L’in house nel nuovo codice dei contratti pubblici: tra continuità e innovazione

29 Luglio 2016

Il nuovo Codice Appalti (D.Lgs. n. 50/2016) affronta trasversalmente, anche se non in maniera esaustiva, la tematica delle società in mano pubblica, manifestando particolare attenzione per la disciplina delle società in house, da un lato, individuando all'art. 5 i requisiti legittimanti gli affidamenti diretti e, dall'altro, introducendo una specifica disposizione (art. 192) volta a limitare la facoltà di affidare in via diretta contratti di lavori, servizi e forniture, nonché ad assicurare un adeguato livello di pubblicità e trasparenza degli affidamenti in house.
Premessa

Il nuovo Codice Appalti (D.Lgs. n. 50/2016) affronta trasversalmente, anche se non in maniera esaustiva, la tematica delle società in mano pubblica, manifestando particolare attenzione per la disciplina delle società in house, da un lato, individuando all'art. 5 i requisiti legittimanti gli affidamenti diretti e, dall'altro, introducendo una specifica disposizione (art. 192) volta a limitare la facoltà di affidare in via diretta contratti di lavori, servizi e forniture, nonché ad assicurare un adeguato livello di pubblicità e trasparenza degli affidamenti in house.

Il fenomeno dell'in house providing

Una delle novità assolute del D.Lgs. n. 50/2016 è rappresentata dall'introduzione di una disciplina organica dell'in house providing.

Quest'ultimo concerne le ipotesi in cui l'Amministrazione, per soddisfare i propri bisogni, non operi “rivolgendosi al mercato” (c.d. outsourcing) stipulando, dunque, contratti attraverso la gara ad evidenza pubblica, ma procede direttamente all'autoproduzione dei beni o delle risorse oggetto delle proprie richieste creando organi in house ad hoc.

Il metodo della “gestione in proprio” è stato introdotto nel nostro ordinamento dall'art. 113 del Testo Unico degli enti locali che permette di affidare la gestione di servizi pubblici locali a soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico, cui può essere affidata direttamente tale attività, a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”.

Dunque, gli elementi propri dell'in house, come chiarito sia dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (Corte CE, sentenza Teckal, 18 novembre 1999, causa C- 107/98) che da quella nazionale (Cass. S.U., sent. 26 marzo 2014, n. 7177), sono il requisito del controllo analogo e dell'“attività prevalente”. Il primo presupposto si riferisce al controllo analogo a quello che l'amministrazione esercita sui propri organi, idoneo, dunque, ad annullare ogni forma di autonomia decisionale e gestionale in capo agli amministratori della società e implica una ulteriore condizione necessaria (ma non sufficiente), ovvero la detenzione da parte dell'Amministrazione dell'intero capitale sociale. Con riguardo, invece, al presupposto dell'attività prevalente siamo in presenza di una società in house quando quest'ultima svolge la maggior parte della sua attività per conto e a favore dell'ente affidante.

Un forte impulso al ripensamento della disciplina nazionale del fenomeno dell'autoproduzione si è avuto a seguito dell'emanazione delle direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici, rispettivamente 2014/24/UE nei settori ordinari, 2014/25/UE sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali (settori speciali) e 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, pubblicate sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione Europea del 28 marzo 2014. Una delle più importanti innovazioni introdotte dal “pacchetto appalti/concessioni” con riferimento all'in house providing è rappresentata proprio dalla positivizzazione della disciplina dell'istituto.

Infatti, l'art. 17 della direttiva 2014/23/UE sulle concessioni, l'art. 12 della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici nei settori ordinari e l'art. 28 della direttiva 2014/25/UE sugli appalti pubblici nei settori speciali recano una disciplina di principio tratteggia solo le linee essenziali che costituiscono il minimo comun denominatore del fenomeno dell'in house, ben noto in ambito europeo in numerosi ordinamenti nazionali.

I requisiti strutturali

L'art. 5 D.Lgs. n. 50/2016 rappresenta la trasposizione nazionale delle richiamate disposizioni che nell'ambito delle direttive appalti/concessioni disciplinano l'in house. In particolare, viene escluso dall'ambito di operatività del Codice una concessione o un appalto pubblico, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato quando siano contestualmente soddisfatti i c.d. requisiti Teckal che consentono il ricorso all'affidamento diretto.

