L'amministratore plurisocietario nei gruppi

31 Maggio 2016

La prassi commerciale di nominare quale amministratore delle diverse società appartenenti al gruppo il medesimo soggetto, onde garantire rapidità nell'esecuzione delle azioni strategiche, flusso costante di informazioni e contenimento dei costi, comporta rilevanti problematiche giuridiche con riferimento al ruolo e alle responsabilità dello stesso. Si analizzeranno il ruolo e i doveri dell'amministratore plurisocietario nei gruppi di società, con particolare riferimento al conflitto di interessi e alla disciplina sulla direzione e coordinamento. Si analizzeranno, inoltre, la disciplina sugli obblighi informativi degli amministratori nei gruppi di società e le correlative responsabilità.
Introduzione

Nella moderna economia di scambio l'attività d'impresa, soprattutto quando raggiunga dimensioni considerevoli, tende a organizzarsi in una pluralità di società che operano sotto la direzione di una capogruppo che ne assicura la direzione unitaria, strategica e finanziaria.

Tale strutturazione comporta il vantaggio di permettere di frazionare il rischio d'impresa, garantendo al gruppo, unitariamente considerato, di operare in diversi settori di attività o nei differenti livelli del processo produttivo.

Il controllo e la direzione strategica unitaria della capogruppo sulle diverse società eterodirette potranno attuarsi anche attraverso la nomina dei medesimi soggetti quali amministratori delle varie società del gruppo.

La Riforma, prendendo atto dell'organizzazione dei gruppi societari, detta, agli artt. 2497 c.c. ss., una serie di norme che disciplinano la responsabilità degli enti nell'ambito dell'attività cosiddetta di «direzione e coordinamento» (F. Galgano, Responsabilità degli amministratori della società controllata, in Il Fallimento, 1995, 5, 1995, secondo il quale anche prima della riforma del 2003 la responsabilità diretta della società capogruppo e dei suoi amministratori, per i danni causati ai soci e ai creditori della società controllata, veniva ricondotta alla clausola generale di cui all'art. 2043 c.c.).

Essa, lungi dal modificare o almeno codificare il sistema di controllo dei gruppi, si limita a conclamarne l'esistenza, cercando di porre rimedio ad alcune sue perversioni.

Indipendentemente dall'appartenenza di una società a un gruppo, l'origine della responsabilità degli amministratori risiede nei doveri disciplinati dal codice civile e l'eventuale sudditanza dell'amministratore nei confronti dell'assemblea - o di altri soggetti - non può, in linea di principio, essere considerata un'esimente per i comportamenti che possano nuocere alla società che amministra (V. Salafia, Profili di responsabilità degli amministratori di società di capitali, in Società, 2005, 11, 1336).

L'attività di direzione e coordinamento non si risolve però necessariamente in danno della società eterodiretta. Anzi, nella maggior parte dei casi, le direttive del gruppo giovano alla società eterodiretta, che potrà beneficiare dei vantaggi delle economie di scala e delle sinergie positive derivanti dall'appartenenza a un sistema.

Gli amministratori delle società soggette a direzione e coordinamento hanno però l'obbligo di verificare la correttezza delle direttive impartite, affinché esse non siano pregiudizievoli per la società da essi amministrata (I. Fava, I gruppi di società e la responsabilità da direzione unitaria, in Società, 2003, 9, 1199).

Pur in caso di direttive confliggenti con gli interessi particolari della società eterodiretta, gli amministratori della stessa potrebbero essere spinti a eseguire tali disposizioni nel timore di perdere consenso all'interno del gruppo.

In ogni caso, l'apparente svantaggio subito dalla singola società potrebbe non essere in concreto pregiudizievole, ad esempio perché i vantaggi derivanti dai rapporti tra le varie società del gruppo possono essere tali da colmare gli svantaggi della singola operazione (Cass., 24 agosto 2004, n. 16707, secondo cui «nel valutare il danno cagionato alla singola società dai suoi amministratori occorre tener conto dei vantaggi compensativi ad essa derivanti dall'appartenenza al gruppo, ma l'onere di allegare, e di provare, i benefici indiretti connessi al vantaggio da ciò derivante, e la loro idoneità a compensare gli effetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta, grava sugli amministratori, convenuti con l'azione di responsabilità sociale»).

È altresì necessario considerare il rischio di rallentare il processo decisionale in danno delle esigenze strategiche del gruppo medesimo e di conseguenza anche delle singole società eterodirette.

