La bancarotta riparata: quali conseguenze penali?

26 Luglio 2016

Il problema della cosiddetta bancarotta riparata, ovvero della rilevanza da riconoscere al comportamento dell'imprenditore che reintegri in un dato momento la parte del patrimonio che in precedenza aveva distratto e sottratto dal patrimonio dell'impresa da lui gestita, origina dalle incertezze che ruotano intorno ai rapporti tra il reato di bancarotta e la sentenza dichiarativa di fallimento.
Abstract

Il problema della cosiddetta bancarotta riparata, ovvero della rilevanza da riconoscere al comportamento dell'imprenditore che reintegri in un dato momento la parte del patrimonio che in precedenza aveva distratto e sottratto dal patrimonio dell'impresa da lui gestita, origina dalle incertezze che ruotano intorno ai rapporti tra il reato di bancarotta e la sentenza dichiarativa di fallimento.

Abbandonate tesi più risalenti – che vedevano nella sentenza dichiarativa di fallimento una condizione di procedibilità dell'azione penale o una questione pregiudiziale relativa allo status di fallito o l'evento del fatto di bancarotta (tesi che però si è recentemente affacciata in giurisprudenza, Cass. pen., Sez. V, 24 settembre 2012, n. 47502, Corvetta e altri, in Mass. Uff., n. 253493, per essere però poi subito abbandonata) – in dottrina la posizione prevalente è quella che configura il suddetto atto giurisdizionale come condizione obiettiva di punibilità, ossia di un evento successivo alla condotta penalmente rilevante la cui sussistenza, per ragioni di opportunità, è considerata necessaria dal Legislatore per la punibilità del fatto.

Più contraddittoria invece la giurisprudenza, secondo cui (tralasciando tesi assolutamente minoritarie come quelle, affermata nella già citata sentenza Corvetta, secondo cui il fallimento è l'evento della condotta di bancarotta, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di nesso di causalità e substrato psicologico del comportamento dell'imprenditore), la sentenza in parola è una condizione di esistenza del reato o, elemento costitutivo dello stesso, con la conseguenza che ogni pregressa condotta penalmente rilevante, antecedente alla sentenza, viene ricondotta e fissata alla pronuncia giudiziale (orientamento ormai stabilizzato, dopo le Sezioni unite del 25 gennaio 1958, n. 2 mentre più di recente cfr. Cass. pen., Sez. V, 3 ottobre 2013, n. 38325). Da tale considerazione, tuttavia, non viene fatta discendere la conseguenza che l'imprenditore debba volere la dichiarazione di fallimento o quanto meno essere consapevole del possibile intervento dell'autorità giurisdizionale o dello stato di decozione dell'azienda (Cass. pen., Sez. V,7 settembre 2015, n. 5010; Cass. pen., Sez. V, 17 luglio 2014, n. 47616): pur trattandosi di un elemento costitutivo del reato di bancarotta la dichiarazione di insolvenza ne rappresenta però una mera condizione di esistenza, cioè un elemento costitutivo non significativo, per il quale non vi sarebbe la garanzia costituzionale di rimproverabilità al soggetto agente (tesi ritenuta non contrastante con il principio di colpevolezza di cui all'art. 27 Cost.: cfr., in proposito, Corte cost., n. 110 del 1972).

A prescindere da tali oscillazioni, tuttavia è indiscusso tanto in dottrina che in giurisprudenza che la dichiarazione di fallimento segna il momento consumativo del reato, non rilevando in alcun modo il periodo storico in cui la condotta concreta è stata effettivamente tenuta (cfr. Cass. pen., Sez. V, 4 ottobre 2013, n. 592).

La bancarotta riparata nella (oscillante) ricostruzione della giurisprudenza

Come detto, la definizione della natura e del ruolo che la sentenza di fallimento assume nei reati di bancarotta ha rilievo anche per la soluzione da assumere con riferimento alle ipotesi (denominate come bancarotta riparata, ZAMPANO) in cui l'imprenditore reintegri quella parte del patrimonio che in precedenza aveva distratto, occultato, dissipato, etc.

Evidentemente, se si aderisce alla tesi che attribuisce al fallimento natura di elemento costitutivo del reato si dovrebbe concludere che, in tali ipotesi – sempre che, come vedremo, la condotta restitutoria preceda la dichiarazione di fallimento – non dovrebbe sussistere alcuna rilevanza penale nella condotta del soggetto agente, visto che nel momento in cui interviene il fallimento la precedente condotta lesiva del patrimonio ha oramai perso ogni efficacia. Di contro, aderendo all'impostazione dottrinale, secondo cui la pronuncia di fallimento è una condizione di punibilità nel caso in parola la restituzione del valore distratto non inciderebbe in alcun modo sulla persistenza della rilevanza penale dell'antecedente comportamento.

