La trasferibilità del diritto di opzione e di sottoscrizione in caso di aumento del capitale sociale

27 Giugno 2017

Nella disciplina delle società capitalistiche la rilevanza del capitale sociale si apprezza sotto due profili fondamentali. In primo luogo, sotto l'aspetto economico, il capitale sociale rappresenta l'insieme dei mezzi patrimoniali stabilmente destinati dai soci all'esercizio dell'attività sociale e che, quanto meno indirettamente, fungono da garanzia in favore dei creditori della società. Sotto un secondo profilo, il capitale sociale svolge un'importante funzione organizzativa, costituendo il termine di riferimento in relazione al quale definire e commisurare reciprocamente la posizione ed i diritti di ciascun socio all'interno della compagine sociale
La funzione organizzativa del capitale sociale

Nella disciplina delle società capitalistiche la rilevanza del capitale sociale si apprezza sotto due profili fondamentali. In primo luogo, sotto l'aspetto economico, il capitale sociale rappresenta l'insieme dei mezzi patrimoniali stabilmente destinati dai soci all'esercizio dell'attività sociale e che, quanto meno indirettamente, fungono da garanzia in favore dei creditori della società. Avendo riguardo a tale primo aspetto trovano spiegazione tutte quelle norme tese a garantire l'effettività ed a tutelare l'integrità del capitale sociale sia nella fase di costituzione sia nel corso della vita della società. Si prevede, dunque, che la somma dei conferimenti effettuati o promessi debba in qualunque caso essere almeno pari all'ammontare globale del capitale sociale (art. 2346, comma 5, c.c., per le s.p.a.; art. 2464, comma 1, c.c., per le s.r.l.), e si impone l'obbligo di perizia sul valore dei beni o dei crediti eventualmente conferiti (artt. 2343 e 2465 c.c. rispettivamente per s.p.a. ed s.r.l.), nonché l'obbligo di garantire mediante polizza assicurativa, fideiussione o cauzione il valore attribuito al conferimento di prestazioni d'opera o servizi (possibile nella sola s.r.l.; cfr. l'art. 2464, comma 6, c.c.). Nell'ottica di garantire l'integrità del capitale sociale durante societate, inoltre, si prevede il vincolo di indisponibilità in favore dei soci della quota di patrimonio rappresentata dal capitale sociale e dalle riserve legali o statutarie, da cui discende il divieto di distribuzione di utili in caso di perdita del capitale, fintanto che questo non venga reintegrato o ridotto in misura corrispondente (artt. 2433, comma 3, e 2478-bis, comma 5, c.c.), nonché l'obbligo di reintegrazione o di riduzione qualora, a causa di perdite, il patrimonio netto della società sia diminuito di oltre un terzo rispetto al capitale sociale (artt. 2446 e 2482-bis, c.c.).

In definitiva, il complesso di regole alle quali si è fatto rapidamente cenno è teso ad assicurare che il patrimonio della società sia stabilmente almeno pari all'ammontare del capitale sociale stabilito dai soci nell'atto costitutivo della società.

Sotto un secondo e, per certi versi, più rilevante profilo, il capitale sociale svolge un'importante funzione organizzativa, costituendo il termine di riferimento in relazione al quale definire e commisurare reciprocamente la posizione ed i diritti di ciascun socio all'interno della compagine sociale. Salvo ipotesi peculiari (si pensi, con riguardo alle s.p.a., all'eventuale emissione di azioni “fornite di diritti diversi” di cui all'art. 2348, comma 2, c.c., oppure di azioni “fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell'attività sociale in un determinato settore” ex art. 2350, comma 2, c.c., oppure, infine, di azioni con voto plurimo, senza diritto di voto o con diritto di voto limitato o subordinato, ex art. 2351 c.c.; con riguardo alle s.r.l., invece, si veda l'art. 2468, comma 3, c.c. il quale fa salva “la possibilità che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili”), la misura dei diritti amministrativi e patrimoniali spettanti a ciascun socio è infatti commisurata alla frazione di capitale sociale che trova corrispondenza nel numero delle azioni o nella consistenza della quota sociale di cui il socio stesso è titolare (in tal senso, gli artt. 2350, comma 1, e 2351, comma 1, c.c., relativi rispettivamente al diritto agli utili ed alla quota di liquidazione ed al diritto di voto nella s.p.a., nonché l'art. 2468, comma 2, c.c., genericamente riferito ai “diritti sociali” spettanti ai soci di s.r.l.).