Per ovviare a tale dicotomia e non violare il proprio immanente dovere di diligenza, l'amministratore della società eterodiretta, pur nel caso in cui decida di non disattendere le direttive impartite, dovrebbe avanzare proposte per adattare le direttive ricevute alle esigenze e agli interessi della società da lui amministrata.

Come detto, l'esistenza di un amministratore plurisocietario, inoltre, non si risolve necessariamente in conseguenze negative. La presenza dello stesso amministratore può garantire, infatti, la necessaria rapidità nell'esecuzione delle azioni strategiche del gruppo e un flusso costante di informazioni tra la società controllante e le varie società controllate.

Come si potrà intuire da quanto sopra, in un sistema che premia giustamente e coerentemente il ruolo attivo e scevro da pressioni dell'amministratore societario, ponendo in capo allo stesso rilevanti responsabilità, l'amministratore plurisocietario di diverse società appartenenti a un gruppo si trova costantemente in una situazione di conflitto di interessi potenziale.

Si pone dunque il problema di capire quali siano il ruolo, i doveri e le correlative responsabilità dell'amministratore plurisocietario nei gruppi di società.

Gli amministratori plurisocietari nei gruppi e la Riforma

In questa analisi prenderemo quale riferimento la figura dell'amministratore della società per azioni invitando il lettore a tenere in considerazione il fatto che alcuni principi generali valgono generalmente in tema di amministrazione delle società di capitali.

A norma dell'art. 2380-bis, comma 1, c.c., gli amministratori gestiscono l'impresa e compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale.

L'amministratore deve adempiere i propri obblighi (imposti dalla legge o dall'atto costitutivo) con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle specifiche competenze, secondo quanto previsto dall'art. 2392 c.c.

E invero l'amministratore, verso le singole società che amministra, qualora venga meno ai doveri fissati dalla legge o dall'atto costitutivo, sarà responsabile di tale inadempimento (V. Salafia, L'azione di responsabilità contro gli amministratori nelle società di capitali, in Le Società, 2008, 2, 162).

In particolare l'inadempimento, fonte di responsabilità, sarà ravvisabile in ogni abuso, arbitrio o omissione degli amministratori medesimi, che si traducano in un pregiudizio per il patrimonio della società.

È di comune percezione come, qualora egli agisca contemporaneamente quale amministratore di più società legate da situazioni di controllo, tali doveri possano essere astrattamente antitetici.

L'amministratore plurisocietario ha il dovere di proteggere gli interessi delle società che amministra e contemporaneamente, nei casi in cui l'interesse del gruppo si avvicini o coincida con l'interesse della singola società, ha il dovere mediato di proteggere anche gli interessi del gruppo.

L'organizzazione del gruppo, infatti, implica la necessità di contemperare le esigenze strategiche e finanziarie del gruppo con il rispetto dell'autonomia giuridica delle singole società che appartengono al gruppo medesimo.

Come anticipato, nel nostro ordinamento una constatazione formale di questo rilevante fenomeno, è avvenuta con l'introduzione degli artt. 2497-2497-septies nel capo IX del titolo V, del libro V del Codice Civile.

Prima della novella del 2003, una timida disciplina dei gruppi fu introdotta nell'ambito della legge sull'amministrazione delle imprese in crisi (cfr. Legge. 3 aprile 1979, n. 95, mod. dal D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270), attraverso la quale il legislatore si limitava ad attribuire rilevanza ai danni che potevano essere causati da un disegno unitario, prevedendo una forma di responsabilità solidale tra gli amministratori delle diverse società.

Detto in altri termini, l'abuso di direzione unitaria si attuava quando gli amministratori della società controllante, sulla base della loro influenza dominante, imponevano direttive pregiudizievoli per la società eterodiretta.

Lungi dunque dal dettare una riforma organica dei sistemi di amministrazione e controllo dei gruppi societari, anche il legislatore del 2003 si è limitato al riconoscimento formale dell'attività di direzione e coordinamento (G. Sbisà, Sui poteri della capogruppo nell'attività di direzione e coordinamento, in Contratto e Impresa, 2011, 2, 369).

Doveri degli amministratori plurisocietari e il conflitto di interessi

Nella pratica si possono verificare spostamenti di ricchezza tra le varie società del gruppo idonei a creare danni in capo ai soci di minoranza della società sacrificati sull'altare dell'interesse del gruppo.

