Il concorso dell’extraneus nei reati fallimentari

Enrico Corucci
26 Gennaio 2017

In tema di reati fallimentari, è configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di persona diversa dall'imprenditore fallito ovvero estranea, anche di fatto, all'organo amministrativo della società fallita qualora la condotta realizzata in concorso con l'intraneo sia stata efficiente per la produzione dell'evento in termini di contributo necessario od agevolatore e l'estraneo abbia operato con la consapevolezza e volontà di ledere o porre a rischio le ragioni creditorie.
Massima

In tema di reati fallimentari, è configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di persona diversa dall'imprenditore fallito ovvero estranea, anche di fatto, all'organo amministrativo della società fallita qualora la condotta realizzata in concorso con l'intraneo sia stata efficiente per la produzione dell'evento in termini di contributo necessario od agevolatore e l'estraneo abbia operato con la consapevolezza e volontà di ledere o porre a rischio le ragioni creditorie.

Il caso

Nella vicenda sottoposta all'attenzione della Suprema Corte agli imputati era contestata una pluralità di fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione aventi ad oggetto rimanenze, crediti verso clienti, titoli ed ancora un ramo di azienda nonché era loro contestato il delitto di bancarotta fraudolenta documentale.

Quanto alla distrazione del ramo di azienda, in particolare, emergeva come esso fosse stato ceduto, di fatto gratuitamente ed in tempi prossimi al fallimento, dalla fallita ad altra società e quindi nuovamente ceduto a prezzo vile da quest'ultima ad altra società all'uopo costituita.

Secondo l'impostazione accusatoria, peraltro condivisa in toto dai giudici di merito, le contestazioni a carico degli amministratori delle società cessionarie non si limitavano tuttavia al solo concorso nel reato di bancarotta per distrazione avente ad oggetto il menzionato ramo di azienda, ma a costoro era anche estesa l'imputazione alle distrazioni aventi ad oggetto le rimanenze, i crediti verso clienti ed i titoli facenti parte del patrimonio della fallita e pure al concorso nel reato di bancarotta fraudolenta documentale.

L'estensione dell'imputazione nei termini appena indicati, che costituisce la questione che qui più interessa, non era invece ritenuta fondata dalla Corte di Cassazione la quale, in ragione della valutata cattiva applicazione dei principi del concorso di persone dell'extraneus nel reato proprio, annullava la sentenza di condanna degli imputati amministratori delle società cessionarie in riferimento, per l'appunto, al loro concorso nelle distrazioni aventi ad oggetto le rimanenze, i crediti verso clienti ed i titoli facenti parte del patrimonio della fallita nonché in riferimento al loro concorso nel reato di bancarotta documentale.

La questione

Limitando l'analisi ai reati fallimentari aventi maggiore incidenza statistica, costituiti dalla bancarotta fraudolenta e semplice, è noto come trattasi di reati propri in quanto soggetti attivi possono essere:

  • l'imprenditore commerciale dichiarato fallito od il socio illimitatamente responsabile delle società in nome collettivo e in accomandita semplice fallite (artt. 216 e 222 l. fall.), nel qual caso la bancarotta è definita “propria”,
  • ovvero gli amministratori, i direttori generali, i sindaci, i liquidatori della società fallita ed ancora, nei limiti della gestione affidatagli, l'institore dell'imprenditore fallito, nel qual caso la bancarotta è definita “impropria” (artt. 223, 224 e 227 l. fall.).

E' ben possibile, tuttavia, che terzi soggetti non qualificati possano concorrere con l'intraneusnella consumazione del reato, di tal che troveranno applicazione gli articoli 110 ss. c.p., ed il terzo sarà punibile ove abbia offerto un contributo, necessario o agevolatore, materiale o morale ed infine colpevole alla realizzazione dei reati.

Nel caso di specie questi ultimi, come già osservato, comprendevano quello di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta per distrazione avente ad oggetto rimanenze, crediti verso clienti, titoli ed un ramo di azienda. In particolare, il proposito criminoso costituito dal fine di distrarre quest'ultimo, peraltro comprensivo di remunerativi contratti di appalto, era stato così realizzato:

1) in un primo momento, ed in data ormai prossima al fallimento, tramite la cessione di detto ramo di azienda ad una società amministrata da persona già legata da un rapporto di lavoro dipendente con l'amministratore di fatto della stessa società e per di più a fronte di un corrispettivo di fatto mai pagato;

2) di seguito, decorsi ulteriori sette mesi, tramite una nuova cessione dello stesso ramo di azienda, questa volta ad un prezzo incongruo, ad una terza società all'uopo costituita e per di più amministrata da persona legata da vincoli di parentela con l'amministratore di fatto della medesima società cessionaria.

Poste queste premesse, si comprende come il fulcro delle questioni appaia incentrato sulla verifica della sussistenza di una partecipazione criminosa degli amministratori delle due società cessionarie in riferimento a tutte le decritte condotte delittuose, loro in toto contestate.

Le soluzioni giuridiche

Così delineato l'oggetto dell'analisi, subito si comprende come la decisione della Suprema Corte qui annotata appaia pienamente condivisibile.

Gli amministratori delle società cessionarie, infatti, risultano estranei rispetto ai reati di cui trattasi in quanto non facenti parte, neppure di fatto, dell'organo amministrativo della società fallita.

Alla affermazione di una loro responsabilità penale in riferimento ai reati contestati, dunque, può giungersi soltanto ove si ravvisi l'esistenza di un loro contributo necessario od agevolatore nonché colpevole nella commissione di essi; deve inoltre trattarsi di un concorso per azione in quanto non è ipotizzabile un concorso per omissione a carico dell'estraneo, il quale in materia non è titolare di alcun obbligo di garanzia rilevante ai sensi dell'art. 40 cpv. c.p.

