La postergazione dei finanziamenti “indiretti” effettuati dai soci

Daniele Fico
25 Febbraio 2016

La natura postergata di un credito deve affermarsi ex art. 2467 c.c. (anche) ogniqualvolta il credito sia sorto in favore del socio a fronte di prestazione di beni o servizi in un periodo in cui la società versava in situazione di squilibrio finanziario, tanto che sarebbe stato ragionevole un conferimento, ovvero in una situazione di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto
Massima

La natura postergata di un credito deve affermarsi ex art. 2467 c.c. (anche) ogniqualvolta il credito sia sorto in favore del socio a fronte di prestazione di beni o servizi in un periodo in cui la società versava in situazione di squilibrio finanziario, tanto che sarebbe stato ragionevole un conferimento, ovvero in una situazione di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto

Il caso

In sede di modifiche al piano di concordato ex art. 161 l. fall. la società proponente insisteva nel considerare di natura non postergata il credito derivante dalle forniture effettuate da un socio in favore della medesima.

I giudici di merito, ritenuto che la natura postergata di un credito debba affermarsi ai sensi dell'art. 2467 c.c. anche nel caso in cui il credito del socio abbia avuto origine a fronte di prestazioni di beni o servizi in un periodo nel quale la società versava in una situazione di squilibrio finanziario, tanto che sarebbe stato ragionevole un conferimento, ovvero in una situazione di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto, hanno ritenuto le forniture eseguite dal socio in prossimità dell'accertamento della perdita del capitale sociale e della conseguente decisione di porre in liquidazione la società beneficiaria come finanziamenti indiretti effettuati dai soci e, pertanto, i relativi crediti postergati ex art. 2467 c.c.

La questione giuridica e la soluzione

La decisione del Tribunale di Padova affronta l'interessante questione concernente la postergazione dei finanziamenti effettuati dai soci a favore di società a responsabilità limitata. Il tema, come noto, trova disciplina nel nostro ordinamento giuridico nell'art. 2467 c.c. che considera postergato rispetto al soddisfacimento degli altri creditori il rimborso dei finanziamenti dei soci in qualsiasi forma effettuati concessi in un momento nel quale, anche in virtù del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto, o una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.

L'anzidetta disposizione ha la sua ratio nella esigenza di contrastare il fenomeno della c.d. “sottocapitalizzazione nominale, intendendosi con tale espressione la situazione in cui la società dispone di mezzi finanziari necessari al suo esercizio, in virtù, tuttavia, non di apporti di capitale proprio (che, al contrario, risulta essere inadeguato), ma tramite la concessione di prestiti da parte dei soci. (Secondo G.B. Portale, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, in Banca, borsa, tit. cred., 2003, I, 666, la sottocapitalizzazione “nominale” va distinta dalla sottocapitalizzazione c.d. “materiale”, che si ravvisa tutte le volte in cui il fabbisogno finanziario di una società non risulta coperto neanche con prestiti dei soci). A fronte della frequente sottocapitalizzazione, infatti, le società tendono a risolvere il problema relativo al reperimento di nuovi mezzi finanziari ricorrendo al capitale di credito (finanziamenti), in luogo del capitale di rischio (conferimenti), soddisfacendo, in tale maniera, l'esigenza di risorse finanziarie della società evitando, allo stesso tempo, di esporre il patrimonio dei soci a responsabilità per le obbligazioni sociali.

L'art. 2467 c.c. evidenzia, al primo comma, il principio della postergazione, cioè posposizione nel grado, dei crediti dei soci rispetto a quelli degli altri creditori sociali. In virtù di tale principio, i soci finanziatori hanno quindi diritto al rimborso delle somme versate nella società a titolo di finanziamento soltanto dopo l'integrale soddisfacimento degli altri creditori sociali, rectius di coloro che risultino creditori al momento del rimborso e non all'atto del finanziamento. Infatti, anche i creditori il cui titolo sia sorto successivamente all'effettuazione del finanziamento hanno diritto ad invocare la postergazione.

A ben vedere, il significato della postergazioneva ricercato nella riqualificazione del rapporto tra le parti come conferimento e nella conseguente volontà di sanzionare uno spostamento del rischio imprenditoriale sui creditori sociali. In questa ottica, il legislatore considera i prestiti dei soci effettuati in presenza delle condizioni di cui all'art. 2467, comma 2, c.c., alla stessa stregua di un apporto di capitale proprio.