Anche qualora le varie società del gruppo siano detenute dai medesimi soci, tali spostamenti di ricchezza possono creare un pregiudizio in capo ai creditori della società che subisce il peso economico della scelta del gruppo.

Tali operazioni, in sé pregiudizievoli per una o alcune delle società del gruppo, possono trovare una giustificazione nella politica d'insieme del gruppo e nei benefici indiretti che anche la società che subisce il sacrificio economico trae dall'appartenenza al gruppo.

Per evitare che una siffatta giustificazione possa diventare una comoda scappatoia per legittimare pratiche disinvolte, la giurisprudenza ha evidenziato come l'esistenza di vantaggi compensativi non possa essere dedotta in termini meramente ipotetici ma debba invece essere fornita concretamente la prova di tali vantaggi (Cass. Civ., 24 agosto 2004, n. 16707 in Giur. It., 2005, 69, con nota di Weigmann).

Su tale aspetto si innesta il tema dei doveri e del conflitto di interessi in capo all'amministratore plurisocietario, il quale, secondo chi scrive, ha l'obbligo di perseguire gli interessi delle società amministrate e contemporaneamente di tener presente l'interesse del gruppo.

Al fine di dare opportuno risalto a questo fenomeno, il legislatore della Riforma ha stabilito alcuni obblighi pubblicitari per garantire la trasparenza nei rapporti infragruppo (cfr. art. 2497-bis c.c.).

La ratio della disposizione in esame è di rendere conoscibile ai terzi, che entrano in contatto con le varie società appartenenti al gruppo, il fatto che la società sia soggetta all'altrui potere di direzione e coordinamento. In tal modo i terzi potranno valutare l'incidenza e gli effetti di tale soggezione.

Il concetto di trasparenza è dunque molto caro al legislatore, che ha altresì mutato le previsioni sul conflitto di interessi degli amministratori, cercando di promuovere una gestione limpida di tale conflitto (cfr. art. 2391 c.c.).

Il tema del conflitto di interessi si ripercuote energicamente nel ruolo e nelle responsabilità dell'amministratore plurisocietario. Anzi, si potrebbe arrivare a sostenere che, l'amministratore plurisocietario operi in una situazione di conflitto di interessi latente e perenne.

Anche nell'ambito delle norme sull'attività di direzione e coordinamento il legislatore si preoccupa di perseguire tale trasparenza, prevedendo l'obbligo dell'amministratore di indicare, nella relazione sulla gestione, i rapporti e gli effetti derivanti dall'attività di direzione e coordinamento (cfr. art. 2497-bis, comma 5, c.c.).

Inoltre, all'art. 2497-ter c.c., ha previsto un generale obbligo di motivazione delle operazioni «influenzate» dalla società capogruppo.

Come osservato da altri (A. Valzer, Il potere di direzione e coordinamento di società tra fatto e contratto, in Il nuovo diritto delle società, Abbadessa, Portale (a cura di), Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Milano, 2007, 860), l'art. 2391 c.c., nel disciplinare il conflitto di interessi, stabilisce l'obbligo in capo all'amministratore di informare gli altri amministratori del suo particolare interesse in una data operazione e l'obbligo del consiglio di amministrazione di motivare le ragioni e la convenienza per la società di tale operazione.

L'obbligo di cui all'art. 2497-ter c.c. non fa riferimento alle ragioni di convenienza di una data operazione per la società singolarmente considerata, ma al modo in cui le scelte strategiche della società eterodiretta siano state influenzate dalla società che svolge attività di direzione e coordinamento, nonché agli interessi - in questo caso del gruppo totalmente considerato e non degli amministratori - che abbiano influenzato le decisioni. Pur non sussistendo un obbligo formale in capo agli amministratori di devolvere la questione al consiglio di amministrazione, dalla lettura del combinato disposto dei due articoli citati, riteniamo che anche per quanto concerne l'art. 2497-ter c.c. esista l'obbligo per l'amministratore «interessato» di devolvere la questione al consiglio di amministrazione.

Posta in questi termini, la pur blanda linea di confine tra le due fattispecie potrebbe essere ricercata nel fatto che, mentre l'art. 2391 c.c. si occupa della «convenienza per la società», l'art. 2497-ter c.c., si limita a richiedere una puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi (A. Valzer, Il potere di direzione e coordinamento di società tra fatto e contratto, op. cit., 860).