L'esame della giurisprudenza, però, mostra come la Cassazione non aderisca compiutamente a questa ricostruzione, giacché la Corte di legittimità – pur mantenendo ferma la tesi secondo cui il fallimento è un elemento costitutivo delle fattispecie – continua a dividersi sull'effetto e sulla rilevanza che le condotte restitutorie e riparatorie hanno rispetto all'applicabilità ed alla sussistenza della fattispecie di bancarotta fraudolenta. In alcune pronunce si legge che: "non è integrato il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216, comma 1, n. 1 l. fall.) nel caso in cui la somma sottratta dalle casse sociali, riportata da relativa annotazione contabile, sia incontrovertibilmente riversata nella sua integralità – dai soci che l'avevano prelevata – nelle casse della società prima della dichiarazione di fallimento; infatti, ancorché il delitto di bancarotta abbia natura di reato di pericolo, per l'individuazione del relativo momento consumativo deve aversi riguardo alla dichiarazione giudiziale di fallimento e non già all'atto antidoveroso, con la conseguenza che la valutazione del pregiudizio ai creditori deve essere valutata al momento di tale dichiarazione e non a quello della storica commissione della condotta" (Cass. pen, Sez. V, 26 gennaio 2006, n. 7212) ma non mancano pronunce secondo cui "in tema di bancarotta fraudolenta, la sottrazione dei beni si perfeziona nel momento del loro distacco dal patrimonio della società con la conseguenza che il pagamento integrale dei crediti ammessi al passivo costituisce un posterius che non riveste alcuna incidenza sulla fattispecie giuridica in questione ormai perfetta" (Cass. pen., Sez. V, 16 marzo 2005, n. 17384).

La perdurante rilevanza penale delle condotte di bancarotta, peraltro, risulta sostenuta anche da alcuni autori che, pur qualificando la dichiarazione di fallimento come condizione di punibilità, sostengono che, pur in presenza di una successiva restituzione dei beni, al momento del fallimento permane comunque quella lesione patrimoniale senza la quale le precedenti condotte perdono ogni attualità di significato e, di conseguenza, ogni rilievo penale.

La nostra opinione. Bancarotta post fallimentare e condotte restitutorie

Le incertezze presenti nella ricostruzione della valenza da riconoscere alla condotta di riparazione di precedenti fatti di bancarotta rende opportuno, a nostro parere, affrontare il problema considerando separatamente le diverse ipotesi e situazioni che possono presentarsi. È noto infatti che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale presenta molteplici modalità di realizzazione, dovendosi differenziare – quanto meno – fra bancarotta pre e post fallimentare, nonché fra bancarotta per distrazione e bancarotta preferenziale: a nostro avviso, la problematica delle condotte riparatorie si pone in maniera diversa a seconda delle suddette ipotesi di reato.

Indiscutibilmente, ci pare si debba concludere che nessuna rilevanza, ai fini dell'esclusione della precedente condotta delittuosa, ha la condotta di restituzione del bene quando tenuta a seguito di una distrazione post-fallimentare ovvero allorquando la sottrazione dei beni alla massa fallimentare avvenga dopo la relativa dichiarazione di insolvenza. In tali ipotesi, infatti, è assolutamente pacifico che il reato si perfeziona e si realizza con la sottrazione del bene (Cass. pen., Sez. V, 15 dicembre 1998, Grespan), sicché allorquando il fallito provveda alla restituzione dello stesso o comunque alla reintegrazione del relativo valore del patrimonio del fallimento egli pone in essere una condotta successiva alla venuta in essere dell'illecito la quale non priva certo la vicenda della sua coloratura di illecito penale.

In conclusione, non è dato parlarsi di bancarotta riparata con riferimento ai reati di bancarotta post fallimentare, relativamente alla quale eventuali atti restitutori realizzati dall'imprenditore fallito potranno rilevare solo quale circostanza attenuante, la cui sussistenza peraltro richiede che "il danneggiato sia stato completamente integrato nella posizione qua ante, non essendo sufficiente, a tal fine, una qualsivoglia chiusura del rapporto risarcitorio conseguente al reato" (Cass. pen., Sez. V, 26 gennaio 2006, n. 7212, che ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice d'appello che ha escluso l'attenuante in parola nei confronti dell'imputato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta il quale si era limitato a restituire le somme indebitamente percepite a titolo di emolumenti non dovuti).