Ciò che rileva ai sensi dell'art. 2467 c.c. è che il finanziamento sia stato effettuato in qualsiasi forma da colui che è socio al momento dell'esecuzione non rilevando, pertanto, l'assunzione (o la perdita) della qualità di socio in un momento successivo all'effettuazione del finanziamento o all'atto della restituzione del medesimo. L'espressione finanziamenti “in qualsiasi forma effettuati” non deve essere, tuttavia, circoscritta ai soli finanziamenti in denaro, ma deve intendersi riferita anche a quelli realizzati mediante la non riscossione di crediti scaduti e quindi esigibili (v. G.B. Portale, Riforma delle società di capitali e limiti di effettività del diritto nazionale, in Corr. giur., 2003, 147); attraverso il pagamento di crediti della società in crisi da parte di un socio (Trib. Tivoli 30 settembre 2010, in ilcaso.it); nonché attraverso le garanzie prestate dal socio nell'interesse della società, dal momento che risulta evidente come la disponibilità di garanzie personali o reali rilasciate dal socio permette alla società di ricorrere a prestiti da parte di terzi altrimenti non ottenibili (in maniera conforme Trib. Padova 16 maggio 2011, in Il Fallimento, 2012, 221. Per l'applicabilità della norma anche ai finanziamenti indiretti, cfr. V. Salafia, La fideiussione del socio per obbligazioni della società di persone e per quella di capitali, in Le Società, 2009, 1081; A. Postiglione, La nuova disciplina dei finanziamenti dei soci di s.r.l.: dubbi interpretativi e limiti applicativi, in Le Società, 2007, 937).

Nell'ipotesi di rilascio di garanzie da parte del socio nell'interesse della società, ricorrendo i presupposti di cui all'art. 2467 c.c., il rimborso del finanziamento è comunque subordinato al soddisfacimento degli altri creditori ed i soci perdono il diritto alla liberazione del bene oggetto della garanzia o al rimborso di quanto loro spettante in via di regresso a seguito della escussione della garanzia medesima. Al riguardo, i giudici di merito hanno chiarito che la sussistenza dei presupposti della postergazione indicati al secondo comma del più volte citato art. 2467 c.c. deve essere valutata non già con riferimento al momento del pagamento da parte del socio e la conseguente acquisizione da parte sua della posizione di creditore della società, ma in relazione al momento in cui, prestando la garanzia, ha consentito che il terzo erogasse il finanziamento (Trib. Milano 4 giugno 2013).

Non vi rientrano, al contrario, il prestito obbligazionario, poiché la sua disciplina normativa (art. 2410 e ss.) lo configura in maniera non assimilabile al semplice finanziamento soci (così Trib. Milano 25 luglio 2014, n. 9748), né i prestiti sociali cooperativi sull'assunto in base al quale “per la stessa struttura della cooperativa esso riguarda soggetti che non hanno poteri di incidere sulla gestione sociale” (Trib. Treviso 19 gennaio 2015, anche in IlFallimentarista.it).

In questo contesto si inserisce il provvedimento del Tribunale di Padova qui esaminato che - attraverso una interpretazione estensiva della norma, con tesi condivisibile a parere dello scrivente - considera nella nozione di finanziamento di cui all'art. 2467 c.c. anche i crediti derivanti da fornitura di beni o servizi, in quanto finanziamenti indiretti, qualora tali forniture siano eseguite dal socio in presenza di una eccessiva sproporzione tra i debiti ed il patrimonio netto della società beneficiaria o in una situazione nella quale sarebbe stato ragionevole effettuare un conferimento in luogo di un prestito, in considerazione della complessiva situazione finanziaria; momento che i giudici di merito bergamaschi individuano nell'accertamento della perdita del capitale sociale (in senso conforme, Trib. Reggio Emilia 10 giugno 2015, anche in IlFallimentarista, secondo cui i finanziamenti ai sensi dell'articolo 2467 non sono solo quelli derivanti da meri trasferimenti di danaro infragruppo, ma anche da rapporti diversi, quali a titolo esemplificativo, quelli di fornitura di merci e di servizi, qualora si accerti in concreto che le forniture di beni, di servizi, o l'erogazione di altre utilità, abbiano assolto, sotto il profilo finanziario, alla stessa funzione della dazione di danaro).