Tale diversa impostazione emerge dal combinato disposto degli artt. 2380-bis e 2392 c.c., che affidando la gestione dell'impresa all'amministratore e stabilendo correlativamente il metro per poterne valutare l'operato, devolve alla discrezionalità di quest'ultimo la valutazione se una data operazione nell'ambito del gruppo sia o meno vantaggiosa per la società e comunque di valutare discrezionalmente l'importanza delle ragioni e degli interessi sottesi a quella data scelta.

La giurisprudenza, infatti, ha precisato come il conflitto di interessi nei gruppi di società assuma rilievo «solo qualora sia concretamente idoneo ad arrecare un danno alla società» (Trib. Verona, 13 luglio 2007, in Le Società, 2008, 11, 1385).

Infatti, ai fini dell'eventuale responsabilità dell'amministratore, rileverà la violazione del canone di diligenza richiesto dall'art. 2392 c.c. È opportuno tenere sempre in considerazione che gli amministratori sono liberi di gestire la società in maniera discrezionale e che le scelte gestionali soggiacciono alla business judgement rule che preclude al giudice la valutazione di tali scelte di pura gestione, ovviamente laddove effettuate con la necessaria diligenza (Trib. Milano, 17 giugno 2011, in Le Società, 2011, 9, 1099).

Alla base della norma sul conflitto di interessi di cui all'art. 2391 c.c., la contrapposizione tra l'interesse del singolo amministratore e la «convenienza» per la società a che quella data operazione sia eseguita, assume ruolo preponderante.

Infine, l'art. 2497-bis c.c., nel prevedere l'obbligo in capo agli amministratori di motivare le scelte dettate dalla politica unitaria del gruppo, pone l'ulteriore problema di capire quali siano le operazioni che necessitino di una puntuale motivazione scritta.

Soprattutto nei gruppi a forte integrazione, dove le stesse persone amministrano diverse società, la messa in atto delle strategie di gruppo richiede una rapidità che mal si concilia con il generalizzato obbligo di motivazione.

La soluzione più razionale sarebbe quella di prevedere tale obbligo di motivazione limitatamente a operazioni che, qualitativamente e quantitativamente, assumano un certo rilievo per la società sottoposta all'obbligo di motivazione. Tale impianto razionale si scontra però con un dettato codicistico che sembra propendere per una soluzione più rigida.

La responsabilità degli amministratori plurisocietari

Considerando quando detto, l'inadempimento dell'amministratore plurisocietario rileverà almeno sotto un duplice profilo: risponderà dunque delle violazioni ai doveri previsti dagli artt. 2393 - 2395 c.c. (oltre a tutte le altre norme che prevedano doveri specifici) e, laddove prenda parte al fatto lesivo, anche dei danni derivanti dall'attività di direzione e coordinamento (Cfr. artt. 2479, 2479-bis e 2479-ter c.c.).

La responsabilità nella gestione delle singole società

Come detto nei paragrafi precedenti, gli amministratori plurisocietari hanno un generale obbligo nei confronti delle singole società amministrate di «adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico e dalle loro specifiche competenze», secondo quanto previsto dall'art. 2392 c.c.

La valutazione sull'eventuale responsabilità giuridica non attiene, però, al merito delle scelte economico-gestionali, che sono, per loro natura, insindacabili (sul punto Trib. Milano Sez. VIII, 10/02/2010, in Giur. It., 2010, 12, 2555, secondo cui «il giudizio sulla diligenza dell'amministratore non può investire le scelte di gestione, ma solo l'omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità»).

Si avrà, invece, responsabilità in tutti i casi in cui l'amministratore violi i doveri imposti dalla legge o dall'atto costitutivo. È evidente allora che il canone della diligenza sarà non solo il parametro per valutarne la condotta, ma anche oggetto dell'obbligazione gravante sugli amministratori.

In particolare, l'art. 2393 c.c. prevede che «L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell'assemblea, anche se la società è in liquidazione».

La Riforma ha poi stabilito la possibilità, per una minoranza qualificata dei soci, di esercitare l'azione di responsabilità (Cfr. art. 2393-bis c.c.).

Per completezza espositiva si deve evidenziare come l'azione in esame può essere esperita entro cinque anni dalla cessazione dell'amministratore e che essa può essere oggetto di transazione o di rinuncia, non ammettendosi comunque una rinuncia anteriore ai fatti di «mala gestio» (Trib. Milano, 2 dicembre 2005, in Le Società, 2006, 12, 1525).

