Scissione asimmetrica: il problema del consenso unanime

Enrico Civerra
29 Ottobre 2015

Si sta progettando una scissione di una società con costituzione di una newco. L'operazione è di tipo asimmetrico in quanto solo ad un gruppo di soci della scissa verranno assegnate le quote della beneficiaria. Il capitale della scissa resterà nelle mani dei soli soci non assegnatari delle partecipazioni della newco. La norma di riferimento chiede il consenso unanime di tutti i soci. Quale struttura potrebbe avere il progetto di scissione per favorire il buon esito dell'operazione?

Si sta progettando una scissione di una società con costituzione di una newco. L'operazione è di tipo asimmetrico in quanto solo ad un gruppo di soci della scissa verranno assegnate le quote della beneficiaria. Il capitale della scissa resterà nelle mani dei soli soci non assegnatari delle partecipazioni della newco. La norma di riferimento chiede il consenso unanime di tutti i soci. Quale struttura potrebbe avere il progetto di scissione per favorire il buon esito dell'operazione?

Innanzitutto occorre osservare che quella proposta è una forma di scissione asimmetrica ammessa dalla dottrina e regolata dall'art. 2506 c.c. Sotto il profilo della tecnica redazionale del progetto di fusione occorre che sia oggetto di ragionamento la sorte dell'operazione in caso di veto posto da un solo socio che, appunto, neghi il consenso. Il progetto potrebbe già prendere posizione su tale eventualità e, per esempio, stabilire la definitiva perdita di efficacia dell'operazione, oppure, in alternativa, potrebbe individuare soluzioni che consentano di procedere ugualmente, mediante la costruzione di situazioni alternative che non presuppongano il consenso unanime.

Gli amministratori potrebbero riconfigurare l'operazione come scissione totale con separazione dei vari gruppi di soci (quindi con una forma “radicale” di scissione non proporzionale disciplinata dall'art. 2506-bis c.c.), riconsegnando le sorti dell'operazione alla decisione della maggioranza.

Tornando, invece, a ragionare sulla scissione c.d. asimmetrica, occorre tenere a mente che il consenso unanime richiesto dall'art. 2506 c.c. non attiene al congegno della formazione della volontà assembleare, ma può formarsi anche al di fuori della riunione, prima o dopo la medesima, a condizione che esso sia formalizzato in modo tale da non lasciare alcun dubbio sulla sua manifestazione. Gli amministratori potrebbero, allora, far precedere il deposito del progetto alla raccolta della manifestazioni di consenso individuale di tutti i soci alla scissione asimmetrica: in tal modo, prima di pubblicizzare il progetto si è già acquisto il necessario consenso e si è raggiunta una posizione di tranquillità sul presupposto fondamentale la cui presenza condiziona la stessa procedibilità della scissione.

Sempre per finalizzare la scissione asimmetrica, alcuni hanno proposto di utilizzare un meccanismo di formazione del consenso individuale fondato su una sorta di silenzio assenso: quando il socio sia stato sollecitato individualmente a manifestare la propria volontà, il silenzio protratto per un certo periodo potrebbe essere inteso quale consenso tacito. Sotto certi aspetti, questa impostazione può avere grande utilità quando si debba gestire lo strumento della scissione asimmetrica in società a vasta base azionaria.

Paventando il rischio che la scelta (anche non razionale) di un socio possa impedire l'intera operazione o incanalarla verso esiti diversi da quelli voluti, occorre mettere a confronto tra loro la situazione in cui si trova il socio che, non attivandosi, blocca l'intera operazione e la situazione in cui si viene a trovare il socio che, non attivandosi, perde il diritto alla proporzionalità della propria partecipazione.

Una prima proposta interpretativa che consente di rendere operativa la scissione superando le rigidità che la necessità del consenso individuale (espresso) inevitabilmente arreca all'operazione consiste, come si è visto, in una sorta di riproposizione della tecnica del consenso presunto dei creditori alla liberazione dei soci dalla responsabilità individuale e illimitata per le obbligazioni sociali sorte prima della trasformazione di una società di persone in società di capitali.

L'art. 2500-quinquies, ultimo comma, c.c. afferma che «il consenso si presume se i creditori, ai quali la deliberazione di trasformazione sia stata comunicata per raccomandata o con altri mezzi che garantiscano la prova dell'avvenuto ricevimento, non lo hanno espressamente negato nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione». Se ne ricava, allora, la certezza che il legislatore conosce, nello stesso campo del diritto commerciale, l'istituto del silenzio-assenso, provocato da una comunicazione ad personam rivolta all'avente diritto.

Una diversa proposta – ossia quella di formulare un progetto di scissione con alternative - affida la tutela della posizione individuale ad un meccanismo opzionale innescabile su istanza del singolo socio, informato direttamente dagli amministratori e, poi, anche dalla consultazione del progetto di scissione che recherà tale indicazione operativa.

Si deve prendere atto che non è semplice decidere quale possa essere la conseguenza del silenzio del socio, ma, per evitare il rischio di un'interpretazione forzata del silenzio del socio e di un possibile contenzioso, si possono percorrere strade più sicure. Il progetto potrebbe recare già l'alternativa della riconduzione dell'operazione ad una parziale proporzionalità con una particolarità che potrebbe renderlo appetibile: il mancato consenso individuale comporta automaticamente l'abbandono dell'asimmetricità, ma solo per il socio non consenziente, con la conseguenza di non porre termine alla scissione che potrà proseguire in parte – per il socio non consenziente - con assegnazioni proporzionali e per la restante parte – ossia per i soci che palesano il proprio accordo - in forma asimmetrica.

L'idea di offrire al socio - invece della scelta secca se acconsentire o meno alla scissione asimmetrica - l'alternativa di (re)inalverare la scissione nei canoni della proporzionalità - parziale, perché dovuta solo al socio richiedente - dà uno strumento probabilmente efficace per favorire la prosecuzione ed il buon esito dell'operazione, depotenziando il potere di veto del singolo e, parimenti, attenuando le conseguenze ricavabili da una proporzionalità che presumibilmente sarà a minore impatto di quella ordinaria.

E' chiaro, tuttavia, che l'istanza anche di un solo socio che opti per l'assegnazione proporzionale rischia di frustrare comunque l'intento di procedere ad una netta separazione della compagine sociale. A fronte di quest'ultima proposta, che ovviamente non consente di raggiungere i risultati sperati, non resta altra soluzione che quella che abbiamo già delineato: rivolgere una comunicazione a tutti i soci invitandoli a manifestare consenso o dissenso alla scissione asimmetrica, con l'indicazione chiara che il silenzio protratto per un certo periodo avrà valore di assenso; tale proposta fa, in limine alla scissione - ossia prima ancora che il complesso procedimento sia attivato ed il progetto pubblicato nel registro delle imprese - quella chiarezza che consente agli amministratori di avere la massima certezza di poter procedere con il programma di separazione della compagine sociale ovvero di vederlo destinato al fallimento, con la necessità di dover procedere in forme diverse.

Infine, occorre tenere presente che lo stesso risultato, senza dover passare sotto le forche caudine del consenso individuale potrebbe essere perseguito con una scissione non proporzionale a norma dell'art. 2506-quater, c.c., ossia con la creazione di due newco, ma il rischio in questa fattispecie è quello di dover monetizzare le richieste di disinvestimento dei soci non concordi con l'operazione.