Trasferimento di ramo d’azienda e rapporti di lavoro

Alessandro Corrado
04 Giugno 2015

In caso di trasferimento di ramo d'azienda, il criterio scriminante ai fini dell'applicazione dell'art. 2112 c.c. come novellato dal d.lgs. n. 276/2003 e del dispiegarsi dei suoi effetti è dato dal requisito dell'autonomia funzionale della parte di azienda oggetto di cessione.
Massima

In caso di trasferimento di ramo d'azienda, il criterio scriminante ai fini dell'applicazione dell'art. 2112 c.c. come novellato dal d.lgs. n. 276/2003 e del dispiegarsi dei suoi effetti è dato dal requisito dell'autonomia funzionale della parte di azienda oggetto di cessione, prima ed oltre la questione della preesistenza del ramo ceduto. Tale requisito obiettivo rappresenta altresì un efficace strumento per scongiurare ipotesi in cui le operazioni di trasferimento si traducano in forme incontrollate di espulsione di personale.

Il caso

La vicenda riguarda una lavoratrice, con mansione di informatrice medico-scientifica di alcuni prodotti farmaceutici, interessata da una vicenda di presunto trasferimento di ramo d'azienda, che agiva in giudizio per ottenere l'accertamento dell'inefficacia del dedotto trasferimento di ramo d'azienda – “la Linea Corum” - effettuato dalla MSD Italia alla X Pharma srl, con conseguente persistenza del rapporto di lavoro alle dipendenze del cedente.

Con sentenza del 29.11.2012 la Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, accertava l'inefficacia della cessione di ramo d'azienda in esame, con conseguente persistenza del rapporto di lavoro con i dipendenti addetti al ramo di cui si progettava il trasferimento. Nel caso in commento la Corte territoriale riteneva, infatti, che non fosse ravvisabile una cessione di ramo d'azienda sussumibile nell'ambito della disciplina ex art. 2112 c.c., in quanto l'entità ceduta da un lato non aveva conservato in alcun modo la propria identità dopo il trasferimento e dall'altro lato non risultava connotata dall'imprescindibile requisito dell'autonomia funzionale.

Era infatti emerso che circa il 20% degli informatori della linea Corum non erano stati trasferiti con la cessione, che non era stato trasferito il vertice della linea e metà dei quadri intermedi, che gli informatori erano stati ripartiti dalla cessionaria in tre linee, ciascuna preposta alla commercializzazione di farmaci che non consentivano di utilizzare le conoscenze acquisite nel corso dell'attività svolta con la cedente.

Pertanto, secondo la Corte di Appello, il fatto che non fosse stato trasferito il vertice direttivo e la metà dei quadri determinava il venir meno del “legante organizzativo”, necessario ai fini dell'autonomo svolgimento dell'attività produttiva.

Contro tale decisione ricorreva in Cassazione MSD Italia srl.

La questione

Al fine di eliminare, o quantomeno ridurre il più possibile, gli effetti distorsivi dei fenomeni di esternalizzazione la principale tecnica di tutela è attualmente rappresentata dal controllo della fattispecie, ossia dei suoi confini e delle sue condizioni di operatività.

A tal proposito, risulta centrale l'identificazione della fattispecie stessa, e dunque l'attribuzione di uno specifico contenuto alla nozione di ramo d'azienda, e in particolare l'individuazione dei suoi requisiti oggettivi.

Al riguardo la giurisprudenza nazionale maggioritaria (Cass. 26 gennaio 2012, n. 1085, Cass. 8 aprile 2011, n. 8066, Cass. 8 giugno 2009, n. 13171), anche a seguito della Riforma del 2003 riconosce un ruolo principale al requisito della preesistenza del ramo trasferendo, quale elemento in grado di assicurare la realizzazione della piena tutela dei lavoratori coinvolti in operazioni di trasferimento e rafforzare la natura inderogabile della disposizione ex art. 2112 c.c.

Nonostante, dunque, l'eliminazione testuale di tale elemento dal corpo della fattispecie ad opera del d.lgs. n. 276/2003, il suddetto indirizzo esegetico ne auspica la reintroduzione in via interpretativa.

La sentenza in commento – in linea con quanto sostenuto da un orientamento giurisprudenziale minoritario (Cass. 30 gennaio 2013, n. 2151, App. Milano 22 marzo 2010, n. 492, Cass. 28 ottobre 2013, n. 24262) – rappresenta un punto di svolta rispetto al consolidato orientamento maggioritario. Infatti la Suprema Corte, attribuendo carattere innovativo alla modifica legislativa del 2003, propone una differente interpretazione della nozione di ramo d'azienda e dei suoi requisiti obiettivi, con conseguente modificazione dei criteri di controllo della fattispecie: il carattere della preesistenza viene posto in secondo piano, mentre importanza centrale viene attribuita al requisito dell'autonomia organizzativa, senza specificarne la relativa collocazione temporale.

