Revoca ingiustificata delle deleghe all'amministratore e risarcimento del danno

Martino Liva
30 Giugno 2016

La delibera con cui il consiglio di amministrazione revoca i poteri conferiti ad uno degli amministratori deve essere assistita da "giusta causa", anche in applicazione analogica dell'art. 2383, comma 3, c.c.; in caso contrario, non costituendo tale revoca un atto di organizzazione insindacabile, deve essere riconosciuto all'amministratore le cui deleghe sono state revocate, il diritto al risarcimento dei danni eventualmente patiti.
Massima

La delibera con cui il consiglio di amministrazione revoca i poteri conferiti ad uno degli amministratori deve essere assistita da "giusta causa", anche in applicazione analogica dell'art. 2383, comma 3, c.c.; in caso contrario, non costituendo tale revoca un atto di organizzazione insindacabile, deve essere riconosciuto all'amministratore le cui deleghe sono state revocate, il diritto al risarcimento dei danni eventualmente patiti.

Il caso

Con la sentenza n. 7587 del 16 marzo 2016, la prima sezione civile della Corte di Cassazione accoglieva il ricorso promosso dagli eredi dell'amministratore delegato di una società cooperativa a responsabilità limitata, cassando con rinvio una decisione della Corte di Appello di Brescia che, accogliendo l'impugnazione proposta dalla società convenuta, aveva ribaltato la decisione del Tribunale di primo grado. La vertenza giudiziale era sorta a seguito della decisione del consiglio di amministrazione della società di revocare - con un anno di anticipo rispetto al triennio inizialmente previsto - le deleghe conferite all'amministratore delegato, per mere dissonanze intervenute tra l'organo consiliare e il delegato - dunque, in assenza di giusta causa - senza corrispondere alcunché a titolo di risarcimento del danno. Il Tribunale di Bergamo adito dal manager, aveva invece statuito un diritto del revocato al risarcimento del danno, quantificato nella somma di danaro corrispondente agli emolumenti non percepiti per l'anticipata interruzione del rapporto di amministrazione.

Al contrario, i giudici della Corte di Appello di Brescia avevano accolto le doglianze della società statuendo che fosse nelle prerogative del Consiglio di Amministrazione revocare - ad nutum, e dunque senza il requisito della giusta causa - le deleghe conferite all'amministratore delegato, non potendosi applicare a tale fattispecie, in via analogica, il principio previsto dall'art. 2383, comma 3, c.c., che prevede il diritto al risarcimento del danno per il caso di revoca dell'amministratore, senza giusta causa, da parte dell'assemblea.

Le questioni

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione si inserisce nell'annoso dibattito giurisprudenziale e dottrinale concernente gli effetti della revoca, senza giusta causa, dei poteri conferiti all'amministratore delegato. Come noto, infatti, il codice civile, all'art. 2383, comma 3, c.c., regolamenta la fattispecie della revoca dell'amministratore da parte dell'assemblea, statuendo che, in assenza di giusta causa, all'amministratore revocato spetta il risarcimento del danno. Al contrario, il legislatore non ha previsto lo stesso principio nel testo dell'art. 2381 c.c., ove si trova disciplinata la possibilità per l'organo amministrativo delle società per azioni di conferire (o meglio, delegare) a un comitato esecutivo o a un amministratore delegato parte delle proprie attribuzioni.

Alla luce di tale lacuna, se nessuno dubita sulla possibilità - per la verità non infrequente - che, durante il mandato, l'organo collegiale possa revocare anzitempo tutti, o parte, dei poteri attribuiti all'organo delegato, esistono molte meno certezze con riguardo agli effetti di tale revoca. Soprattutto nel caso in cui, come quello in esame, la revoca avvenga in assenza di giusta causa.

Per fare luce sul tema, è opportuno, inizialmente brevemente soffermarsi sul rapporto esistente tra organo collegiale delegante e organo delegato. Prima della riforma del 2003, infatti, in ragione di una formulazione codicistica alquanto concisa della disciplina dei rapporti tra delegante e delegato, la dottrina - seppur non univoca - tendeva a ricostruire la posizione dell'amministratore delegato alla stregua di un mandatario del consiglio di amministrazione, con propensione ad inserire la revoca nell'alveo dell'art. 1725 c.c., risultando quindi necessario corrispondere al revocato, in assenza di giusta causa, un risarcimento del danno (O. Cagnasso, Gli organi delegati nelle società per azioni, Torino, 1976, 63). Successivamente, stante la nuova formulazione dell'art. 2381 c.c. (il consiglio delega "proprie attribuzioni" e ne "determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio"), si è fatta strada l'idea del carattere necessariamente sovraordinato dell'organo amministrativo rispetto al delegato. Il primo, infatti, anche quando procede a conferire le deleghe, resterebbe comunque titolare dei suoi poteri amministrativi di cui è unico depositario, rimanendo dunque sovrano nel decidere - in libertà e senza dover corrispondere alcunché - circa le sorti delle deleghe conferite (A. De Nicola, Presidente, comitato esecutivo e amministratori delegati, in Amministratori, a cura di F. Ghezzi, Milano, 2005, 118).

Rispetto a tale dibattito, anche la giurisprudenza - sia ante che post riforma - si è divisa senza che sia possibile riscontrare una posizione univoca. Resta inteso, comunque, che il framework di riferimento entro cui i giudici si sono tradizionalmente mossi consiste nella configurazione della delega come facoltà per uno o più componenti dell'organo amministrativo di esercitare da solo alcuni poteri dell'organo collegiale, nella consapevolezza che il consiglio può sempre impartire direttive ai delegati, avocare a sé il compimento di specifiche operazioni, revocare detti poteri, ovvero attribuirli ad altri (cfr. Cass. Civ. 6 agosto 1962, n. 2402, in Foro it., 1963, I, 1009).