In primo luogo, un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore deve esercitare sulla persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. La definizione di controllo analogo viene fornita al successivo comma 2 dell'art. 5, il quale precisa - recependo alla lettera le direttive - che sussiste detto requisito quando un'amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore eserciti un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata. Si legittima, anche, il controllo indiretto, ovvero quello esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall'amministrazione aggiudicatrice o dall'ente aggiudicatore” (cd. in house "a cascata”).

In secondo luogo, per la configurazione dell'in house, è necessario che oltre l'80% delle attività della persona giuridica controllata siano effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore.

Con riguardo all'attività prevalente viene recepito testualmente il testo delle direttive del 2014 che supera l'orientamento in virtù del quale il requisito de quo si può considerare soddisfatto esclusivamente quando l'organismo in house realizzi in regime di quasi esclusività (qualitativa e quantitativa) le proprie attività nei confronti dell'Amministrazione controllante. Infatti, la fissazione della soglia dell'80% lascia apprezzabili margini di operatività sul mercato all'organismo controllato.

Il par. 5 del richiamato art. 12 della direttiva chiarisce, altresì, le modalità attraverso cui determinare la già richiamata quota dell'80%. Il punto di partenza per procedere a tale computo è il fatturato totale medio dell'attività dell'organismo aggiudicatario o, in alternativa, una idonea misura (basata) sull'attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l'aggiudicazione dell'appalto”. Tuttavia, “se, a causa della data di costituzione o di inizio dell'attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione, ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato, o la misura alternativa basata sull'attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dell'attività, che la misura dell'attività è credibile”

Il terzo requisito individuato dall'art. 5 D.Lgs. n. 50/2016 è rappresentato dall'assenza diretta di capitali privati, “ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalla legislazione nazionale in conformità dei trattati” e “che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata”.

Sotto questo profilo è stata recepita la sollecitazione del Consiglio di Stato che – esaminando la bozza preliminare di decreto legislativo che consentiva, in via eccezionale, forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto e che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata”- invitava l'esecutivo a chiarire che le modalità di partecipazione di capitali privati devono essere “prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati”.

La predetta precisazione si è resa necessaria attesa l'incoerenza registrata nello schema del Codice tra il recepimento nazionale e le corrispondenti previsioni delle direttive. Infatti, gli articoli 12, par. 1, lett. c), direttiva 2014/24/UE, 17, par. 1, lett. c), direttiva 2014/23/UE, 28, par. 1, lett. c), direttiva 2015/25/UE, con identica formulazione, dispongono che: nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata”. Dalla formulazione delle direttive si evince, dunque, che compete ai legislatori nazionali fissare le forme di partecipazione del capitale privato, nel rispetto dei parametri comunitari.

Le “nuove forme” di in house

Il comma 3 dell'art. 5 riconosce rispettivamente due ulteriori ipotesi – già coniate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e positivizzate nelle direttive - di affidamento senza gara di un appalto o una concessione definite “in house inverso” ovvero “in house verticale capovolto” e “in house orizzontale”.

La prima fattispecie riguarda esclusivamente i soggetti che si trovano in relazione di in house e legittima l'affidamento diretto da parte di un organismo controllato in favore della sua amministrazione controllante (a condizione che quest'ultima non sia partecipata, se non in misura trascurabile, da capitali privati) ovvero in favore di un altro soggetto dalla stessa controllato.

È evidente, pertanto, che l'ipotesi de qua definisce un modello speculare e rovesciato rispetto allo schema tipico, poiché l'affidamento diretto non avviene nella direzione ente controllante/organismo controllato ma in quella diametralmente opposta, ovvero da parte dell'organismo controllato a favore dell'ente che esercita il controllo. Dunque, stante la peculiarità della fattispecie, non possono configurarsi né il requisito del controllo analogo, né quello dell'attività prevalente.

La ratio del modello va ricercata nel fatto che l'immedesimazione organica esistente tra ente controllante e quello controllato giustifica anche questa forma di affidamento diretto, che rappresenta un'ulteriore modalità endo-organizzativa di espletamento dell'attività all'interno di un soggetto che si qualifica come unitario.

Al contrario, l'in house orizzontale implica l'esistenza di tre soggetti, uno dei quali, in qualità di ente aggiudicatore, affida un appalto o una concessione a un altro soggetto ed entrambi sono posti in una relazione in house con un terzo. In altri termini, sussiste detta peculiare ipotesi quando una o più amministrazioni aggiudicatrici esercitano un controllo analogo su due distinti soggetti di cui uno procede all'affidamento diretto a favore dell'altro.