(Segue) La bancarotta riparata in caso di pagamenti preferenziali

Di agevole soluzione ci sembra anche il caso in cui la condotta di riparazione sia tenuta con riferimento a precedenti pagamenti preferenziali ovvero alle condotte di alterazione dell'ordine di soddisfazione dei creditori stabilito dalla legge nel rispetto del principio della par condicio che siano consistite (non nella simulazione di cause di prelazione ma solo) nell'effettuazione di prestazioni obbligatorie consistenti nel versamento di somme di denaro ad alcuni dei creditori sociali, privilegiati illecitamente rispetto ad altri.

In relazione a questa fattispecie di reato, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la stessa si consuma solo con la dichiarazione di fallimento (Cass. pen., Sez. V, 14 ottobre 2014, n. 48739) e d'altronde è solo con l'apertura della procedura concorsuale che è ipotizzabile un vulnus alla cosiddetta par condicio creditorum – nozione che prima della pronuncia la dichiarazione di insolvenza non ha alcuna esistenza né rilevanza. Detto altrimenti, ciascun imprenditore è assolutamente libero di scegliere autonomamente le modalità e l'ordine con cui pagare i vari creditori sociali, venendo meno tale discrezionalità solo con l'apertura della procedura fallimentare, la cui disciplina in tema di cause di privilegio e sussistenza di diritti reali di garanzia può rendere penalmente rilevante l'antecedente effettuazione di pagamenti fatti dal fallito a scopo preferenziale.

Se quanto detto sopra è corretto, ne discende allora che eventuali condotte riparatrici dell'imprenditore effettuate prima della dichiarazione di fallimento in relazione a precedenti fatti di bancarotta preferenziale hanno una rilevanza assoluta nell'escluderne la rilevanza penale. Infatti, se l'imprenditore reimette autonomamente – senza cioè coinvolgere in tale attività di distribuzione il creditore favorito – nel patrimonio dell'impresa una somma di denaro corrispondente al valore versato in precedenza al creditore, la procedura concorsuale sarà senz'altro favorita da tale comportamento posto che la massa fallimentare, al momento della dichiarazione d'insolvenza, avrà una consistenza analoga a quella che avrebbe avuto laddove non fosse stato effettuato il pagamento preferenziale ma al contempo sulla stessa non graverà l'onere dell'adempimento dell'obbligazione al cui soddisfacimento ha provveduto autonomamente, con il proprio patrimonio, l'imprenditore fallito.

Di contro, se l'imprenditore convince in qualche modo il creditore sociale a restituire, prima della richiesta di fallimento, le somme ricevute a titolo di pagamento, ebbene il curatore potrà procedere ad un corretto riparto dell'attivo fra diversi creditori sociali senza alcuna illecita violazione della par condicio, atteso che la lesione che a tale bene giuridico avrebbe potuto arrecare il precedente pagamento effettuato dal titolare della persona giuridica fallita è stata in radice eliminata con l'accordo in base al quale il creditore favorito ha proceduto alla restituzione delle somme ricevute illecitamente.

(Segue) Distrazioni prefallimentari e successiva riparazione prima della dichiarazione di insolvenza

Assai più delicata è invece l'ipotesi in cui la condotta delittuosa sia rappresentata da un atto di distrazione o sottrazione del bene dal patrimonio dell'azienda compiuto prima della dichiarazione di fallimento e poi seguito da una restituzione del medesimo bene o comunque da una reintegrazione del relativo valore sempre antecedente la predetta pronuncia giurisdizionale.

A nostro parere, in relazione a tale situazione occorre fare una serie di distinzioni e precisazione.

In primo luogo, come abbiamo già detto in altra sede (SANTORIELLO), occorre considerare separatamente gli atti riparatori dell'imprenditore individuale, per il quale a rigore non si dovrebbe neppure parlare di atto riparatorio in presenza del passaggio dalla propria disponibilità personale a quella dell'azienda di beni o somme di denaro atte a reintegrare un precedente ammanco patrimoniale: in questo caso, infatti, il principio di confusione dei patrimoni non consente di sostenere che vi sia stato alcun trasferimento a favore dell'impresa. Viceversa, un'effettiva attività riparatoria, dato il passaggio di proprietà di beni o danaro, potrebbe essere posta in essere da tutti quei soggetti, amministratori, sindaci, institore, il cui patrimonio è separato da quello dell'impresa, che costituisce la garanzia dei creditori, con la conseguenza che solo in questa ipotesi sarebbe da discutere di quale disciplina applicare in tale circostanza, ovvero se ritenere comunque sussistente il reato di bancarotta o ritenere che la successiva condotta restituitoria e/o risarcitoria abbia privato di rilevanza penale vicende antecedenti.