In altri termini, è ravvisabile l'interpretazione giurisprudenziale consolidata secondo cui l'efficacia della delibera di revoca dei poteri all'amministratore delegato non risulta per nulla intaccata (e non potrebbe esserlo stante il tenore letterale dell'art. 2381 c.c.) dalla presenza o assenza dell'enunciazione di una giusta causa quale fondamento di tale decisione di revoca (cfr. Trib. Milano, 26 agosto 2006, in Società, 2007, 1404). Al contrario, la configurazione della giusta causa appare solamente quale un ulteriore circostanza che può aggiungersi alla delibera di revoca, determinando - secondo un indirizzo giurisprudenziale sostanzialmente maggioritario, cui aderisce anche la sentenza della Cassazione in commento - l'esclusione o la possibilità di agire per il risarcimento del danno.

Si badi, come accennato non tutta la giurisprudenza appare allineata in merito all'esistenza di un legame tra presenza di una giusta causa e risarcimento del danno a favore dell'amministratore delegato. Non mancano, infatti, pronunce divergenti che "stressando" il principio della supremazia dell'organo gestorio collegiale, unico depositario dei poteri amministrativi, classificano la delibera di revoca alla stregua di un mero atto di organizzazione interna insindacabile, da cui non può conseguentemente sorgere alcun risarcimento del danno (cfr. Trib. Napoli, 9 gennaio 2002, in Società, 2002, 1274, ove peraltro il Tribunale, pur statuendo il principio richiamato, aveva ravvisato una giusta causa a fondamento della revoca).

Osservazioni

La sentenza in esame rappresenta un nuovo, autorevole, tassello a sostegno della tesi della rilevanza - ai soli fini del risarcimento del danno e non della efficacia della delibera - della giusta causa in caso di revoca delle deleghe da parte dell'organo collegiale nei confronti dell'organo delegato. La decisione, peraltro, appare tutt'altro che irragionevole, e, anzi, ha il merito di ricercare un adeguato contemperamento di interessi tra le diverse esigenze che il caso in esame rappresenta, utilizzando un principio parallelo a quello dettato dal legislatore nell'art. 2383, comma 3, c.c.

Infatti, da un lato appare rispettato il diritto dell'organo delegante, nella sua posizione di organo sovraordinato rispetto al delegato, cui conferisce "proprie attribuzioni" (art. 2381 c.c.), di sciogliere il vincolo che lo lega al soggetto (i.e. amministratore delegato) nei cui confronti ha posto in essere un vero e proprio atto di fiducia. E' innegabile, infatti, che ai fini di un corretto funzionamento dell'organo amministrativo, anche in termini di circolazione dei flussi informativi e condivisione di scelte e opportunità di business, debba sussistere in maniera continuativa ed ininterrotta il rapporto fiduciario tra delegante e delegato, con facoltà da parte del primo di spezzare il legame, laddove la fiducia sia venuta meno.

Dall'altro lato, tuttavia, la decisione in questione tutela anche il diritto dell'amministratore delegato alla stabilità del rapporto lavorativo, instaurando un vero e proprio principio di imputabilità delle responsabilità. In altri termini, mediante il riconoscimento al diritto al risarcimento del danno, appare in qualche modo tutelato - per lo meno a livello economico - il manager che si trovi costretto a interrompere la propria attività per una decisione altrui, derivante da un fatto a lui non imputabile (cfr. Trib. Milano 12 maggio 2010, in Giur. It, 2011, 120). Aspetto, quello relativo alla tutela della stabilità del rapporto, che appare non secondario anche alla luce del fatto che la prassi, per quanto concerne l'attività dell'amministratore delegato, generalmente conosce non solo una delibera di attribuzione di deleghe da parte del consiglio di amministrazione ma anche la sottoscrizione di un vero e proprio contratto di amministrazione. Documento, quest'ultimo, che completa il quadro di riferimento dell'attività del manager, caratterizzata quale vera e propria attività a termine, impegnativa e remunerata, "suscettibile di valutazioni e considerazioni professionali in un ambito riconducibile al mercato dei manager" (così la sentenza in commento).

Conclusioni

Il tema della tutela economica e reputazionale dell'amministratore delegato revocato in assenza di giusta causa traspare, come accennato, nella sentenza della Corte di Cassazione in esame, e appare uno degli aspetti più peculiari e interessanti della decisione. Infatti, i giudici di legittimità, pur senza minare il principio della libertà e discrezionalità del consiglio di amministrazione nella propria decisione di attribuire e revocare deleghe ai soggetti delegati, hanno ravvisato un concorrente diritto dell'amministratore delegato - si badi, in caso di revoca delle deleghe senza giusta - al risarcimento del danno (in applicazione analogica dell'art. 2383, comma 3, c.c.) a tutela non solo della sua posizione economica e ma anche di quella sociale e reputazionale. Difficile (ma improbabile) prevedere se, in ragione di tali argomentazioni della Cassazione, si possa creare uno spiraglio in sede di nuovo giudizio di appello per provare ad estendere il quantum di risarcimento al revocato, che per granitica giurisprudenza consiste nel solo ammontare che gli sarebbe spettato sino alla fine naturale inizialmente pattuita del rapporto di amministrazione.

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