Osservazioni

Quanto previsto dal secondo comma dell'art. 2467 c.c., non trova comunque applicazione indistintamente per qualsiasi modalità di finanziamento effettuata alla società, ma esclusivamente per quei finanziamenti dei soci che formalmente si presentano come capitale di credito, ma che, nella sostanza, costituiscono capitale proprio. In altre parole, il principio della postergazione vale solo rispetto a quei prestiti che possono considerarsi “sostitutivi” del capitale sociale, cioè per quei finanziamenti effettuati:

a) in presenza di una eccessiva sproporzione tra i debiti ed il patrimonio netto della società beneficiaria;

b) in una situazione nella quale sarebbe stato ragionevole effettuare un conferimento in luogo di un prestito, in considerazione della complessiva situazione finanziaria.

In assenza di un eccessivo squilibrio delle passività rispetto al patrimonio netto o di una situazione di crisi di liquidità tale da consigliare il ricorso a conferimenti da parte dei soci in luogo di un prestito, infatti, quanto disposto dall'art. 2467, comma 1, c.c., non trova applicazione.

Il legislatore, pertanto, in relazione agli indici di sottocapitalizzazione ha fatto ricorso a “clausole generali”, rinunciando, in tal modo, a rigidi criteri quantitativi.

Con specifico riferimento all'indice di sottocapitalizzazione sub a) - eccessiva sproporzione tra i debiti ed il patrimonio netto della società beneficiaria – per alcuni il limite quantitativo potrebbe essere rappresentato dal criterio sancito dall'art. 2412 c.c., che indica quale limite per l'emissione di un prestito obbligazionario da parte delle s.p.a. il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato. Alla luce di queste considerazioni, potrà giudicarsi squilibrato e, quindi, sospetto, l'indebitamento contratto dalla società con i propri soci nell'ipotesi in cui fosse superato il limite sopra indicato.

Altri studiosi, al contrario, pur riconoscendo la validità di questa teoria, hanno osservato che il richiamo all'art. 2412 c.c. non può essere l'unico parametro di riferimento, ritenendo ragionevole il ricorso a criteri tendenzialmente più elastici, come, ad esempio, l'adozione dei più noti indici di bilancio individuati dalla dottrina aziendalistica, senza comunque che nessuno di essa costituisca un criterio numerico assoluto, al fine di verificare la reale situazione finanziaria e patrimoniale della società. (Per App. Milano 18 aprile 2014, non ricorre il requisito della eccessiva sproporzione nel rapporto tra indebitamento e patrimonio netto di cui all'art. 2467 c.c. “qualora l'indice di liquidità dell'impresa (e cioè il raffronto della posizione di liquidità a breve termine dell'azienda con l'ammontare delle passività correnti) sia di poco inferiore, uguale o superiore a 1”.

Il criterio sub b) - ragionevolezzadell'apporto di mezzi propri in considerazione della situazione finanziaria della società, a sua volta, pare doversi interpretare tenendo conto che l'interesse della società è la continuità dell'attività d'impresa. Sul punto, giova ricordare che la relazione governativa al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (avente ad oggetto la riforma del diritto delle società di capitali) contiene un esplicito invito all'interprete ad adottare “un criterio di ragionevolezza, con il quale si tenga conto della situazione della società e la si confronti con i comportamenti che nel mercato sarebbe appunto ragionevole aspettarsi”. In altri termini, il comportamento del socio che finanzia la società dovrebbe essere confrontato con il comportamento che sarebbe stato ragionevole attendersi dal mercato in una determinata situazione della società medesima: se un terzo avesse ragionevolmente concesso un finanziamento alla società conoscendone le condizioni economiche, patrimoniali e finanziarie, non sussiste, allora, motivo alcuno per “patrimonializzare” il finanziamento del socio. (Per Trib. Milano 6 febbraio 2015, n. 1658, ai fini della postergazione ex art. 2467 c.c. del rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società, i presupposti dell' "eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio" ovvero della "situazione finanziaria della società della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento" devono interpretarsi come voluti, dallo stesso legislatore, ad individuare una nozione unitaria di crisi che coincide con il rischio di insolvenza, idoneo a fondare una sorta di "concorso potenziale" tra tutti i creditori della società. Secondo Trib. Venezia 14 aprile 2011, al fine di valutare la presenza o meno di un eccessivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto della società finanziata, ovvero di una situazione finanziaria che avrebbe ragionevolmente giustificato un conferimento, non è sufficiente considerare il rapporto tra il totale delle fonti di finanziamento e i mezzi propri - c.d. indice di "leverage", dovendosi altresì procedere ad un'analisi della concreta struttura del debito; in tale ambito è destinata ad incidere in misura maggiore sullo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto la prevalenza di una componente di debito a breve termine, posto che, in tale eventualità, i finanziamenti erogati da terzi devono essere necessariamente utilizzati per pagare altri debiti di imminente scadenza e non per finanziare gli investimenti).