Indiscutibilmente, ci pare che non possa parlarsi di sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale laddove la condotta di distrazione abbia avuto ad oggetto un bene specifico – si pensi, ad esempio, ad un immobile dell'azienda che l'amministratore doni ad un suo familiare senza il versamento di alcun corrispettivo – ma prima della dichiarazione di fallimento il medesimo bene venga restituito e quindi reintegrato nel patrimonio della persona giuridica. In questo caso, posto che il delitto di bancarotta si consuma senz'altro con la pronuncia giurisdizionale d'insolvenza – quale che sia poi la natura che voglia riconoscersi tale sentenza – ci pare indiscutibile che al momento della consumazione di tale reato non sussiste alcun depauperamento del patrimonio societario e di conseguenza in alcun modo possa discutersi di una lesione della garanzia del soddisfacimento dei creditori sociali, garanzia rappresentata per l'appunto dalla intangibilità della consistenza economica dei beni aziendali.

Diverso invece è il caso in cui l'attività delittuosa abbia avuto ad oggetto una somma di denaro poi riversata dall'imprenditore nelle casse sociali oppure abbia avuto ad oggetto un bene determinato che però non viene – a differenza dell'esempio precedente – successivamente reimmesso nel patrimonio aziendale, scegliendo invece l'imprenditore di risarcire la persona giuridica di un valore corrispondente al valore del bene distratto – per tornare all'esempio precedente, si immagini che invece che ad una restituzione dell'immobile oggetto della donazione si assista al versamento da parte dell'imprenditore di una somma di denaro di valore corrispondente all'immobile stesso. A nostro parere, la soluzione da adottare in questo caso è diversa a seconda della provenienza delle somme di denaro che vanno a reintegrare il patrimonio della società in precedenza depauperato dalla condotta illecita dell'imprenditore.

Nessun dubbio sulla insussistenza del reato di bancarotta fraudolenta quando l'imprenditore provveda a rimediare alle conseguenze deleterie della sua condotta antecedente facendo ricorso a proprie disponibilità economiche o comunque a disponibilità economiche di terzi esterni e diversi dall'azienda da lui gestita. In questo caso, infatti, analogamente a quanto sostenuto con riferimento all'ipotesi precedenti, al momento della dichiarazione di fallimento risulta assente qualsiasi lesione in capo al patrimonio della persona giuridica, il quale, originariamente depauperato per un comportamento criminale dell'imprenditore, per iniziativa unilaterale del medesimo imprenditore grazie a disponibilità economiche facenti capo allo stesso è stato integralmente reintegrato. In sostanza, ci si trova innanzi a una situazione identica a quella che abbiamo visto con riferimento alla bancarotta fraudolenta preferenziale, laddove il fallito, dopo aver illecitamente pagato uno dei creditori, reimmetta comunque nelle casse dell'azienda le somme versate in precedenza titolo di pagamento preferenziale.

In questo senso si è da ultimo pronunciata anche la Cassazione (Cass. pen., Sez. V, 8 febbraio 2016, n. 5010), la quale ha sostenuto che la restituzione del valore economico prelevato in precedenza dall'imprenditore esclude la sussistenza del reato. In particolare, secondo questa posizione sarebbe irrilevante la circostanza che la restituzione avvenga in un periodo temporale in cui la società poi fallita versasse già in uno stato di dissesto conclamato ed irreversibile, non potendosi individuare il dissesto, in alternativa alla dichiarazione di fallimento, come limite di efficacia della restituzione ai fini della ravvisabilità della condizione di rilevanza penale della condotta dell'istituzione, occorrendo considerare "la naturale progressività dei fattori determinativi del dissesto dell'impresa e la conseguente fluidità di tale fenomeno che lo rende inidoneo a segnare la soglia cronologica di cui si discute ... [dovendosi poi ricordare] che la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento nel momento in cui il quale la reintegrazione del patrimonio dell'impresa è ancora in grado di eliminare anche la sola potenzialità del danno per i creditori".

