Applicazione retroattiva della confisca per equivalente: la parola alla Consulta

28 Ottobre 2015

Va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 e dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, in riferimento agli artt. 3, 25, comma 2, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 della CEDU.
Massima

Va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 e dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, in riferimento agli artt. 3, 25, comma 2 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 della CEDU, nella parte in cui prevedono che la confisca per equivalente, introdotta per gli illeciti di cui alla parte V, titolo I-bis, del testo unico di cui al medesimo d.lgs. n. 58 del 1998, si applica anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 62 del 2005, che le ha depenalizzate, quando il relativo procedimento penale non sia stato definito.

Il caso

In data 8 gennaio 2003 il Presidente della Commissione Nazionale per la Società e la Borsa (CONSOB) segnalava alla Procura della Repubblica di Milano il presunto reato di abuso di informazioni privilegiate – di cui all'art. 180 del decreto legislativo n. 58 del 1998 – per avere alcuni soggetti acquistato diverse obbligazioni nel corso dell'anno 2002.

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 10597 del 19 ottobre 2005, proscioglieva gli imputati (ad eccezione di uno) in ragione della depenalizzazione del reato contestato, avvenuta a seguito dell'entrata in vigore della l. 62/2005, e trasmetteva gli atti alla CONSOB, in quanto competente.

Quest'ultima, per mezzo dell'Ufficio Insider Trading, ritenendo accertata la commissione dell'illecito amministrativo di cui all'art. 187-bis, comma 4, del d.lgs. 58/1998, notificava l'atto di contestazione ai destinatari dell'informazione privilegiata, e disponeva a carico di Alfa, con delibera in data 8 giugno 2007, il sequestro di beni di sua pertinenza, fino al raggiungimento del valore equivalente al prodotto dell'illecito (euro 6.352.002,00), applicando la disposizione ex art. 187-octies, comma 3, lett. d), del citato d.lgs. 58/1998.

Successivamente, la CONSOB, nella seduta del 4 luglio 2007, riteneva accertata la violazione di cui all'art. 187-bis del d.lgs. 58/1998 e applicava a carico di Alfa la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 787.744,00, la sanzione accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi per un periodo di nove mesi ex art. 187-quater, d.lgs. 58/1998, nonché, ai sensi dell'art. 187-sexies di quest'ultimo, la confisca di beni di sua proprietà per un valore di euro 6.352.002,00.

Alfa proponeva, quindi, opposizione dinanzi alla Corte d'appello di Brescia; la CONSOB resisteva con controricorso. Con sentenza depositata il 31 marzo 2009, l'adita Corte d'appello rigettava l'opposizione.

Per quanto qui di interesse, la Corte, in particolare, rigettava i motivi di opposizione concernenti l'applicazione dell'istituto della confisca per equivalente da parte della CONSOB, della quale la Alfa aveva lamentato l'illegittimità sia perché applicata in violazione dei principi di legalità e di irretroattività della sanzioni amministrative di cui all'art. 1 della legge n. 689 del 1981, attesa l'introduzione dell'istituto nel nostro ordinamento giuridico ad opera della legge n. 62 del 2005, successiva al momento in cui la presunta condotta si era già consumata; sia perché la confisca era stata applicata su somme di denaro, strumenti finanziari e beni immobili “per un valore corrispondente al prodotto dell'illecito”, e quindi sulla base dell'erroneo presupposto che le obbligazioni acquistate costituissero il prodotto dell'illecito contestato, mentre rappresentavano non l'utilità conseguita, ma l'investimento iniziale.

La Corte d'appello rilevava, innanzitutto, che i principi di legalità e di irretroattività sono oggetto di copertura costituzionale soltanto per la materia penale, sicché il legislatore, quanto all'illecito depenalizzato di abuso di informazioni privilegiate, ben poteva prevedere lo strumento della confisca per equivalente anche per i comportamenti precedenti alla entrata in vigore della l. 62/2005, non configurandosi in tal modo nessuna violazione della l. 689/1981, ben potendo una norma di pari rango costituzionale successiva derogare la precedente.