La tutela della funzione organizzativa del capitale sociale

Nella prospettiva della funzione organizzativa cui si è fatto cenno nel paragrafo precedente, l'attenzione del legislatore si appunta non tanto sul capitale sociale in quanto tale, ma piuttosto sulle possibili alterazioni che eventuali variazioni dello stesso potrebbero determinare sulla consistenza dei diritti amministrativi e patrimoniali dei soci. Le ragioni di tale attenzione sono evidenti: proprio in virtù della funzione organizzativa svolta dal capitale sociale, una variazione dello stesso non accompagnata da una proporzionale variazione del numero di azioni possedute o della consistenza della quota sociale sottoscritta da ciascun socio è in grado di incidere tanto sul potere del socio di concorrere alla determinazione della volontà sociale mediante il diritto di voto quanto sui diritti patrimoniali connessi alla partecipazione, nonché sul valore economico della partecipazione stessa.

L'idoneità di eventuali variazioni del capitale sociale ad incidere sui diritti amministrativi e patrimoniali spettanti ai soci non sembra richiedere particolari dimostrazioni: è chiaro, infatti, che l'aumento o la riduzione del capitale sociale effettuato senza rispettare un criterio di proporzionalità nella ripartizione delle azioni o quote di nuova sottoscrizione, oppure nell'annullamento o riduzione del valore nominale delle stesse, sarebbe in grado di alterare i rapporti partecipativi di ciascun socio rispetto agli altri, ad esempio aumentando l'influenza di un socio in danno degli altri, così come anche la sua quota di partecipazione agli utili realizzati dalla società.

Anche il valore economico della partecipazione stessa può, però, risentire di eventuali modificazioni del capitale sociale. Si pensi, seguendo l'esemplificazione classica, alla società che abbia accumulato riserve da utili non distribuiti: in tal caso il valore effettivo di ciascuna singola azione o il valore di ciascuna quota sociale è superiore al suo valore nominale, cioè al valore nominale della porzione di capitale sociale rappresentato dal numero di azioni o dalla consistenza della quota detenuta; pertanto, deliberare un aumento di capitale attribuendo soltanto ad alcuni soci (oppure a terzi) il diritto di sottoscrivere le nuove azioni o la quota di nuova emissione al valore nominale comporterebbe da un lato che i soci non sottoscrittori vedrebbero ridotto il valore patrimoniale delle loro azioni o della loro quota e, dall'altro, che i soci sottoscrittori (o i nuovi soci entranti) acquisterebbero azioni o quote ad un prezzo inferiore al loro valore effettivo. Senza poi contare che, allorquando le riserve di utili fossero distribuite, i soci sottoscrittori (o i nuovi soci) parteciperebbero alla distribuzione di utili realizzati in un momento in cui rapporti partecipativi erano diversi (e dunque diversi erano anche i criteri di riparto di detti utili), oppure alla distribuzione di utili realizzati addirittura prima del loro ingresso nella compagine sociale.

Ad evitare che simili effetti si verifichino, pur in mancanza di espresse indicazioni normative al riguardo (salvo che per gli emittenti quotati, per i quali il principio di parità di trattamento dei soci è sancito dall'art. 92 T.U.F.), è pacifico che la riduzione del capitale sociale debba essere attuata secondo criteri ispirati al principio di parità di trattamento dei soci [cfr., per le s.p.a., R. Benassi, commento all'art. 2445 c.c., in A. Maffei Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 1241-1242; G.F. Campobasso, Diritto commerciale 2 - Diritto delle società, Torino, 2012, 528; A. Gommellini, commento all'art. 2445 c.c., in Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da F. d'Alessandro, Padova, 2011, II, t. 2, 903; per le s.r.l., cfr., L. Benatti, commento all'art. 2482 c.c., in A.L. Santini, L. Salvatore, L. Benatti, M.G. Paolucci, Società a responsabilità limitata, Bologna, 2014, 753; F.S. Martonaro, La riduzione reale del capitale sociale, in S.r.l., Commentario, a cura di A.A. Dolmetta, G. Presti, Milano, 2011, 959; G. Zanarone, Delle s.r.l., in Il codice civile, Commentario fondato da P. Schlesinger, Milano, 2010, II, 1629].