In ogni caso, sono da ritenersi escluse dall'ambito di applicazione dell'art. 2467, comma 2, c.c., le fattispecie nelle quali i soci, pur potendo la società ricorrere al credito senza creare situazioni di particolare squilibrio tra mezzi propri ed indebitamento, abbiano preferito finanziare la società (in senso conforme Trib. Milano 29 settembre 2005, in Le Società, 2006, 1133, secondo cui non sono censurabili le scelte gestionali del gruppo di maggioranza che governa una holding la quale abbia scelto di finanziare le società controllate, senza ricorrere al credito bancario, quando ciò si realizzi senza danno alcuno ai creditori), al pari dell'ipotesi in cui i finanziamenti sono eseguiti per ovviare ad esigenze di carattere meramente transitorio (nello stesso senso E. Fazzuti, Commento sub art. 2467, in La riforma delle società, 3, Società a responsabilità limitata. Liquidazione-Gruppi-Trasformazione-Fusione-Scissione, a cura di M. Sandulli, V. Santoro, Torino, 2003, 49; D. Scano, I finanziamenti dei soci, in AA.VV., La nuova s.r.l. Prime letture e proposte interpretative, a cura di F. Farina, C. Ibba, G. Racugno, A. Serra, Milano, 2004, 389, nota 30).

Per quanto concerne, poi, al momento nel quale valutare la postergazione, pare lecito ritenere, in virtù di una interpretazione meramente letterale del secondo comma dell'art. 2467 c.c. (che parla di finanziamenti “concessi in un momento in cui”), che l'accertamento delle condizioni sopra menzionate vada effettuato all'atto in cui il finanziamento sia stato erogato, e non certo in un momento successivo all'erogazione medesima (conforme Trib. Milano 24 aprile 2007, in Giur. it., 1500 e ss. In dottrina, G. Balp, Commento sub art. 2467 c.c., in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Società a responsabilità limitata, a cura di L.A. Bianchi, Milano, 2008, 246 s. e 300 ss.). In questa ottica, è condivisibile l'affermazione secondo la quale “il finanziamento nasce postergato ma non può diventarlo a causa del successivo deteriorarsi delle condizioni della società” (l'espressione è di D. Scano, I finanziamenti dei soci, cit., 395).

Giova comunque far presente che l'anzidetta disciplina è stabilita per le sole società a responsabilità limitata e, ai sensi dell'art. 2497-quinquies c.c., per i finanziamenti infragruppo, rectius per i finanziamenti effettuati a favore della società da chi su di essa esercita attività di direzione e coordinamento o da altri soggetti sottoposti all'attività di direzione e coordinamento. Con riferimento alle società per azioni, al contrario, non è previsto alcunché, salvo l'appartenenza delle medesime all'interno di un gruppo societario. In assenza di una specifica disposizione legislativa, si pone quindi l'interrogativo relativo a se quanto disposto dall'art. 2467 c.c. sia espressione di un principio generale e, come tale, applicabile anche alle s.p.a. o se, al contrario, tale disciplina debba essere interpretata in senso restrittivo.