La Corte bresciana non accoglieva neanche la doglianza relativa all'applicazione della sanzione accessoria, in quanto riteneva che la Commissione avesse correttamente calcolato il prodotto e il profitto dell'illecito, essendo il primo coincidente con la somma spesa per l'acquisto delle obbligazioni omissis, di indubbia provenienza illecita, e il secondo il guadagno ottenuto con la successiva vendita.

Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione Alfa, deducendo ben nove motivi di doglianza. La CONSOB resisteva con controricorso e proponeva ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi. La ricorrente principale a sua volta resisteva, con controricorso, al ricorso incidentale. In prossimità dell'udienza del 5 giugno 2015, entrambe le parti depositavano memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. La CONSOB, infine, resisteva con controricorso e proponeva, altresì, ricorso incidentale, affidato a due motivi.

Le questioni

Con riferimento alla quaestio iuris concernente l'applicazione della confisca per equivalente la Corte osservava, in particolare, quanto segue.

Evidenziava anzitutto che, prima della depenalizzazione avvenuta con la legge n. 62 del 2005, il trattamento sanzionatorio dell'illecito era previsto dal previgente art. 180 del d.lgs. n. 58 del 1998, e consisteva nella pena della reclusione fino a due anni e nella multa da venti a seicento milioni di lire. Ai sensi del comma 5 del medesimo articolo, era previsto che “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, è sempre ordinata la confisca dei mezzi, anche finanziari, utilizzati per commettere il reato e dei beni che ne costituiscono il profitto, salvo che essi appartengano a persona estranea al reato”.

Per effetto delle modificazioni introdotte dalla legge n. 62 del 2005, la disciplina sanzionatoria della condotta di abuso di informazioni privilegiate, costituente illecito amministrativo, è ora delineata dall'art. 187-bis, d.lgs. 58/1998. Ai sensi dell'art. 187-sexies del medesimo d.lgs., “1. L'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente capo importa sempre la confisca del prodotto o del profitto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. 2. Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente. 3. In nessun caso può essere disposta la confisca di beni che non appartengono ad una delle persone cui è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria”.

In forza di quanto disposto dall'art. 9, comma 6, l. 62/2005, “Le disposizioni previste dalla parte V, titolo I-bis, del testo unico di cui al decreto legislativo 28 febbraio 1998, n. 58 (e tra queste quella di cui all'art. 187-sexies), si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge che le ha depenalizzate, quando il relativo procedimento penale non sia stato definito. Per ogni altro effetto si applica l'articolo 2 del codice penale (…)”.

Osservava, quindi la Corte, che, in questo contesto normativo, la CONSOB, chiamata a condurre il procedimento amministrativo per effetto della intervenuta depenalizzazione dei fatti oggetto del giudizio, risalenti al 2002, ha ritenuto sussistente l'illecito amministrativo contestato e ha applicato la sanzione amministrativa pecuniaria nella misura di 787.000,00 euro, nonché la sanzione accessoria della confisca per equivalente, come imposto dal citato art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005.

Il Supremo Consesso continuava, precisando che in relazione alla natura di tale sanzione accessoria la ricorrente ha prospettato la illegittimità costituzionale delle disposizioni che ne impongono la applicazione anche a fatti commessi prima della entrata in vigore della legge che la ha prevista. La premessa da cui muove la ricorrente è che la confisca per equivalente abbia natura non di misura di sicurezza con finalità preventive, ma di misura di sicurezza con connotati sostanzialmente sanzionatori afflittivi, sicché la stessa non potrebbe trovare applicazione se non con riguardo a illeciti amministrativi commessi dopo la entrata in vigore della l. 62/2005; essa sarebbe quindi inapplicabile nel caso di specie, in quanto i fatti contestati sono stati commessi nel 2002.