Nell'opposta fattispecie dell'aumento del capitale sociale, invece, soccorre un'articolata disciplina. In particolare, nel caso di aumento gratuito del capitale sociale è previsto che l'aumento debba necessariamente essere sottoscritto proporzionalmente da tutti i precedenti soci (art. 2442, commi 2 e 3, c.c., con riguardo alla s.p.a.; art. 2481-ter, comma 2, c.c., con riguardo alla s.r.l.), assicurando in tal modo che il passaggio di riserve a capitale non dia luogo ad alcuna alterazione nella composizione della compagine sociale e nella misura dei diritti spettanti a ciascun socio; nell'ipotesi dell'aumento di capitale a pagamento, invece, è prevista l'attribuzione ai soci del diritto di opzione (art. 2441 c.c.) e dell'analogo diritto di sottoscrizione (art. 2481-bis, c.c.) rispettivamente per la sottoscrizione delle azioni e delle quote di nuova emissione.

Attribuendo ai soci il diritto di sottoscrivere l'aumento di capitale deliberato in proporzione alla loro precedente partecipazione si concede agli stessi la possibilità di tutelare gli equilibri partecipativi precedenti l'aumento di capitale, facendo sì che alla variazione del capitale sociale non faccia seguito alcuna alterazione dei diritti amministrativi e patrimoniali connessi alle rispettive partecipazioni né del valore economico delle partecipazioni medesime.

L'intrasferibilità dei diritti astratti di opzione e di sottoscrizione

Individuata la ratio sottesa alle norme che attribuiscono ai soci il diritto di opzione e di sottoscrizione in caso di aumento del capitale sociale è possibile esaminare il tema della trasferibilità di tale diritto.

A tal proposito è necessario operare una prima distinzione tra il diritto di opzione (ma analogo discorso vale per il diritto di sottoscrizione) “astratto”, cioè quello riconosciuto dalla legge in favore di ciascun socio nell'ipotesi di aumento reale di capitale sociale, dal diritto di opzione “concreto”, cioè quello scaturente da una determinata delibera di aumento ed avente ad oggetto il diritto, per l'appunto concreto, a sottoscrivere una quota di quel dato aumento di capitale.

La trasferibilità dei diritti astratti di opzione e di sottoscrizione, cioè dei diritti relativi ad ogni futuro aumento di capitale, è generalmente esclusa, con la motivazione che una simile fattispecie si porrebbe in contrasto con la disciplina riguardante l'esclusione o la limitazione dei diritti medesimi. Occorre infatti ricordare che, tanto nelle s.p.a. quanto nelle s.r.l., l'esclusione o la limitazione del diritto di opzione o di sottoscrizione possono essere decise soltanto con riferimento a ciascuno specifico aumento di capitale deliberato e soltanto nel rispetto delle condizioni stabilite dalla legge. Tanto si ricava, per le s.p.a., dal contenuto dell'art. 2441 c.c., che consente l'esclusione o la limitazione del diritto di opzione soltanto in ipotesi determinate, ma analogo principio vale anche con riguardo alle s.r.l., per le quali l'art. 2481-bis c.c. riserva all'autonomia statutaria la possibilità di limitare o escludere il diritto di sottoscrizione: secondo la dottrina prevalente, infatti, nemmeno per previsione statutaria sarebbe consentito di escludere una volta per tutte il diritto di sottoscrizione per ogni eventuale futuro aumento di capitale [in tal senso, M. Del Linz, commento all'art. 2481-bis c.c., in A. Maffei Alberti, Commentario breve al diritto delle società, cit., 1521; L. Benatti, commento all'art. 2481-bis c.c., in A.L. Santini, L. Salvatore, L. Benatti, M.G. Paolucci, Società a responsabilità limitata, cit., 726; G. Giannelli, Le operazioni sul capitale, in M. Cian, G. Giannelli, F. Guerrera, M. Notari, G. Palmieri, Trattato delle società a responsabilità limitata, diretto da C. Ibba e G. Marasà, vol. IV, Le decisioni dei soci, Le Modificazioni dell'atto costitutivo, Padova, 2009, 313; per la disamina della disciplina sulla limitazione o esclusione del diritto di opzione si rinvia alla Bussola, di S. Marzo, Aumento del capitale sociale con esclusione del diritto di opzione, in IlFallimentarista].