Le medesime considerazioni non ci sembra possano invece essere richiamate allorquando la ricostruzione ed il riconsolidamento del patrimonio aziendale non possa essere riferito ad uno sforzo economico sopportato personalmente dall'imprenditore, come invece sostenuto da più autori (in particolare, si veda (PEDRAZZI).

Secondo una impostazione che trova riscontro soprattutto in dottrina perché possa dirsi realizzato il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale occorre che la condotta posta in essere risulti fornita di un grado di concreta offensività verso il bene giuridico protetto dalla norma necessitandosi in particolare che a seguito dell'atto di distrazione si determini uno squilibrio fra attività e passività idoneo a determinare un pericolo per le ragioni creditorie, mentre se la sottrazione di attività aziendali non è idonea a destabilizzare la situazione patrimoniale dell'impresa non si sarà in presenza di un reato di bancarotta, perché "fino a quando residua un tranquillante margine di attivo non può contestarsi all'imprenditore il diritto di disporre a piacimento delle proprie sostanze" (PEDRAZZI, 70). Coerentemente, dunque, si sostiene che sarebbe incongruo punire condotte di distrazione, dissipazione, sottrazione ed altro la cui idoneità lesiva risulti venuta meno al momento della dichiarazione di insolvenza posto che in questo caso "al momento del fallimento non esiste quella situazione di fatto (diminuzione del patrimonio) che è richiesta per l'incriminabilità a titolo di bancarotta" (ANTOLISEI); non sarebbe perciò punibile, ad esempio, un atto di liberalità avente portata distrattiva in condizioni di tensione, poi superate dall'impresa, posto che, anche qualora la situazione economica tornasse a deteriorarsi fino a sfociare nel fallimento, “il verificarsi della condizione non varrà a recuperare un offensività che nel frattempo si è dissolta” (PEDRAZZI, 26. Anche GROSSO).

In sostanza, l'argomentazione suddetta può sintetizzarsi nel seguente modo: la potenzialità lesiva della distrazione va verificata con riferimento le circostanze sussistenti al momento della consumazione del fatto; laddove tali circostanze deponessero per una rilevanza penale del comportamento dell'imprenditore, per essere lo stesso intervenuto quando l'azienda era già stato di dissesto ovvero per aver lo stesso comportamento dato luogo a dissesto, la condotta di distrazione integrerà il reato di bancarotta; tuttavia, qualora lo stato di dissesto sia nel frattempo venuto meno – per qualsiasi ragione e quindi anche a prescindere da un intervento significativo e da un sacrificio economico sopportato dall'amministratore della società – quelle precedenti condotte perderanno ogni connotato di offensività e non varrà a dotarle di tale carattere il successivo fallimento dell'impresa.

Come accennato, questa ricostruzione non ci convince e per comprendere la ragione delle nostre perplessità consideriamo seguente esempio. Un'azienda a un patrimonio iniziale di valore pari a 100 ma successive condotte distrattive dell'amministratore ne determinano un depauperamento sicché lo stesso, ad un dato momento, ammonta ad appena 10 ed è quindi prossima la dichiarazione di insolvenza; tuttavia, per una serie di contingenze e magari anche per la capacità imprenditoriale del singolo, la società non fallisce ma anzi le sue sorti si risollevano, sicché il patrimonio torna ad essere consistente e torna a valere i 100 iniziali; solo successivamente, per altre ragioni e vicende, la medesima società attraversa un nuovo stato di crisi che ne determina il fallimento.

Secondo la tesi che abbiamo esposto in questo caso non sussisterebbe l'illecito in quanto il dissesto dell'azienda che ne cagiona l'insolvenza non è una conseguenza dell'atto distrattivo, il quale si è consumato molto tempo prima rispetto alla dichiarazione di fallimento: detto altrimenti, non si possono riconoscere come lesive condotte illecite tenute dall'imprenditore solo perché, successivamente a distanza di tempo, è intervenuta pronuncia di fallimento, dovendo l'offensività portamento di bancarotta sussistere e permanere per tutto il periodo che va dalla loro messa in essere alla pronuncia giurisdizionale mentre non sarebbero punibili medesimi fatti che abbiano perso, nel frattempo, le necessarie connotazioni lesive, anche allorquando l'inoffensività non era coeva alla loro venuti in essere ma sia determinata sulla base di fatti successivi.

