivamente a tempo pieno all'attività di vigilanza sul modello organizzativo (cfr., rispettivamente, Bertolotti, op. cit., 220 e Franzoni, op. cit. 172, che richiama una circolare della Guardia di Finanza in data 19 marzo 2012 n. 83607/2012 che segnala- al Volume III dedicato alla “Responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato”- l'esigenza che l'OdV sia costituito da una struttura stabile. Peraltro, la circolare, ancorché pubblicata successivamente, non tiene conto della novella introdotta con la Legge di stabilità 2012 ed afferma che “si è concluso pacificamente che l'ODV non possa essere rappresentato dal collegio sindacale”. La Circolare è reperibile su www.complianceaziendale.com/2012/04/il-testo-completo-della-circolare-n.html).
Le Norme di comportamento del collegio sindacale prevedono al riguardo che, anche in caso di cumulo, le funzioni rimangono distinte; infatti, delle attività svolte nel loro espletamento “dovrà essere fornita separata documentazione, dovendo pertanto darsi evidenza dell'attività svolta ex D.Lgs. n. 231/2001 in verbali e carte di lavoro distinti rispetto al libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale e ai relativi documenti di supporto” (Norma 5.5- Commento).
In senso analogo si esprimono anche le Linee Guida di Confindustria. Ci pare, in conclusione, che, ove proposto dall'organo amministrativo, il cumulo delle funzioni debba essere valutato attentamente dal collegio sindacale, avuto riguardo alla complessità organizzativa ed alla storia della società: quanto maggiore sarà la prima, e quanto più alta sarà la probabilità che si commettano illeciti, tanto minore dovrà essere la disponibilità ad accettare un nuovo incarico che, in queste circostanze, dovrebbe essere affidato preferibilmente ad un organismo ad hoc, che possa assicurare l'efficiente attuazione del modello organizzativo adottato.
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