La pretesa della ricorrente di affermare la non applicabilità, nel caso di specie, della confisca per equivalente di cui all'art. 187-sexies, trova, ad avviso della Corte, un ostacolo letterale insuperabile nella richiamata disposizione di cui all'art. 9, comma 6, l. 62/2005, il quale espressamente prevede l'applicabilità delle disposizioni della parte V, titolo l-bis, del d.lgs. 58/1998 anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della legge che le ha depenalizzate, quando il relativo procedimento penale non sia stato definito.

Appare dunque evidente, per il Supremo Collegio, che la prospettata questione dì legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 187-sexies del d.lgs. 58/1998 e dell'art. 9, comma 6, l. 62/2005, non può essere superata attraverso una interpretazione costituzionalmente o convenzionalmente orientata, come ipotizzato dalla ricorrente, ed è quindi rilevante ai fini della decisione che la stessa era chiamata ad assumere.

Evidenziava, altresì, il Collegio che la questione di incostituzionalità prospettata è anche non manifestamente infondata.

E' infatti esatta – secondo la Corte - la premessa interpretativa dalla quale muove la ricorrente, e cioè che la confisca per equivalente ha un contenuto sostanzialmente afflittivo; con la conseguenza che essa non può trovare applicazione in via retroattiva, stante il divieto stabilito dagli artt. 25 Cost. e 7 CEDU.

La soluzione, peraltro, ad avviso del Collegio, non muterebbe nemmeno in considerazione del fatto che, nella specie, la confisca per equivalente è prevista quale sanzione accessoria per un illecito amministrativo; tenuto conto della costante giurisprudenza espressa, sul punto, dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo (ex plurimis, sentenza Grande Stevens c. Italia). Accertata, dunque, la natura afflittiva della confisca per equivalente - continua la Corte - la disposizione di cui all'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, che ne impone l'applicazione anche a fatti commessi prima della sua entrata in vigore, appare in contrasto con gli artt. 3, 25, secondo comma e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 della CEDU.

In conclusione, ad avviso della Corte, va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 187-sexies del d.lgs. n. 58 del 1998 e dell'art. 9, comma 6, della legge n. 62 del 2005, in rifermento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 della CEDU, nella parte in cui prevedono che la confisca per equivalente, introdotta per gli illeciti di cui alla parte V, titolo I-bis, del testo unico di cui al medesimo d.lgs. n. 58 del 1998, si applica anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della legge n. 62 del 2005, che le ha depenalizzate, quando il relativo procedimento penale non sia stato definito.

Osservazioni

La soluzione interpretativa prospettata dalla Corte appare senz'altro condivisibile, poiché è chiaramente in linea con gli approdi ermeneutici ormai consolidati tanto nella giurisprudenza domestica (di legittimità e costituzionale), quanto in quella sovranazionale (Corte EDU e Corte di Giustizia dell'Unione Europea).

In effetti, tre sono i punti che sostengono la correttezza del percorso imboccato dalla Corte di Cassazione.

In primis, è dato ormai pacifico che la confisca per equivalente, quale che sia il terreno ove attecchisca (penale o amministrativo), abbia di fatto natura afflittiva-sanzionatoria, mirando a produrre effetti retributivi e general-preventivi, tipici della sanzione penale.

Tale conclusione, d'altronde, è ampiamente condivisa dal Giudice di legittimità e dalla Corte Costituzionale.

In particolare, sono anzitutto le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione a ritenere che la confisca per equivalente, “costituendo una«forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti», viene ad assumere un carattere preminentemente sanzionatorio” (Cass. S.U. 25 ottobre 2005, n. 41936, rv 232164).

Le conclusioni della giurisprudenza di legittimità affondano, d'altronde, le proprie radici in eguali arresti della Consulta, che in più occasioni ha dimostrato di ritenere le diverse ipotesi di confisca non quali misure di sicurezza, bensì come vere e proprie sanzioni penali. È il caso della confisca prevista dall'art. 186 c.d.s. (sentenza n. 196/2010), nonché proprio della confisca per equivalente (sentenza n. 97/2009), che la Corte ha ritenuto non potesse essere applicata in via retroattiva, ai sensi dell'art. 200 c.p., proprio per la sua connotazione sanzionatoria.