Quanto all'onere probatorio, trattandosi di inadempimento contrattuale, la società (art. 2393 c.c.) o i singoli soci (art. 2393-bis c.c.) potranno limitarsi ad allegare l'inadempimento dell'amministratore ai suoi obblighi. Sarà quest'ultimo che avrà l'onere di dimostrare che il fatto causativo del danno non sia a lui imputabile, secondo i criteri generali di cui all'art. 1218 c.c. (V. Salafia, Profili di responsabilità degli amministratori di società di capitali, op. cit, 2005, 11, 1336).

Considerando il nuovo ruolo dell'amministratore con la Riforma, è ben possibile che lo stesso socio che ha esercitato pressioni sull'amministratore della società eterodiretta, si risolva a deliberare una causa di responsabilità contro lo stesso amministratore che ha eseguito le direttive del gruppo. A nostro parere, in tal caso, il socio stesso dovrebbe rispondere di tali azioni ai sensi e per gli effetti dell'art. 2497, comma 2, c.c., ma resta in dubbio se nell'ambito dell'azione sociale di responsabilità l'amministratore possa eccepire la diminuzione del danno ai sensi dell'art. 1227 c.c., essendo il socio e la società creditrice soggetti distinti.

L'art. 2394 c.c., che disciplina l'azione dei creditori sociali, prevede che essi possano agire nei confronti dell'amministratore, qualora quest'ultimo cagioni con la sua condotta una diminuzione del patrimonio sociale tale da ledere il diritto del creditore al soddisfacimento del suo credito. L'amministratore sarà dunque responsabile della prestazione che la società non è più in grado di adempiere.

Quanto alla natura diretta o surrogatoria dell'azione in esame, si ritiene preferibile optare per la prima tesi, sulla base del tenore letterale della norma e di considerazioni di carattere sistematico.

Infatti, al fine della sussistenza della responsabilità, il patrimonio sociale per effetto del comportamento degli amministratori deve essere totalmente incapiente (Salafia, op. ult. cit., 2005, 11, 1336). La norma in esame stabilisce che «gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale», e che «la rinuncia all'azione da parte della società non impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali».

Quanto all'azione dei creditori, l'amministratore potrebbe qui eccepire, a nostro parere, la diminuzione del danno ai sensi dell'art. 1227 c.c., nel caso in cui il creditore sia una società appartenente al gruppo che abbia in qualche modo concorso con la condotta illecita degli amministratori.

La responsabilità per l'attività di direzione e coordinamento a confronto con le azioni ex artt. 2393 - 2394 c.c.

L'art. 2497 c.c. prevede, accanto alla responsabilità delle società che abbiamo esercitato l'attività di direzione e coordinamento, la responsabilità solidale di coloro che abbiano «preso parte al fatto lesivo» e, nei limiti del vantaggio conseguito, di chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.

Rientrando tra le attribuzioni esclusive dell'organo amministrativo l'esercizio del potere di gestione, il risultato negativo dell'attività di direzione e coordinamento potrà essere imputato anche agli amministratori.

Si avrà dunque responsabilità degli amministratori plurisocietari per attività di direzione e coordinamento, qualora l'amministratore (a parere di chi scrive sia della società esercitante direzione e coordinamento sia della società eterodiretta) abbia preso parte all'atto lesivo, arrecando un pregiudizio alla «redditività ed al valore della partecipazione sociale» (azione del socio) o arrecando una lesione «all'integrità del patrimonio della società» (azione del creditore): cfr. G. Scognamiglio, Danno sociale e azione individuale nella disciplina della responsabilità, in Il nuovo diritto delle società, Abbadessa, Portale (a cura di), Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Milano, 2007, 953.

Si potrà escludere, secondo la teoria dei vantaggi compensativi, la responsabilità dell'amministratore quando l'apparente sacrificio imposto alla società controllata e a vantaggio del gruppo, si risolva per tale società in un vantaggio per il fatto di appartenere al gruppo e quindi l'azione dell'amministratore sia informata a una corretta gestione imprenditoriale (R. Rordorf, I gruppi nella recente riforma del diritto societario, in Le Società, 2004, 5, 538).