Il comma 4 dell'art. 5 in esame ammette la possibilità di un controllo congiunto da parte di due o più amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori (c.d. in house “frazionato” o “pluripartecipato”, di cui al par. 3 dell'art. 12 della direttiva 2014/24/UE).

La giurisprudenza della Corte di Giustizia già dalla richiamata sentenza Teckal sembrava implicitamente riconoscere il controllo congiunto da parte di più amministrazioni aggiudicatrici.

Per la legittimazione espressa si dovrà attendere la sentenza Carbotermo del 2006 (Corte CE, sentenza 11 maggio 2006 in causa C-340/04), nell'ambito della quale viene affermato che i c.d. requisiti Teckalsi riferiscono non solo all'ipotesi in cui un solo ente pubblico detenga una siffatta persona giuridica, ma anche a quella in cui la detengano più enti.

Il successivo comma 5 dell'art. 5 precisa le tre condizioni che devono sussistere affinché possa configurarsi l'in house pluripartecipato. In primo luogo, gli organi decisionali della persona giuridica controllata devono essere composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. A tal proposito si precisa che i singoli “delegati” possono anche rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti.

In secondo luogo, le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori devono poter esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della persona giuridica. Infine, la persona giuridica controllata non può perseguire interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti.

Il nuovo codice appalti si occupa nella stessa disposizione anche della cooperazione orizzontale tra amministrazioni recependo il par. 4 dell'art. 12 della direttiva 2014/24/UE e gli orientamenti consolidati della Corte di Giustizia, sia il contenuto del documento predisposto dalla Commissione nell'ottobre 2011 in materia di “cooperazione pubblico-pubblico”.

Detta prerogativa dell'amministrazione di provvedere ad acquisire beni e servizi in collaborazione con altre autorità pubbliche” era già stata riconosciuta dalla Corte di Giustizia (Corte CE, sentenza 9 giugno 2009 in causa C-480/06) a condizione che la cooperazione fosse rivolta ad effettivi obiettivi di interesse pubblico.

Al fine di poter derogare agli obblighi di evidenza pubblica gli accordi tra due o più devono soddisfare cumulativamente le condizioni indicate dal comma 6 dell'art. 5. In primo luogo, l'accordo deve stabilire o realizzare una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell'ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune. In secondo luogo, l'attuazione di tale cooperazione deve essere retta esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico. Infine, si chiarisce che le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti possono svolgere sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione.

Occorre precisare che questa ultima ipotesi non rientra nell'in house providing, ma rappresenta una particolare forma di autoproduzione riconosciuta all'amministrazione (in virtù del principio di autorganizzazione) per poter adempiere i propri compiti di interesse pubblico.

Tuttavia, sia l'in house che la cooperazione tra amministrazione costituiscono modelli di organizzazione dell'attività in deroga all'affidamento mediante procedure ad evidenza pubblica, in quanto l'amministrazione aggiudicatrice decide di non esternalizzare il lavoro, servizio o fornitura, ma di delegarlo a una sua longa manus (nel caso dell'in house) ovvero di svolgerlo in “collaborazione” con un'altra amministrazione aggiudicatrice.

Limiti e obblighi per gli affidamenti diretti

L'art. 192 D.Lgs. n. 50/2016 – attuando il criterio di delega di cui alla lettera ee) della L. n. 11/2016 – al fine di garantire livelli adeguati di pubblicità e trasparenza anche per gli affidamenti in house istituisce presso l'ANAC un elenco degli enti aggiudicatori che si avvalgono degli affidamenti diretti nei confronti delle proprie società in house.

L'iscrizione nel predetto elenco avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l'esistenza dei requisiti, nel rispetto dei criteri e delle modalità definite dall'ANAC con proprio atto. La presentazione della domanda di iscrizione permette di procedere agli affidamenti diretti a favore degli enti strumentali, fermo restando l'obbligo di pubblicare gli atti connessi all'affidamento diretto a norma del D.Lgs. n. 33/2013.

Il comma 1 dell'art. 192 recepisce solo parzialmente le perplessità sollevate in sede di parere da parte del Consiglio di Stato, il quale precisava - analizzando la bozza preliminare di codice che collegava la possibilità di affidamento in house all'iscrizione (non alla domanda) – che secondo la lettera della legge delega all'iscrizione doveva essere riconosciuta non una efficacia costitutiva, ma meramente dichiarativa.