Gli approdi della giurisprudenza nazionale sono poi perfettamente collimanti con le sentenze della Corte Europea dei diritti dell'uomo, la quale, in più occasioni, ha avuto modo di propugnare un approccio sostanzialistico alla nozione di sanzione penale; facendovi rientrare, pur a dispetto dell'etichetta utilizzata dall'ordinamento interno, tutte le misure ad evidente vocazione punitiva. A tal proposito, pare sufficiente richiamare i c.d. “Engel criteria” (elaborati in seno al leading case, Engel c. Olanda, 8 giungo 1976), stabiliti per verificare la natura penale di un illecito e della connessa sanzione: a) qualificazione giuridico-formale; b) natura dell'illecito; c) natura e gravità della sanzione. Alla luce dei predetti criteri, quindi, la Corte EDU ha riconosciuto alla confisca genus di “pena” ai sensi dell'art. 7 CEDU; rilevando come tale misura non tenda alla riparazione pecuniaria di un danno, ma si ponga obiettivi preventivi e repressivi; funzioni queste che appartengono tipicamente alle sanzioni penali (sentenza Sud Fondi c. Italia, 20 gennaio 2009).

A ciò si aggiunga, come sottolineato anche dalla ordinanza in commento, che la Corte EDU, con la sentenza Grande Stevens c. Italia, ha espressamente qualificato come penale l'illecito amministrativo previsto dall'art. 187-bis, d.lgs. n. 58/1998, in ragione della afflittività sia della sanzione comminata, sia della confisca per equivalente che ad esso accede.

Il granitico quadro giurisprudenziale trova, infine, pieno sostegno nella prevalente dottrina (ex multis; QUINTAVALLE, Sequestro per equivalente dei beni della persona giuridica per reati tributari commessi a suo vantaggio, in Il Fisco, n. 12, 2012, p. 3278).

Il secondo punto nodale della decisione in commento, è strettamente collegato al primo e ne rappresenta il necessario corollario logico-giuridico.

Essendo la confisca per equivalente una sanzione di carattere sostanzialmente penale, infatti, deve necessariamente conformarsi al principio di legalità (sub specie irretroattività), consacrato sia dall'art. 25, comma 2, Cost., sia dall'art. 7 CEDU. Norma, quest'ultima, che la Corte EDU interpreta in favor rei, tanto da estenderla, nonostante il testo letterale non ne faccia parola, anche alla possibilità di applicare retroattivamente la c.d. lex mitior (cfr., ex multis, sentenza Scoppola c. Italia).

Di talché, risulta del tutto evidente che l'applicazione della confisca di cui all'art. 187-sexies d.lgs. n. 58/1998, prevista per l'illecito amministrativo disciplinato dall'art. 187-bis d.l. cit., in relazione a fatti commessi prima dell'entrata in vigore della l. n. 62/2005, che l'ha espressamente introdotta (come stabilito dall'art. 9), rappresenti un chiaro vulnus al principio di irretroattività di cui si discorre.

Infine, il terzo punto che sorregge la scelta di rimettere la questione alla Consulta, è rappresentato dalla impossibilità di interpretare il testo normativo (nella specie l'art. 9, l. 62/2005) in sintonia con le previsioni costituzionali e convenzionali; stabilendo, ictu oculi, detta norma, la retroattività della confisca per i fatti pregressi l'entrata in vigore della novella del 2005.

Tale impossibilità esegetica, dunque, impone, quale unica strada possibile, il rinvio pregiudiziale alla Corte Costituzionale, che resta il solo Organo in grado di sindacare la compatibilità di una disposizione interna, non solo con i principi della Costituzione, ma anche con quelli stabiliti dalla Convenzione EDU; nella duplice prospettiva del confronto tra la previsione domestica e la norma convenzionale (così come interpretata dalla Corte EDU), e tra quest'ultima ed i principi fondamentali della Costituzione (secondo la nota teoria dei c.d. “contro limiti”). Rinvio che opera alla luce degli artt. 10 e 117 Cost., in relazione alla norma convenzionale interposta (rappresentata, nel caso di specie, dall'art. 7 CEDU).