Si deve distinguere a seconda se l'azione di responsabilità sia promossa dal socio ovvero dal creditore della società controllata.

I soci, come visto, potranno agire nei confronti dell'amministratore plurisocietario sia attraverso l'azione di cui all'artt. 2393 e 2393-bis c.c., sia attraverso l'azione di cui all'art. 2497 c.c.

Per quanto attiene al danno lamentato dai soci, bisogna in primo luogo verificare se i termini «redditività» e «valore della partecipazione sociale» utilizzati nell'art. 2497 c.c. siano o meno sinonimi.

La soluzione positiva si può ricavare dal fatto che il valore nominale della partecipazione può essere definito anche come il diritto a realizzare un controvalore in denaro qualora il socio decida di vendere le azioni. Se valutata nella sua accezione letterale di capacità di rendere un utile economico, la nozione di redditività tende a essere ricompresa nella nozione di «valore della partecipazione sociale».

Occorre evidenziare, poi, come l'azione di cui all'art. 2497 c.c., attribuita al socio, sia caratterizzata da alcune peculiarità, rispetto a quella prevista dall'art. 2393-bis c.c.

L'azione ex art. 2497 c.c. è limitata alle ipotesi in cui la condotta abbia cagionato un danno al patrimonio personale del socio, che potrà però agire anche per il risarcimento del danno riflesso. Inoltre i soci agiranno quali sostituti processuali della società controllata, anche se preventivamente dovranno, così come per i creditori (art. 2497, comma 3, c.c.), richiedere il risarcimento del danno alla società.

Il comma in esame non prevede espressamente l'obbligo di agire preventivamente contro la società controllata ma semplicemente stabilisce che l'azione possa esperirsi «solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento».

Sulla base del tenore letterale della norma, potrebbe dunque essere sufficiente anche una richiesta stragiudiziale.

La ratio di tale norma, ad avviso di chi scrive, sarebbe di evitare che il socio agisca nei confronti della società esercente attività di direzione e coordinamento, nei casi in cui il danno lamentato fosse stato risarcito dalla società etero diretta (sul punto: A. Mambriani, Alcune questioni in tema di responsabilità da abuso di direzione e coordinamento nella interpretazione giurisprudenziale, Relazione al Convegno “La riforma del diritto societario nella ‘giurisprudenza delle imprese”, organizzato da giurisprudenzadelleimprese.it e Associazione Disiano Preite, svoltosi a Milano il 26.11.2015).

I creditori avranno invece a disposizione sia l'azione di cui all'art. 2394 c.c., nei confronti della società di cui sono creditori, sia l'azione di cui all'art. 2497 c.c., nei confronti della società esercitante l'attività di direzione e coordinamento.

Diversamente dalla prima azione, dove i creditori dovranno fornire la prova che, in conseguenza della condotta dell'amministratore, si siano affievolite le proprie garanzie e che il patrimonio sociale sia dunque divenuto incapiente rispetto alla loro pretesa (V. Salafia, La responsabilità della holding nei confronti dei soci di minoranza delle controllate, in Le Società, 2003, 2bis,392), l'art. 2497 c.c. individua come presupposto dell'azione dei creditori «la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società».

Da ciò emergerebbe come il creditore possa agire attraverso l'azione di cui all'art. 2497 c.c. anche nei casi in cui vi sia stata, in conseguenza di un'operazione di gruppo, una semplice diminuzione delle garanzie patrimoniali.

Inoltre il creditore che agisca per il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2497 c.c. dovrà provare che la sua richiesta di pagamento alla società controllata sia rimasta insoddisfatta. Diversamente non vi sarebbe alcun danno.

Tutto quanto sopra, con riferimento alla responsabilità dell'amministratore plurisocietario per violazione delle norme su direzione e coordinamento, deve leggersi sempre considerando che «Risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio» (art. 2497, comma 2, c.c.).

La responsabilità dell'amministratore nei confronti dei singoli soci e dei terzi: azioni ex art. 2395 c.c. e art. 2497 c.c.

L'art. 2395 c.c. disciplina l'azione individuale del socio e del terzo che siano stati «direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori».

L'azione in commento si distingue da quelle analizzate nei paragrafi precedenti per i suoi presupposti.

Infatti, al fine di poter esperire l'azione in esame, il danno lamentato dal socio o dal terzo deve prodursi direttamente sul patrimonio del danneggiato e non sul patrimonio sociale.