Posti tali limiti alla possibilità di limitare o escludere i diritti di opzione o di sottoscrizione, è dunque evidente che l'alienazione degli stessi diritti “astratti” avrebbe come effetto quello di eludere detta disciplina, escludendo stabilmente il diritto nei confronti dell'attuale e degli eventuali successivi titolari delle azioni o della quota dal quale il diritto sarebbe stato “separato”.

Inoltre, con particolare riguardo al diritto di opzione spettante ai soci di s.p.a., è stato anche rilevato che la cedibilità del diritto astratto sarebbe incompatibile con il principio di inscindibilità dei diritti azionari, quale implicito corollario della regola di indivisibilità dell'azione sancito dall'art. 2347 c.c. (in tal senso, L. Genghini, P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, Padova, 2015, II, 773-774).

Tali considerazioni portano dunque ad escludere la cedibilità dei diritti astratti di opzione e di sottoscrizione. L'esame deve dunque concentrarsi sul tema della trasferibilità dei diritti di opzione e di sottoscrizione connessi ad un determinato e già deliberato aumento di capitale sociale; occorre in altri termini verificare la cedibilità del diritto che sorge in capo al socio in conseguenza di una determinata decisione di aumento del capitale sociale.

La trasferibilità del diritto (concreto) di opzione

Prima affrontare il tema della trasferibilità dei diritti di opzione e di sottoscrizione è opportuno chiarire quali possano essere gli interessi sottesi ad una siffatta operazione. Dal lato dell'eventuale cessionario, l'interesse all'acquisto del diritto di opzione o di sottoscrizione è facilmente apprezzabile ove si tenga conto di quanto già detto con riguardo alla ratio dell'attribuzione ai soci di tali diritti: acquisendo il diritto di opzione o di sottoscrizione il cessionario pone le premesse per la sottoscrizione della corrispondente quota di aumento di capitale, potendo così fare ingresso nella compagine sociale, oppure aumentare la propria quota di partecipazione, oppure infine beneficiare delle eventuali riserve di utili accumulate dalla società negli esercizi precedenti [sul punto si veda, G.A.M. Trimarchi, L'aumento del capitale sociale, Milano, 2007, 316].

Sempre avendo in mente la funzione dei diritti in questione, un interesse al loro trasferimento potrebbe essere ravvisato, in determinate ipotesi, anche in capo al socio già titolare degli stessi. Il socio potrebbe infatti trovarsi nella concreta impossibilità di esercitare il diritto di cui è titolare, ad esempio perché non in grado di sostenere l'onere finanziario connesso alla sottoscrizione delle azioni o quote di nuova emissione. In tale ipotesi, anziché lasciar scadere il diritto di opzione o di sottoscrizione senza esercitarlo, per il socio potrebbe rivelarsi conveniente monetizzarlo, trasferendo ad altri verso corrispettivo il diritto di sottoscrivere l'aumento di capitale in suo luogo; così facendo, il socio potrebbe ottenere una totale o parziale compensazione del pregiudizio subito sotto l'aspetto amministrativo e patrimoniale in seguito all'impossibilità di sottoscrivere l'aumento di capitale deliberato dalla società.

Chiariti quali potrebbero essere i contrapposti interessi sottesi ad un eventuale trasferimento negoziale dei diritti di cui si discute, occorre rilevare come la trasferibilità del diritto di opzione previsto dall'art. 2441 c.c. sia pacificamente ammessa tanto in dottrina (L. Genghini, P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, cit., t. II, p. 774; F. Ferrara jr., F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, 564, nota n. 6; G.A.M. Trimarchi, L'aumento del capitale sociale, cit., 316-317; F. Guerrera, commento all'art. 2441 c.c., in Società di capitali - Commentario, a cura di G. Niccolini e A. Stagno d'Alcontres, vol. 2, Napoli, 2004, 1174) quanto nella giurisprudenza (Cass., sent. 17 marzo 1989, n. 1319; Cass., sent. 11 maggio 2007, n. 10879; Cass., sent. 24 aprile 2017, n. 10240, ove, nel sancire l'applicabilità dell'imposta proporzionale di registro sull'atto di trasferimento, si ribadisce la “indiscussa conclusione che il diritto di opzione nella società per azioni assume un valore economico in sé, potendo essere oggetto liberamente di disposizione a favore di terzi”; su quest'ultima sentenza, si veda anche: Gallo, Imposta di registro: la cessione del diritto di opzione non assoggettabile ad imposizione in misura fissa, in questo portale).