Un'ultima notazione.

La decisione della Seconda Sezione Civile, che come si è detto appare fondata su di un ragionamento ineccepibile, avrebbe potuto, tuttavia, essere diversa; valorizzando, come a breve si dirà, un ulteriore aspetto che, sempre derivante dall'applicazione dei principi convenzionali, avrebbe potuto risolvere, in modo tranchant, la vicenda concreta.

Si è visto, invero, che la ricorrente, prima della sottoposizione, da parte della CONSOB, al procedimento amministrativo per la violazione dell'art. 187-bis d.lgs. n. 58/1998 (culminato con l'irrogazione sia della sanzione di euro 787.000, sia della confisca per equivalente), era già stata sottoposta a processo penale per gli identici fatti commessi nel 2002. Processo poi conclusosi, come rilevato dalla Corte di Cassazione, con una sentenza di proscioglimento (emessa dal Tribunale di Milano il 19 ottobre 2005), in ragione della intervenuta depenalizzazione del delitto, operata con la l. 62/2005.

Ebbene, proprio la celebrazione del processo penale avrebbe potuto imporre la pronuncia di estinzione del procedimento amministrativo, per violazione del principio, sempre di matrice convenzionale, del c.d. “ne bis in idem” sostanziale.

In realtà, non è questa la sede per il necessario approfondimento del tema, perché prenderebbe troppo spazio. È però possibile sottolineare come, proprio la Corte EDU, nella sentenza Grande Stevens c. Italia, citata nell'ordinanza in commento, precisi che nessuno debba essere sottoposto a processo più volte in relazione al medesimo accadimento storico, quale che ne sia la formale qualificazione giuridica; pena, altrimenti, la violazione dell'art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU.

Si consideri, infatti, che il principio convenzionale non tutela il cittadino dalla possibilità di essere condannati due volte; bensì il mero fatto di “essere sottoposti a giudizio due volte”, con riferimento allo stesso fatto materiale (sentenza Lucky Dev c. Svezia, 27 novembre 2014).

Ne deriva, pertanto, che non potrebbe essere invocata la sentenza di proscioglimento emessa dal Tribunale di Milano, al fine di giustificare l'inizio del successivo procedimento amministrativo, instaurato dalla CONSOB; posto che, come già evidenziato, ci si troverebbe comunque al cospetto di un secondo giudizio per il medesimo fatto.

Peraltro, di questa seconda soluzione si rinviene una eco nella stessa ordinanza della Seconda Sezione; laddove si richiamano, ma solo per affermarne apoliticamente la irrilevanza nel caso concreto, “le problematiche concernenti la possibilità della applicazione di una doppia sanzione – amministrativa e penale – per il medesimo fatto a carico del medesimo soggetto”.

Conclusioni

Alla luce di quanto illustrato, è evidente che la decisione della Corte appaia corretta, sul piano della coerente applicazione del principio di legalità, così come declinato in Costituzione e nella Convenzione EDU, in ottemperanza ai canoni garantistici e di civiltà che ispirano gli Ordinamenti interno e sovranazionale.

Il nodo interpretativo sottoposto alla Corte Costituzionale risulta, per vero, effettivamente rilevante e pare avere tutte le carte in regola per poter essere sciolto, in senso positivo, dalla Consulta, con una declaratoria di incostituzionalità.

Interessante, peraltro, è il caso concreto scrutinato dalla Seconda Sezione, per le molteplici implicazione che ne conseguono, anche con riferimento al diverso principio del divieto di un secondo giudizio in ordine allo stesso fatto. Principio che avrebbe potuto chiudere la vicenda esaminata dalla Corte, senza necessità di investire della questione il Giudice delle leggi.

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