Conferimento d’azienda e responsabilità solidale della conferitaria per crediti dei dipendenti della conferente

Alessandro Corrado
28 Giugno 2017

Il conferimento di un'azienda individuale, avente ad oggetto l'intera struttura aziendale o parti di essa idonee a costituire autonome unità organizzative e produttive, comporta un fenomeno traslativo soggetto alle disposizioni dettate per gli aspetti generali dall'art. 2558 c.c. e per quelli particolari attinenti ai rapporti di lavoro dall'art. 2112 c.c.
Massima

Il conferimento di un'azienda individuale, avente ad oggetto l'intera struttura aziendale o parti di essa idonee a costituire autonome unità organizzative e produttive, comporta un fenomeno traslativo soggetto alle disposizioni dettate per gli aspetti generali dall'art. 2558 c.c. e per quelli particolari attinenti ai rapporti di lavoro dall'art. 2112 c.c.. In applicazione di tale seconda norma per i debiti contratti verso i lavoratori in data anteriore al conferimento sussiste la responsabilità solidale del socio conferente e della società conferitaria (Nella specie, la Suprema Corte, ha cassato la decisione impugnata per non aver dato conto della significatività indiziante di circostanze, quali l'identità oggettiva dell'attività aziendale, il non mutamento sostanziale dei luoghi di lavoro e la riconducibilità del potere direttivo alla stessa persona, proprie di un fenomeno di continuazione economica).

Il caso

Un gruppo di lavoratrici aveva proposto ammissione al passivo per crediti privilegiati ex art. 2751-bis n. 1 c.c. a titolo di differenze retributive e di TFR nel fallimento di una società sostenendo che il loro rapporto di lavoro, instaurato originariamente con un'impresa individuale, sarebbe poi proseguito senza soluzione di continuità con la fallita: questa doveva infatti considerarsi quale cessionaria in virtù del conferimento dell'azienda della prima nella seconda, venendosi così a configurare quell'unicità dei rispettivi rapporti di lavoro che dava origine a maggiori crediti dam poter vantare verso la cessionaria d'azienda, secondo il principio di solidarietà previsto dall'art. 2112, comma 2 c.c..

La Corte d'appello aveva invece escluso l'unicità del rapporto lavorativo vantata dalle lavoratrici, sottolineando la genericità delle contestazioni e la contraddittorietà delle deposizioni testimoniali emerse nel corso del giudizio. Inoltre, per quanto concerneva la determinazione delle retribuzioni, non risultava provata l'applicazione dell'art. 36 Cost., il quale stabilisce il principio di sufficienza e adeguatezza della retribuzione prescindendo da ogni comparazione intersoggettiva.

La questione

Con la sentenza in commento, i giudici del Supremo Collegio, hanno accolto i profili di critica loro sottoposti dalle lavoratrici, conformandosi così ai princìpi stabiliti da precedenti pronunce (in particolare, Cass., n. 1963/1990), ed affermando quindi che il conferimento di un'azienda individuale ad una società – sia essa di persone o di capitali – configura un'operazione da inquadrare per gli aspetti generali nella disposizione dell'art. 2558 e ss. c.c. e, per quelli particolari attinenti ai rapporti di lavoro, nel quadro dell'art. 2112 c.c. Com'è noto, tale norma disciplina il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda garantendo ai lavoratori coinvolti la continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario con la conservazione di tutti i diritti che ne derivano (comma 1), nonché la responsabilità solidale di cedente e cessionario per tutti i crediti dei lavoratori sussistenti al tempo del trasferimento (comma 2).

La Cassazione ha attribuito particolare rilievo alle circostanze che, seppure emerse nei precedenti gradi di giudizio, erano state ignorate dalla Corte d'appello, quali l'identità oggettiva dell'attività aziendale e dei luoghi di lavoro dove veniva svolta la prestazione, nonché la riconducibilità del potere direttivo alla medesima persona, ritenute indicative di un fenomeno di continuazione economica che avrebbe dovuto invece condurre a ritenere che l'attività produttiva svolta dall'imprenditore individuale era poi proseguita in capo alla società poi fallita.

Le soluzioni giuridiche

Corollario delle considerazioni che precedono è la possibilità, per i lavoratori il cui rapporto di lavoro sia transitato dalla c.d. conferente alla c.d. conferitaria, di pretendere le differenze retributive e di trattamento di fine rapporto in virtù della unitarietà del rapporto stesso.

A tale riguardo, giova precisare che l'obbligazione solidale gravante su cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento (ex art. 2112, comma 2, c.c.) opera limitatamente ai crediti retributivi e non anche per quelli contratti nei confronti degli istituti previdenziali in caso di omesso versamento dei contributi obbligatori: sia perché la solidarietà è limitata ai soli crediti di lavoro del dipendente e non è estesa ai crediti di terzi (quali devono ritenersi gli enti previdenziali), sia perché il lavoratore non ha diritti di credito verso il datore di lavoro per l'omesso versamento dei contributi obbligatori, fatto salvo il diritto al risarcimento dei danni nell'ipotesi prevista dall'art. 2116, comma 2, c.c., restando estraneo al rapporto contributivo che intercorre tra l'ente previdenziale ed il datore di lavoro (Cass., n. 8179/2001).