1) L'indagine in argomento non può che concludersi negativamente per quanto concerne i reati di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta per distrazione avente ad oggetto le rimanenze, i crediti verso clienti ed i titoli giacché, nella ricostruzione degli accadimenti, si coglie l'assenza di qualsivoglia incidenza causale delle condotte degli estranei nella commissione dei reati in questione.

In proposito i giudici di merito reputavano sufficiente trarre la prova dei fatti dalla “partecipazione degli amministratori delle società cessionarie alla complessiva operazione che aveva come scopo lo svuotamento della società fallita”, senza tuttavia chiarire in quali modalità tale partecipazione -delineatasi invero soltanto in riferimento alla distrazione del ramo di azienda- avrebbe costituito:

a) contributo necessario, in termini sia di partecipazione materiale che morale, nella commissione del reato, sì che senza tale contributo il reato non si sarebbe realizzato;

b) contributo agevolatore, sempre in termini di partecipazione sia materiale che morale, nella commissione del reato, sì che in difetto del contributo il reato si sarebbe realizzato in modo meno probabile, meno facile ovvero meno grave (così Mantovani, Diritto Penale, Parte Generale, 9° ed., Padova, 2015, 516 ss.).

In realtà si è accennato come nelle pronunce dei giudici di merito non si dia conto dell'esistenza di alcuna concreta azione degli estranei che avesse permesso od agevolato, nei termini indicati, il perfezionamento dei più volte menzionati reati di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta per distrazione avente ad oggetto le rimanenze, i crediti verso clienti ed i titoli, certo non potendosi trarre argomento onde sostenere la sussistenza di un simile concorso dal solo fatto di aver avuto una partecipazione nel diverso reato di bancarotta per distrazione del ramo di azienda.

2) A diverse conclusioni è giunta invece la Suprema Corte circa la sussistenza di un concorso degli estranei in quest'ultima fattispecie delittuosa, ritenendo in proposito immune da censure la sentenza di appello che aveva messo in rilievo una pluralità di elementi oggettivi tali da offrire prova dell'esistenza di una operazione di svuotamento del patrimonio della fallita addebitabile anche agli amministratori di diritto delle società cessionarie che si erano prestati ad assumere dette cariche ed evidentemente a sottoscrivere i contratti di cessione di azienda. In particolare si sono poste in rilievo, tra le altre, le seguenti circostanze:

a) l'estrema vicinanza temporale delle operazioni di cessione alla data di dichiarazione di fallimento;

b) l'esistenza di collegamenti di natura soggettiva tra gli organi delle società coivolte nelle operazioni, emergendo in particolare come il ramo di azienda fosse stato ceduto la prima volta ad una società amministrata da persona già legata da un rapporto di lavoro dipendente con l'amministratore di fatto della stessa società e successivamente ceduto ad altra società, tra l'altro costituita soltanto pochi giorni prima, amministrata da persona legata da vincoli di parentela con l'amministratore di fatto della società cessionaria;

c) la mancanza del pagamento del prezzo in occasione della prima cessione di azienda e l'incongruità del medesimo in riferimento alla seconda cessione.

Le circostanze di fatto appena evidenziante assumono significato determinante anche per ciò che concerne la prova del dolo degli amministratori delle società cessionarie, ed invero il contributo di costoro nelle cessioni di segno distrattivo del ramo di azienda risulta colpevole in quanto caratterizzato, come è reso evidente dal complesso delle elencate anomale circostanze, dalla consapevolezza di arrecare danno ai creditori della fallita consentendo, di fatto, la sottrazione di un bene oltremodo significativo alla garanzia patrimoniale.

Il dolo del reato di bancarotta patrimoniale, invero, è generico (esclusa l'ipotesi delittuosa di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti ove è specifico, richiedendosi espressamente il fine dell'agire costituito dal recare pregiudizio ai creditori), sostanziandosi nella coscienza e volontà di ledere, anche in termini di messa in pericolo, la garanzia patrimoniale dei creditori.

Ai fini della ricognizione circa la sussistenza del dolo, dunque, per il concorrente estraneo non si rivela necessaria la conoscenza dello stato di decozione dell'imprenditore (in questo senso, tra le molte ed in ultimo cfr. Cass. Pen., 23 marzo 2016, n. 12414, in CED rv 267059) giacché la coscienza dell'esistenza di un danno ovvero di un pericolo per le ragioni creditorie può scaturire senz'altro dalla lesività sottesa alle stesse condotte di depauperamento.

Conclusioni

La pronuncia riveste grande interesse in quanto capace di orientare l'interprete nelle valutazioni, non certo infrequenti, circa la rilevanza penale delle condotte di coloro che abbiano prestato una attività di “collaborazione” nell'iter criminis dei reati di bancarotta. In tema assume particolare significato la verifica del rilievo concorsuale dell'azione del professionista - ed in particolare dell'avvocato o del commercialista - tradottasi nell'aver prestato all'imprenditore consigli tecnici, i quali possono acquisire importanza decisiva proprio nel compimento di attività delittuose; tale verifica dovrà evidentemente operarsi caso per caso al fine di chiarire se a detta azione possa attribuirsi il carattere di tipicità secondo i citati principi del reato eventualmente plurisoggettivo, ovvero se davvero essa abbia costituito, nel caso concreto, contributo necessario od agevolatore e colpevole nel perfezionamento del reato fallimentare.

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