Al riguardo, si conoscono opinioni diametralmente opposte. Secondo una prima, ad onor del vero minoritaria, fondata sulla mera interpretazione letterale della norma, le società per azioni sarebbero escluse dal regime di applicazione dell'art. 2467 c.c., salvo, ovviamente, il caso in cui tale tipo societario eserciti attività di direzione e coordinamento. Difatti, qualora il legislatore avesse voluto estendere l'applicazione dei principi sopra menzionati anche alle s.p.a., avrebbe espressamente previsto una disposizione in tal senso, non limitandosi alla sola ipotesi di s.p.a capogruppo che finanzia società sottoposte alla sua direzione e coordinamento. Una simile interpretazione sarebbe altresì avvalorata anche dal carattere personalistico della partecipazione nelle s.r.l. e, pertanto, dalla considerazione della natura del soggetto finanziatore: non qualsiasi socio, ma soltanto colui che si trovi in una relazione stretta con la società (così D. Scano, I finanziamenti dei soci, cit., 407; A. Postiglione, La nuova disciplina dei finanziamenti dei soci di s.r.l.: dubbi interpretativi e limiti applicativi, cit., 938; G. Balp, Commento sub art. 2467 c.c., cit., 266).

Questa opinione, tuttavia, a parere dello scrivente, non sembra essere convincente in quanto giustifica l'esclusione della società per azioni dalla disciplina di cui all'art. 2467 c.c. alla luce, essenzialmente, delle dimensioni del tipo societario, senza, però, considerare che, nell'ambito delle stesse s.p.a. rientrano anche quelle chiuse e, tra queste, le s.p.a. a stretta base azionaria, che non presentano differenze particolari rispetto alle società a responsabilità limitata, essendo, al contrario, equiparabili a queste ultime.

In questo senso si sono espressi i Giudici di legittimità (Cass. 7 luglio 2015, n. 14056, in IlSocietario.it), secondo i quali la questione dell'applicabilità dell'art. 2467 c.c. alle società per azioni non può essere risolta con un riferimento ad astratti modelli societari. Al contrario, risulta necessario valutare in concreto la conformazione effettiva di ciascuna compagine sociale, cioè se una determinata società esprima un assetto di rapporti sociali idoneo a giustificarne l'applicazione. In tale contesto, quindi, anche imprese di modeste dimensioni e con compagini sociali familiari o comunque “chiuse” possono essere esercitate nella forma di società per azioni e giustificare conseguentemente l'applicazione del citato art. 2467 c.c., la cui ratio, osserva la Cassazione, è “appunto quella di regolare i fenomeni di sottocapitalizzarne nominale in società chiuse (fenomeni determinati dalla convenienza dei soci a ridurre l'esposizione al rischio d'impresa, ponendo i capitali a disposizione della società nella forma di finanziamento anziché in quella di conferimento)”.

Nello stesso senso, Trib. Milano 28 luglio 2015, n. 9104, in IlSocietario.it, per il quale ladisciplina di cui all'art. 2467 c.c., oltre a soddisfare esigenze di tutela dei creditori che possono in concreto ricorrere non solo nell'ambito di società a responsabilità limitata ma anche nell'ambito di società per azioni c.d. chiuse, non è di per sé una disciplina singolare o isolata nel complessivo disegno del diritto societario, ma appare invece del tutto coerente con le linee fondanti di tale disegno, prevedenti, per lo svolgimento di attività di impresa in forma societaria, l'immissione da parte dei soci di capitale di rischio e il rinnovo di tale immissione nel caso di perdita del capitale originario, sicché, in tale contesto di norme (relativo in particolare alla disciplina dei conferimenti e agli obblighi di ricapitalizzazione), la valenza antielusiva della postergazione dei finanziamenti dei soci ex art. 2467 c.c. appare espressione di un principio generale, volto ad evitare uno spostamento del rischio di impresa sui creditori.

Trattasi, quindi, osservano i giudici di merito meneghini, di un principio generale esplicitato dal legislatore solo per le società a responsabilità limitata, quali società tendenzialmente e ontologicamente più esposte al rischio di sottocapitalizzazione in danno dei creditori, ma non per questo inapplicabile anche a società costituite in forma di società per azioni, laddove le stesse presentino, in concreto, situazioni organizzative che riecheggino quelle tipiche delle prime e, in particolare siano connotate da una base azionaria familiare o comunque ristretta; dalla coincidenza tra le figure dei soci e quelle degli amministratori; dalla connessa possibilità per il socio di apprezzare compiutamente (analogamente al socio di S.r.l. tipicamente dotato di poteri di controllo di cui all'art. 2476, comma 2, c.c.) la situazione di adeguata capitalizzazione della società. Questa conclusione è del resto avvalorata dalla disciplina prevista dall'art. 2497-quinquies c.c. in tema di postergazione dei finanziamenti infragruppo, la quale prescinde dal dato formale della forma societaria per collegare la postergazione ad altra situazione ove il socio finanziatore, quale esercente attività di direzione e coordinamento rispetto alla società finanziata, è "tipicamente" in grado di valutare compiutamente la situazione di capitalizzazione della società (conformi, Trib. Pistoia 21 settembre 2008, in Le Società, 2009, 1515; Trib. Udine 21 febbraio 2009; Trib. Venezia 3 marzo 2011, in Il Fallimento, 2011, 1349).