La conferma della correttezza di tale posizione si trae, peraltro, da alcune chiare indicazioni normative. Lo stesso art. 2441 c.c., al terzo comma, attribuisce ai soci il diritto di prelazione sulle azioni inoptate, precisando nel secondo periodo che, se le azioni sono quotate, “i diritti di opzione non esercitati devono essere offerti nel mercato regolamentato dagli amministratori, per conto della società, entro il mese successivo alla scadenza del termine stabilito a norma del secondo comma, per almeno cinque sedute, salvo che i diritti di opzione siano già stati integralmente venduti”.

Come si vede, la disposizione fa chiaramente riferimento alla “offerta nel mercato” ed alla “vendita” dei diritti di opzione non esercitati da soci, con ciò confermando la trasferibilità di tali diritti. A tal riguardo, poi, non sembra particolarmente utile la precisazione effettuata in dottrina [M. Speranzin, commento all'art. 2441 c.c., in Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da F. d'Alessandro, cit., II, 2, 861], secondo cui la norma appena richiamata riguarderebbe in realtà non la cessione dei “diritti di opzione non esercitati” ma la cessione dei “diritti di sottoscrizione non esercitati”, poiché l'oggetto dell'offerta nel mercato non potrebbe essere il diritto di opzione, esaurito con il decorso del termine fissato per il suo esercizio.

È certo che l'oggetto dell'offerta del mercato non siano le azioni [per tale precisazione, cfr. F. Ferrara jr., F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, 564], la cui emissione non è ancora avvenuta, bensì il diritto di sottoscrivere l'aumento di capitale deliberato nella misura corrispondente alla partecipazione azionaria cui il diritto di opzione non esercitato era originariamente collegato. Al di là della differente denominazione lessicale proposta dall'Autore citato, dunque, il contenuto del diritto offerto nel mercato ai sensi dell'art. 2441, comma 3, c.c. corrisponde esattamente al contenuto del diritto di opzione ex art. 2441, comma 1, c.c., salvo che per la necessaria “riapertura” o proroga del termine di adesione da parte dei terzi acquirenti. Alla luce di tale pacifica constatazione, il problema di stabilire se quello offerto nel mercato ai sensi dell'art. 2441, comma 3, c.c., sia proprio lo stesso diritto di opzione prima attribuito ex lege al socio e da questi non esercitato oppure se sia un diritto di opzione (che l'Autore citato denomina “diritto di sottoscrizione”) diverso ma avente ad oggetto il medesimo contenuto, pare costituire una disquisizione puramente teorica priva di reale consistenza.

Altri chiari indici normativi, peraltro, contemplano espressamente la cedibilità dei diritti di opzione spettanti al socio, anche relativamente ad azioni non quotate (cfr. l'art. 1532, relativo ai diritti di opzione inerenti titoli venduti a termine; l'art. 1838, comma 2, c.c., relativo ai diritti di opzione inerenti a titoli depositati in amministrazione presso una banca; l'art. 2352, comma 2, c.c., relativo al diritto di opzione inerente ad azioni sottoposte a pegno usufrutto e sequestro), confermando in maniera incontrovertibile la generale trasferibilità del diritto di opzione.

Giunti a tale conclusione è necessario considerare che la circolazione dei diritti di opzione potrebbe trovare ostacolo, oltre che in eventuali specifiche prescrizioni contenute nello statuto sociale o nella delibera di aumento, anche nell'eventuale previsione di vincoli statutari alla circolazione delle azioni da cui tali diritti scaturiscono, oggi possibili nei limiti stabiliti dall'art. 2355-bis c.c.. Come messo in rilevo in giurisprudenza, infatti, tali vincoli incidono anche sulla circolazione del diritto di opzione “perché la cessione del diritto di opzione ed il suo successivo esercizio da parte del cessionario produce gli stessi effetti del trasferimento della quota, vale a dire modifica il novero dei soci ed incide sulla quota di partecipazione di ciascuno al capitale sociale” (così, Cass., sent. 11 maggio 2007, n. 10879); da ciò la conseguenza, del tutto logica, che la circolazione dei diritti di opzione sia soggetta agli stessi limiti previsti per la circolazione delle azioni da cui tali diritti scaturiscono.