Detto in altri termini, sarà risarcibile il solo danno immediato e non quelli che costituiscano riflesso di altro danno arrecato al patrimonio della società. Sul punto, Cass. Civ. Sez. I, 23/06/2010, n. 15220, in Danno e Resp., 2011, 1, 23, secondo cui «l'art. 2395 cod. civ. esige, ai fini dell'esercizio dell'azione di responsabilità del socio nei confronti degli amministratori, che il pregiudizio subito dal socio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma gli derivi direttamente come conseguenza immediata del comportamento illecito degli amministratori: pertanto, né l'inattività dell'assemblea, né la perdita del capitale sociale e né l'inadempimento contrattuale posto in essere dall'amministratore integrano, di per sé, i presupposti della disposizione, in quanto la prima inerisce al mero funzionamento degli organi sociali e non comporta necessariamente un danno alla società o al socio, mentre il capitale è un bene della società e non dei soci, i quali dalle perdite subiscono soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione di valore della propria partecipazione, ed, infine, il mancato rimborso della somma presa a mutuo dalla società può comportare la responsabilità dell'amministratore soltanto quando derivi da un illecito colposo o doloso dell'organo nell'inadempimento del mutuo (fattispecie in tema di s.r.l., anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6)».

Non sarà risarcibile, quindi, il danno lamentato dal socio che non abbia prodotto un danno diretto nella sua sfera personale. La nozione di danno diretto assolve infatti la funzione di segnare i limiti della pretesa risarcitoria del socio (V. Pinto, La responsabilità degli amministratori per «danno diretto» agli azionisti, in Il nuovo diritto delle società, Abbadessa, Portale (a cura di), Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Milano, 2007, 920).

Per quanto riguarda la pretesa risarcitoria di eventuali soggetti terzi rispetto alla società, è alquanto improbabile che questi possano lamentare danni riflessi.

L'azione in esame risiede dunque nei seguenti elementi: la sussistenza di un atto illecito degli amministratori, il danno ingiusto, il nesso eziologico, la colpevolezza e l'evento.

Tralasciando la questione se il danno debba essere stato causato dagli amministratori in violazione dei loro obblighi o al di fuori di essi, quello che si vuole analizzare è il rapporto tra questa azione e quella prevista dall'art. 2497 c.c., che permette al socio di agire nei confronti della capogruppo «per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale».

La norma in esame, infatti, prevede che l'azione promossa direttamente dal socio nei confronti della società che esercita l'attività di direzione e coordinamento possa essere esercitata anche al fine di ottenere il risarcimento del danno sofferto (R. Rordorf, I gruppi nella recente riforma del diritto societario, op.cit., 542), intendendosi per danno sofferto, il pregiudizio subito in conseguenza della lesione inferta al capitale sociale per effetto dell'attività di direzione e coordinamento.

Detto in altri termini, il danno subito dal socio sarebbe un riflesso di quello subito dalla società, pur non incidendo direttamente sulla sfera giudica del singolo socio (V. Salafia, La responsabilità della holding nei confronti dei soci di minoranza delle controllate, op. cit.393).

Sulla base di quanto detto, emerge come la disciplina codicistica abbia creato un sistema in cui vi è una disparità di tutela offerta al socio, a seconda che egli agisca contro la società esercitante attività di direzione e coordinamento, nel qual caso avrà diritto al ristoro di tutti i danni anche riflessi, ovvero agisca ai sensi dell'art. 2395 c.c., nel qual caso egli potrà avanzare la propria pretesa solo per il risarcimento dei danni diretti.

A quanto sopra bisogna aggiungere le problematiche scaturenti dall'eventuale concorso tra le due azioni.

Infatti, qualora il socio agisca contro la società controllante, egli potrà chiamare in causa, quale responsabile in solido anche l'amministratore della società esercitante direzione e coordinamento nei limiti previsti della partecipazione dello stesso al fatto lesivo; laddove ci si trovi dinnanzi ad un danno riflesso egli non potrà agire nei confronti dell'amministratore della società eterodiretta ai sensi dell'art. 2395 c.c. poiché impedito dalla norma stessa.

Considerazioni pratiche e proposte di approfondimento

In capo agli amministratori plurisocietari vi sono obblighi giuridici potenzialmente dicotomici e che mal si conciliano con la prassi, ampiamente diffusa, di nominare come amministratore di più società del medesimo gruppo il medesimo soggetto.