Particolarmente controversa è, poi, l'applicazione del principio della responsabilità solidale ai crediti dei lavoratori per trattamento di fine rapporto.

A tal proposito, l'orientamento giurisprudenziale per molto tempo prevalente riteneva che il diritto sul trattamento di fine rapporto sorgesse solo in occasione della risoluzione del rapporto di lavoro e pertanto, in caso di cessione di azienda e continuazione dei rapporti di lavoro con il cessionario, unico debitore per il trattamento di fine rapporto avrebbe dovuto considerarsi, anche per il periodo passato alle dipendenze del cedente, il cessionario, ossia il datore di lavoro che era tale al momento della risoluzione del rapporto di lavoro (Cass., Sez. Lav., n. 12548/1998; e Cass., Sez. Lav., n. 15371/2004).

Tuttavia, già all'epoca, tale orientamento risultava in contrasto con altra giurisprudenza (Cass., Sez. Un., n. 11945/1990; Cass., Sez. Lav., n. 18501/2008) che, a partire dall'assunto per cui è possibile esperire l'azione di accertamento dell'ammontare del trattamento di fine rapporto anche in costanza di rapporto, è giunta a riconoscere la maturazione del relativo credito durante il corso del rapporto, divenendo meramente esigibile all'atto della cessazione dello stesso.

Così, in tempi recenti, sulla scia di tale secondo indirizzo esegetico, si può affermare che la questione è giunta ad un approdo definitivo grazie ad una serie di pronunce (cfr. Cass., n. 11479/2013; Cass., Sez. Lav., n. 19291/2001) secondo cui “in caso di cessione d'azienda assoggettata al regime di cui all'art. 2112 c.c. il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente, il cui rapporto prosegua con il datore di lavoro cessionario, per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di rapporto con lui svolto e calcolato fino alla data del trasferimento d'azienda, mentre il datore di lavoro cessionario è obbligato per questa stessa quota soltanto in ragione e nei limiti del vincolo di solidarietà previsto dall'art. 2112, comma 2, c.c. Invece quest'ultimo, quale datore di lavoro cessionario, è l'unico obbligato al trattamento di fine rapporto quanto alla quota maturata nel periodo del rapporto intercorso successivamente al trasferimento d'azienda”.

Peraltro, applicando tale recente ricostruzione interpretativa all'ipotesi di imprese sottoposte a procedure concorsuali, il lavoratore che sia creditore, nei confronti dell'imprenditore cedente, dei ratei di trattamento di fine rapporto maturati in proprio favore sino alla data del trasferimento dell'azienda o di un suo ramo a terzi, è legittimato a proporre istanza di fallimento del datore di lavoro cedente, essendo creditore del medesimo, ed a produrre ricorso per insinuazione al passivo per i ratei di trattamento di fine rapporto relativi al periodo in cui era alle dipendenze dello stesso (cfr. Cass., n. 164/2016).

Osservazioni

Pur nella sintesi che lo caratterizza, il provvedimento traccia una linea di confine molto netta tra il conferimento d'azienda, ricompreso tra le fattispecie cui è applicabile l'art. 2112 c.c. con tutte le conseguenze derivanti da tale norma, ed il diverso fenomeno della trasformazione societaria, regolamentato dall'art. 2498 c.c.: dando luogo ad un mero cambiamento della forma organizzativa della società, quest'ultimo non può essere considerato idoneo a creare un nuovo soggetto societario, ma piuttosto una modificazione dell'atto costitutivo, che continua ad esistere in una nuova veste. Come chiarito da una risalente sentenza della Suprema Corte (cfr. Cass., Sez. Lav., n. 2697/1986), la trasformazione della società da un tipo ad un altro (anche se si tratti di trasformazione di una società di persone in società di capitali) non è considerata dalla legge come creazione di una nuova società, ma come modificazione dell'atto costitutivo della società trasformata, che continua ad esistere sotto altra forma; la corrispondente vicenda resta, pertanto, al di fuori della sfera di applicazione dell'art. 2112 c.c., relativo alla diversa ipotesi di successione nell'impresa, con la conseguenza dell'assoluta continuità di tutti i rapporti di lavoro instaurati nel corso della complessa vita della impresa.

Così come ne è esclusa la cessione del pacchetto azionario: non incidendo sull'autonoma soggettività giuridica delle società interessate, i rapporti di lavoro continuano ad avere corso e ad imputarsi alle rispettive distinte soggettività giuridiche (App. Milano, 09 aprile 2004, in Orient. Giur. lav., 2004, I, 356).

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