(Segue) E del diritto di sottoscrizione

Attesa la sostanziale identità di contenuto e di funzione tra il diritto di opzione attribuito ai soci di s.p.a. ed il diritto di sottoscrizione riconosciuto ai soci di s.r.l., le conclusioni raggiunte con riguardo alla trasferibilità del diritto di opzione potrebbero ritenersi automaticamente applicabili anche al diritto di sottoscrizione. La questione è, tuttavia, controversa, poiché la disciplina riservata al diritto di sottoscrizione diverge per rilevanti aspetti da quella del diritto di opzione.

Il principale elemento che ha fatto dubitare della libera trasferibilità del diritto di sottoscrizione consiste nel regime legale riservato alla parte di aumento di capitale non sottoscritto: l'art. 2481-bis, comma 2, terzo periodo, stabilisce infatti che la parte di aumento non sottoscritta da uno o più soci possa essere sottoscritta dagli altri soci o da terzi soltanto se ciò sia previsto nella delibera di aumento e con le modalità ivi stabilite. Secondo parte della dottrina [F. Magliulo, Le modificazioni del'atto costitutivo, in AA.VV., La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2003, 440; G. Pinna, commento all'art. 2481-bis, c.c., in AA.VV., Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, Padova, 2005, III, 2086-2087; G.A.M. Trimarchi, L'aumento del capitale sociale, cit., 319; M.S. Spolidoro, L'aumento del capitale sociale nelle s.r.l., in Riv. dir. soc., 2008, 482; M. Notari, Il diritto di opzione e la sua esclusione, commento all'art. 2481-bis, c.c., in S.r.l. - Commentario, a cura di A.A. Dolmetta e G. Presti, cit., 916], proprio tale previsione consentirebbe di individuare nel diritto di sottoscrizione riconosciuto ai soci di s.r.l. una funzione duplice ed ulteriore rispetto a quella del diritto di opzione nelle s.p.a.: non soltanto, come già per il diritto di opzione, quella di tutelare i diritti amministrativi e patrimoniali del socio in occasione di un aumento di capitale, ma anche quella di mantenere inalterati i rapporti di forza all'interno della compagine sociale, assicurando che l'assetto partecipativo risultante all'esito dell'operazione di aumento sia esattamente la stessa di quella precedente.

La ratio della regola che, salvo diversa previsione della decisione di aumento, non consente la sottoscrizione della quota inoptata da parte degli altri soci o dei terzi, sarebbe dunque quella di assicurare la chiusura e la stabilità della compagine sociale in occasione dell'aumento di capitale sociale. Per tale motivo, secondo l'opinione dottrinale in commento, la trasferibilità del diritto di sottoscrizione potrebbe essere ammessa soltanto ove la decisione di aumento abbia previsto la collocabilità presso gli altri soci o i terzi delle quote inoptate, ai sensi dell'art. 2481-bis, comma 2, c.c.

La tesi appena richiamata presta il fianco a diverse critiche, la prima e principale delle quali appare, invero, assai intuibile: occorre infatti chiedersi perché mai, in assenza di diverse previsioni nella decisione di aumento, la legge si preoccuperebbe di preservare così fortemente la chiusura verso soci esterni e la stabilità interna dell'assetto partecipativo delle s.r.l. in occasione di un'operazione sul capitale, garantendo invece (con l'art. 2469, comma 1, c.c. e sempre salvo diverse previsioni statutarie) la libera circolazione delle quote e, dunque, l'apertura e la fluidità della compagine sociale subito prima o subito dopo il compimento dell'aumento di capitale. In altri e più chiari termini, ci si dovrebbe domandare perché mai, nel regime legale, l'assetto partecipativo di una s.r.l. potrebbe sempre liberamente mutare, anche con l'ingresso di nuovi soci, salvo che in occasione di un aumento di capitale.