Inoltre, in sede di parere, si invitava il Governo a sostituire la formulazione dell'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 192 con il seguente periodo prevedendo che nelle more la domanda di iscrizione consente all'ente aggiudicatore sotto la propria responsabilità di effettuare affidamenti diretti dei contratti all'ente strumentale dandone avviso almeno dieci giorni prima”.

Infatti, secondo il Consiglio di Stato, la “previsione della comunicazione all'ANAC nelle more dell'iscrizione, nel prevenire eventuali condotte elusive da parte dell'ente che abbia fatto domanda, consentirebbe all'Autorità di poter monitorare e controllare, comunque, l'affidamento diretto, potendo inibirne provvisoriamente l'efficacia, anche prima di aver concluso il procedimento finalizzato all'iscrizione, ove non ritenga sussistenti i requisiti dell'art. 5 per l'affidamento in house”. L'esecutivo, tuttavia, non ha recepito questa sollecitazione relativa alla necessità di prevedere un potere inibitorio dell'Autorità.

Il secondo comma della disposizione de qua impone alle stazioni appaltanti, per l'affidamento in house relativo a contratti che hanno ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, di procedere preventivamente alla valutazione relativa alla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house avendo riguardo all'oggetto e al valore della prestazione.

L'introduzione di una preventiva valutazione sulla congruità economica dell'offerta, richiesta espressamente nella legge delega, rappresenta una presa d'atto da parte del Legislatore della necessità di evitare che le stazioni appaltanti, rifuggendo dalla concorrenza, siano private di termini di paragone per valutare se il ricorso all'in house sia coerente con i principi di buona amministrazione e le esigenze di corretta gestione del denaro pubblico.

Dunque, gli enti aggiudicatori devono fornire, nel provvedimento di affidamento diretto, adeguata motivazione delle ragioni del mancato ricorso al mercato e dei benefici per la società derivanti dalla modalità di gestione diretta prescelta, con particolare riferimento a obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche.

I predetti obiettivi rinviano all'art. 3-bis, comma 1-bis del D.L. n. 138/2011, convertito con modificazioni dalla L. n. 27/2012 (inserito dall'art. 34 del D.L. n. 179/2012 e successivamente modificato dall'art. 1, comma 609, della L. n. 190/2014), dove si dispone che la relazione che supporta l'affidamento del servizio dia conto della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che siano motivate "le ragioni (dell'affidamento) con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio". Si segnala, altresì, che sull'appena richiamata disciplina interverrà il Testo Unico in corso di approvazione, attuativo della L. n. 124/2015, relativo alla disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale.

L'ultimo comma dell'art. 192, in ossequio al principio di trasparenza, prevede che nella sezione amministrazione trasparente del profilo del committente siano pubblicati - a norma dell'art. 36 D.Lgs. n. 33/2013 - in formato open-data tutti gli atti connessi all'affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione (salvo i casi di contratti secretati).

Conclusioni

Come ampiamente chiarito, il Codice dei contratti pubblici stabilisce le condizioni alle quali è legittimo un affidamento diretto senza rivolgersi al mercato; non affronta, invece, i termini entro cui le pubbliche amministrazioni possono dar vita a soggetti in house.

Sotto tale profilo è auspicabile che il Legislatore operi un raccordo con il nuovo Testo Unico in materia di partecipazioni pubbliche (attuativo dell'art. 16 e 18 della L. n. 124/2015) sottoposto al secondo esame preliminare nel Consiglio dei Ministri del 14 luglio 2016, attese le discrasie registrate tra l'art. 5 D.Lgs. n. 50/2016, gli articoli corrispondenti delle direttive 23, 24, 25 del 2014 e l'art. 16 dello schema di decreto legislativo in materia di società pubbliche.

È, altresì, estranea alla sistematica del codice la disciplina relativa ai limiti e alle condizioni entro cui le Amministrazioni possono detenere partecipazioni in società pubbliche. Si tenga presente, in proposito, che art. 4 dello schema di Testo Unico sulle società partecipate nell'elencare le finalità per la costituzione o la partecipazione a società pubbliche indica espressamente anche l'autoproduzione di beni e servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipati, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento”.

Resta auspicabile, dunque, da un lato, il coordinamento con la disciplina in materia di società pubbliche in corso di approvazione e, dall'altro, un'attenta valutazione della compatibilità dei vincoli aggiuntivi previsti dalla disciplina nazionale dell'in house rispetto a quelli delle Direttive del 2014 con il divieto di gold plating.

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