Tale discrasia emerge soprattutto con riferimento agli obblighi dell'amministratore plurisocietario.

Egli da un lato, come amministratore della società esercitante direzione e coordinamento, deve agire diligentemente per salvaguardare gli interessi di tale società (che, nel caso di holding non operative, normalmente saranno coincidenti con gli interessi del gruppo unitariamente considerato), mentre dall'altro lato dovrà agire nell'interesse della singola società controllata, con il dovere di astenersi dal compiere azioni pregiudizievoli per quest'ultima.

Tale discrasia - che talvolta può essere superata dalla previsione di cui all'art. 2497 c.c. e, solo con riferimento all'esistenza o quantificazione del danno, dalla teoria dei vantaggi compensativi - porta a sommare in capo al medesimo soggetto una serie di doveri che, almeno astrattamente, potrebbero limitare la sua azione.

Si pensi al fatto che, sulla base dell'art. 2497-bis, comma 5, c.c. e dell'art. 2497-ter c.c., l'amministratore plurisocietario si trova nella situazione di dover motivare due volte le scelte operative e strategiche (la prima in quanto amministratore della società controllante e la seconda in quanto amministratore della società controllata). Tale fatto, mentre non dovrebbe creare alcun problema con riferimento alle decisioni importanti e strategiche o comunque alle operazioni rilevanti per qualità e importi, potrebbe creare notevoli problemi per le piccole scelte di ordinaria amministrazione nelle quali sia comunque presente un conflitto di interessi almeno potenziale.

Tutto ciò si pone in contrasto con la logica stessa che sta alla base della nomina di amministratori plurisocietari all'interno di un gruppo societario: la velocità del flusso informativo e il contenimento dei costi.

Certamente siamo consapevoli dell'incidenza e dell'importanza del fenomeno del conflitto di interessi nell'ambito dei gruppi societari e riteniamo comunque che la novella del legislatore del 2003 abbia, per certi versi, migliorato la situazione preesistente facendo della trasparenza un caposaldo dei doveri degli amministratori.

Forse il legislatore avrebbe dovuto compiere un passo in più verso il raggiungimento di tale trasparenza anche nell'ambito dei gruppi societari, dando rilevanza contrattuale agli atti degli amministratori della capogruppo che abbiano un'incidenza significativa sugli assetti e sulla gestione delle società eterodirette e disciplinando in maniera compiuta (o meglio obbligatoria) le relazioni di gruppo e il contratto di dominio delle società. Sul punto si veda G. Sbisà, Sui poteri della capogruppo nell'attività di direzione e coordinamento, in op. cit., 2011, 2, 387, il quale ritiene che «Il legislatore storico, dunque, non solo ha ripudiato la legittimazione dei contratti di dominio, ma ha escluso la riferibilità dell'art. 2497-septies ai gruppi verticali, attribuendo a questa norma la sola funzione di estendere la disciplina generale dell'attività di direzione e coordinamento alla creazione contrattuale del gruppo paritetico, espressamente ammessa, in materia di cooperative, dell'art. 2545-septies, c.c.. Fenomeno, questo, estraneo alla regolamentazione dei contratti di dominazione, così come disciplinati negli ordinamenti giuridici che li prevedono».

Tale soluzione permetterebbe di intensificare gli obblighi di trasparenza in ambito decisionale, magari limitando la responsabilità degli amministratori per le scelte deleterie o vessatorie imposte dal gruppo, soccorrendo contestualmente le necessità di snellezza delle decisioni e di contenimento dei costi di gestione.

Rilievi conclusivi

In conclusione, si deve evidenziare come la normativa introdotta dal legislatore della Riforma appaia insoddisfacente sotto diversi profili. La prassi commerciale ormai consolidata di nominare la medesima persona quale amministratore nelle varie società appartenenti al gruppo avrebbe richiesto un intervento più deciso e dettagliato, soprattutto con riferimento alla responsabilità degli amministratori e in particolare ai loro doveri di informazione.

La nuova disciplina, invece, lungi dal risolvere queste problematiche ha creato una situazione di incertezza, che potrebbe potenzialmente paralizzare la gestione delle varie società amministrate.

Per tutte le ragioni di cui sopra, si ritiene che, viste le dimensioni del fenomeno, potrebbe essere auspicabile un intervento del legislatore al fine di regolare organicamente le fattispecie delle quali ci siamo occupati.

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