Così affermando che il novellato art. 2112 c.c. «ha mantenuto immutata la definizione di “trasferimento di parte dell'azienda” nella parte in cui essa è “intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata», viene riconosciuto un ruolo predominante, ai fini dell'identificazione della fattispecie stessa, al criterio selettivo dell'autonomia funzionale del ramo d'azienda ceduto.

Quest'ultimo, richiedendo l'esistenza in concreto di un reale nesso funzionale tra i beni, e in particolare i rapporti di lavoro, relativi alla parte di azienda da cedere, costituisce una maggiore garanzia contro eventuali trasferimenti “fittizi”, rispetto all'elemento della preesistenza.

La ricorrenza di tale nesso funzionale sarebbe infatti in grado di assicurare che il complesso organizzativo ceduto sia idoneo ad iniziare o proseguire una determinata attività economica. Escludendo, in tal modo, che la disciplina codicistica trovi applicazione in caso di cessioni che riguardino rapporti di lavoro tra loro non collegati o segmenti organizzativi inidonei allo svolgimento di un'attività d'impresa.

Il requisito dell'autonomia funzionale, dunque, essendo un elemento oggettivamente apprezzabile, garantirebbe la piena tutela dei lavoratori interessati dal trasferimento, nonché la conservazione della natura inderogabile della disposizione ex art. 2112 c.c., senza dilatare in alcun modo lo spazio lasciato all'autonomia privata delle parti del negozio traslativo.

Pertanto l'attribuzione di un ruolo centrale a tale requisito, quale «pre-requisito indispensabile per configurare una efficace cessione del contratto di lavoro senza il consenso del lavoratore», relegherebbe in un angolo la questione della preesistenza di ciò che è oggetto del negozio traslativo.

Tale approdo interpretativo, perfettamente in linea con il dato letterale della novellata disposizione codicistica, non si porrebbe in contrasto con la disciplina europea, come confermato da una recente pronuncia della Corte di Giustizia (C.d.G. 6 marzo 2014, C-458/12). In tale occasione il Giudice europeo si è pronunciato affermando che la Direttiva non deve essere interpretata nel senso che precluda ad uno Stato membro di prevedere, nell'ambito della propria legislazione interna, nel caso di trasferimento di parte di impresa, la conservazione dei diritti dei lavoratori nell'ipotesi in cui la frazione di impresa oggetto di cessione non goda del requisito della preesistenza. Ciò in quanto l'art. 2112 c.c., come modificato dal d.lgs. n. 276/2003 e come interpretato dalla presente Corte nazionale, è conforme al diritto europeo in quanto normativa di maggior favore.

In conclusione, non ricorrendo nel caso di specie il requisito dell'autonomia funzionale del ramo oggetto dell'asserito trasferimento non trova applicazione l'art. 2112 c.c., con conseguente trasferimento ex lege dei rapporti di lavoro interessati dalla cessione, ma l'art. 1406 c.c., il quale richiede ai fini del suo perfezionamento il consenso del contraente ceduto.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha dunque confermato la pronuncia della Corte territoriale, accogliendo le medesime conclusioni.

Osservazioni

Tanto premesso, è da ritenersi pienamente condivisibile la linea interpretativa prospettata dalla sentenza in commento.

L'attribuzione di un ruolo predominante al requisito obiettivo dell'autonomia funzionale del ramo d'azienda trasferendo è certamente coerente con la chiara intenzione del legislatore, il quale intervenendo nuovamente, dopo soli due anni dalla precedente riforma ex d.lgs. n. 18/2001, sulla disposizione di cui all'art. 2112 c.c. ha espressamente eliminato il riferimento testuale al requisito della preesistenza.

L'eliminazione di quest'ultimo, d'altro canto, non determinerebbe una riduzione delle garanzie predisposte a favore dei lavoratori a tutto vantaggio della parte datoriale: la tutela degli stessi è infatti assicurata, ed anzi rafforzata, dal mantenimento della previsione del requisito oggettivo dell'autonomia funzionale del complesso organizzato oggetto di cessione. Quest'ultimo prescrivendo l'esistenza di un reale nesso funzionale tra i beni e i rapporti di lavori interessati dal trasferimento costituisce un efficace strumento contro operazioni di trasferimento “truffaldine”. Lo stesso non sarebbe, infatti, suscettibile di essere facilmente aggirato facendo precedere al trasferimento la creazione di un ramo ad hoc, nel quale vengano fatti confluire tutti i lavoratori sgraditi o eccedenti, eventualità che si poteva, al contrario, verificare nella vigenza del requisito della preesistenza.

Infine, per tale via viene assicurata la piena conformità della normativa nazionale a quella europea, come confermato dalla recente pronuncia della Corte di Giustizia sopra menzionata, determinando altresì il venir meno di uno degli argomenti principali su cui si fondava la tesi giurisprudenziale maggioritaria.

Conclusioni

In conclusione, l'interpretazione proposta dalla sentenza in commento, maggiormente in linea con la lettera del novellato art. 2112 c.c. ex d.lgs. n. 276/2003, consente una piena realizzazione della tutela offerta dalla disciplina in esame, senza intaccare il carattere inderogabile della stessa e assicurandone la conformità al diritto europeo.

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