A nostro parere, però, è evidente che nell'esempio sopra fatto non si è in presenza di alcuna riparazione o reintegrazione del patrimonio da parte dell'imprenditore e ciò risulta chiaro solo che si consideri come nel patrimonio dell'azienda, al momento della dichiarazione del fallimento, risulti comunque mancante il valore di 90 che l'imprenditore ha sottratto anzitempo – sia pur in epoca lontana – e che non ha in alcun modo provveduto a restituire. La circostanza che l'originaria condotta di distrazione non abbia immediatamente portato alla dichiarazione di fallimento dell'azienda, la quale si è riuscita per varie ragioni a procedere nella sua attività, non toglie rilevanza penale al fatto che la condotta di distrazione tenuta dal soggetto agente ha comportato una diminuzione della consistenza patrimoniale dell'impresa – depauperamento che, per le ragioni sovra esposte, mantiene pienamente rilievo anche al momento della dichiarazione di fallimento.

In conclusione

In conclusione, al comportamento dell'imprenditore che reintegri in un dato momento la parte del patrimonio che in precedenza aveva distratto e sottratto dal patrimonio dell'impresa da lui gestita va sicuramente riconosciuta, nella gran parte dei casi, un'efficacia significativa nell'escludere la rilevanza penale delle precedenti condotte distrattive. Tuttavia, tale attribuzione di significato è possibile solo laddove la ricostituzione dell'originaria consistenza del patrimonio sia effettiva e sia conseguenza di una forza economico sopportato dall'imprenditore da terzi soggetti a lui riconducibile e non si è invece indubitabile alla mera prosecuzione dell'attività aziendale.

Guida all'approfondimento

Sulle tesi secondo cui la dichiarazione di fallimento rappresenta una condizione di procedibilità dell'azione penale:

BALATO, Sentenze Parmalat vs. Corvetta: il dilemma della struttura della bancarotta fraudolenta, in Dir. pen. cont.;

FIORELLA - MASUCCI, I delitti di bancarotta, in Vassalli - Luiso - Gabrielli (diretto da), Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorusali, III, Gli effetti del fallimento, Padova 2014, 921;

LANZI, Interpretazione giurisprudenziale della bancarotta patrimoniale nel sistema penale, in Fall., 2013, 560;

LANZI, La Cassazione "razionalizza" la tesi del fallimento come evento del reato di bancarotta, in Ind. pen., 2013, 117;

MORETTI, Finalmente anche per la bancarotta valgono i principi costituzionali, in Riv. pen., 2013, 288;

SERENI, La bancarotta fraudolenta, in Ghia - Piccininni - Severini, Trattato delle procedure concorsuali, Milano 2012, 94;

Contra. Sulle tesi secondo cui la dichiarazione di fallimento rappresenta una condizione obiettiva di punibilità dell'azione penale:

D'ALESSANDRO, Reati di bancarotta e ruolo della sentenza dichiarativa di fallimento: la Suprema Corte avvia una revisione critica delle posizioni tradizionali, in Dir. pen. cont.;

MUCCIARELLI, La bancarotta distrattiva è reato d'evento, in Dir. pen. proc., 2013, 437;

SANDRELLI, Note critiche sulla necessità di un rapporto di causalità tra la condotta di distrazione e lo stato di insolvenza nel delitto di bancarotta "propria", Cass. pen., 2013, 1429;

SPAGNUOLO, Revirement della Corte di Cassazione sulla natura giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento nella bancarotta fraudolenta per distrazione: nuovo inizio o caso isolato?, in Cass. pen., 2013, 2772;

TROYER - INGRASSIA, Il dissesto come evento della bancarotta fraudolenta per distrazione: rara avis o evoluzione della (fatti)specie?, in Soc., 2013, 335;

Più risalenti,

AMBROSETTI, I reati fallimentari, in Ambrosetti - Mezzetti - Ronco, Diritto penale dell'impresa, Bologna 2008, 207;

DE SIMONE, Sentenza dichiarativa di fallimento, condizioni obiettive di punibilità e nullum crimen sine culpa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 1145.

***

ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, leggi complementari, II, Giuffrè, 2014;

GROSSO, Osservazioni in tema di struttura, tempo e luogo del commesso reato della bancarotta pre fallimentare, in Riv. it. dir. proc. pen., 1970, 568;

PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, in GALGANO (a cura di), Commentario Scialoja-Branca, Legge fallimentare, Bologna - Roma 1955, 70;

SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino 2000, 88;

ZAMPANO, Bancarotta "riparata" e principio di offensività, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2006, 745

Fonte: www.ilpenalista.it

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