L'incoerenza di un siffatto regime è stata recentemente evidenziata nella prassi notarile [cfr. la massima del Consiglio Notarile di Milano n. 157 del 17 maggio 2016], ove è stato rilevato che, aderendo alla tesi criticata, “il socio che avesse intenzione di cedere il proprio diritto di opzione a un altro socio o a un terzo, per consentire loro di sottoscrivere parte dell'aumento di capitale, avrebbe in ogni caso la possibilità di conseguire il medesimo risultato sottoscrivendo egli stesso l'aumento e cedendo immediatamente dopo la partecipazione sottoscritta (e lo stesso dicasi, mutatis mutandis, qualoralo statuto non prevedesse la libera trasferibilità delle partecipazioni, bensì le sottoponesse a limiti quali la prelazione o il gradimento)”, traendo da ciò la condivisibile conclusione secondo cui “L'interpretazione che ravvisa nel regime legale della s.r.l. una regola (pur solo suppletiva) di intrasferibilità del diritto di opzione difetterebbe pertanto di coerenza, posto che lo stesso regime legale della s.r.l. consente il medesimo risultato effettuale, semplicemente con una diversa combinazione cronologica dei negozi giuridici posti in essere dai soci (e dai terzi)”.

Rilevata la difficoltà di individuare una coerente e persuasiva risposta agli interrogativi formulati in precedenza, appare chiaro che la regola della non collocabilità presso gli altri soci o i terzi delle quote inoptate non possa ritenersi affatto funzionale ad assicurare la chiusura e l'immutabilità della compagine sociale in occasione dell'aumento del capitale; la ratio della norma in esame sembra, invece, quella di assicurare una tutela ulteriore al socio di s.r.l. che non abbia potuto o voluto sottoscrivere l'aumento di capitale e che abbia visto i propri diritti sociali già incisi dalla sottoscrizione dell'aumento da parte degli altri soci (sempre ammesso che si tratti di un aumento scindibile). Escludendo la collocabilità presso gli altri soci o i terzi della quota inoptata, la legge si propone cioè di evitare che il socio non sottoscrittore veda ulteriormente diluiti i propri diritti sociali in misura ancora maggiore di quanto non lo siano già stati a seguito della sottoscrizione delle quote di spettanza degli altri soci [in tal senso, G. Zanarone, Delle s.r.l., in Il codice civile, Commentario fondato da P. Schlesinger, cit., II, 1537].

Se si individua (come pare corretto fare) la vera ratio della norma dettata dall'art. 2481-bis, comma 2, c.c. nella volontà di tutelare il socio non sottoscrittore, è evidente che da tale norma non possa derivare alcun ostacolo alla libera trasferibilità del diritto di sottoscrizione, poiché da un simile ostacolo deriverebbe al socio non già una maggiore tutela, bensì un ulteriore pregiudizio: al socio sarebbe infatti impedito di monetizzare il proprio diritto di sottoscrizione e, in tal modo, di compensare quanto meno in parte il pregiudizio causato dalla diluizione della propria partecipazione sociale derivante proprio dalla mancata sottoscrizione dell'aumento di capitale.

Ne discende, in conclusione, che anche nell'ordinamento delle s.r.l. la trasferibilità del diritto di sottoscrizione ex art. 2481-bis c.c. deve generalmente ritenersi possibile; ovviamente, anche nella fattispecie in esame occorre tener conto degli eventuali limiti legali o statutari alla trasferibilità delle partecipazioni sociali, che dovranno ritenersi applicabili anche alla circolazione dei diritti di sottoscrizione, onde non legittimare una loro facile elusione (in tal senso, M. Paccoia, Società a responsabilità limitata, Torino, 2016, 146; L. Genghini, P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, cit., t. II, 1141; M. Speranzin, Diritto di sottoscrizione e tutela del socio nella s.r.l., Torino, 2012, 90; id., L'aumento del capitale sociale, in La nuova società a responsabilità limitata, a cura di M. Bione, R. Guidotti, E. Speranzini, Padova, 2012, 481;G. Zanarone, Delle s.r.l., in Il codice civile, Commentario fondato da P. Schlesinger, cit., t. II, 1538; F. De Marchi, A. Santus, L. Stucchi, commento all'art. 2481-bis, c.c., in AA.VV., Società a responsabilità limitata, a cura di L.A. Bianchi, Milano, 2008, 1183-1184; O. Cagnasso, La società a responsabilità limitata - Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, Vol. V, t. 1, Padova, 2007, 338; S.A. Cerrato, commento all'art. 2481-bis c.c., in AA.VV., Il nuovo diritto societario, diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2004, II, 1969; G. Racugno, Le modificazioni del capitale sociale nella nuova s.r.l., in Riv. soc., 2003, 825; nella prassi si veda la già citata massima del Consiglio Notarile di Milano n. 157 del 17 maggio 2016).

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