Le considerazioni sopra esposte portano a concludere, in conformità peraltro alla tesi prevalente in dottrina (v. per tutti, G.B. Portale, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, cit., 681; C. Angelici, La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, Padova, 2003, 47; L. Mandrioli, La disciplina dei finanziamenti soci nelle società di capitali, in Le Società, 2006, 182), che le regole riguardanti il finanziamento dei soci dettate per le s.r.l. esprimono principi generali del diritto societario, applicabili quindi anche alle s.p.a.

Conclusioni

In conclusione, il provvedimento del Tribunale di Padova è senza dubbio da apprezzare poiché offre un'utile interpretazione in merito alla natura dei finanziamenti dei soci rilevante ai fini dell'applicazione del disposto di cui all'art. 2467 c.c., considerando postergati anche i crediti derivanti da fornitura di beni o servizi, in quanto finanziamenti indiretti, qualora tali forniture siano eseguite dal socio in presenza di una eccessiva sproporzione tra i debiti ed il patrimonio netto della società beneficiaria o in una situazione nella quale sarebbe stato ragionevole effettuare un conferimento in luogo di un prestito, in virtù della complessiva situazione finanziaria della società. Diretta conseguenza di quanto sopra e che rientrano nella nozione di finanziamenti sottoposti alla disciplina prevista dall'art. 2467 c.c. sia quelli diretti, che quelli indiretti.

Sul tema, infine, un ulteriore argomento di discussione è rappresentato da se tale postergazione presupponga l'apertura di una procedura concorsuale o, al contrario, possa applicarsi anche al di fuori di questa ipotesi. Secondo alcuni interpreti (cfr. L. Mandrioli, La disciplina dei finanziamenti soci nelle società di capitali, cit., 177 ss.; L. Panzani, La postergazione dei crediti nel nuovo concordato preventivo, in Il Fallimento, 2006, 681), la postergazione opera esclusivamente allorquando esiste un concorso, cioè in sede di procedura concorsuale liquidatoria o in pendenza di esecuzione individuale. Il termine postergazione andrebbe dunque inteso nel suo significato tecnico, di graduazione che presuppone il concorso, e quindi il soddisfacimento dei creditori sociali non secondo un criterio temporale di adempimento cronologico delle obbligazioni, tipico delle imprese in bonis, bensì secondo l'ordine di preferenza accordato dalla legge che tenga conto della natura del credito e delle legittime cause di prelazione. Da ciò discenderebbe che per le società in bonis non potrebbe parlarsi di postergazionee dunque di limiti alla restituzione ai soci alla scadenza dei finanziamenti concessi (in senso conforme, in giurisprudenza, Trib. Milano 4 giugno 2013, cit.; Trib. Milano 10 gennaio 2011, in Giur. it., 2011, 574. Sull'applicabilità dell'art. 2467 c.c. alle società in liquidazione, v. Cass. 13 luglio 2012, n. 12003).

Altri studiosi, invece, partendo dalla considerazione che la disciplina dei finanziamenti dei soci debba avere il medesimo trattamento previsto per i conferimenti, e non una disciplina più rigorosa, ritengono che la postergazione non presupponga la liquidazione della società o l'apertura di una procedura concorsuale. In caso contrario, infatti, si avrebbe una situazione nella quale, nonostante l'esistenza di crediti non ancora soddisfatti, il capitale sociale potrebbe essere ridotto ex art. 2482 c.c., con conseguente restituzione ai soci di parte dei conferimenti, mentre in nessuna ipotesi i medesimi potrebbero ottenere il rimborso del proprio credito prima dello scioglimento del rapporto sociale (A. Postiglione, La nuova disciplina dei finanziamenti dei soci di s.r.l.: dubbi interpretativi e limiti applicativi, cit., 935; G. Balp, Commento sub art. 2467 c.c., cit., 247).

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