Società di persone irregolari

Francesca Laura Stoppa
07 Marzo 2016

Una società si definisce irregolare quando non sia stato adempiuto l'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese (c.d. irregolarità originaria) ovvero quando abbia proseguito l'esercizio della propria attività imprenditoriale, dopo essere stata cancellata dal pubblico registro (c.d. irregolarità sopravvenuta). Le conseguenze dell'irregolarità si traducono in una parziale modifica della disciplina applicabile: mentre i rapporti interni tra i soci soggiacciono alle disposizioni relative alla società in nome collettivo regolare, i rapporti tra la società e i terzi sono regolati, in linea generale, dalle norme dettate per la società semplice (art. 2297 c.c.). Nondimeno, è possibile ricorrere in qualsiasi momento alla c.d. regolarizzazione della società, che si compie con l'iscrizione tardiva nel registro delle imprese.
Inquadramento

La disciplina attualmente in vigore sancisce l'obbligo di iscrizione nel Registro delle imprese per le società di persone, anche non esercenti attività commerciale.

L'iscrizione delle società semplici si attua nell'apposita sezione speciale ed ha effetti di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, fatta eccezione per quelle esercenti attività agricola la cui registrazione produce, altresì, effetti dichiarativi. La mancata iscrizione di tale tipo di società è priva di conseguenze sia sull'esistenza, sia sulla disciplina ad essa applicabile, salva l'impossibilità per la società di avvalersi dell'efficacia dichiarativa della pubblicità.

Diversamente, le società in nome collettivo e le società in accomandita semplice sono iscritte nella sezione ordinaria con efficacia, di regola, dichiarativa.

La mancata registrazione non impedisce la nascita della società, ma ne determina la c.d. irregolarità. Una società si definisce irregolare quando non sia stato adempiuto l'obbligo di iscrizione nel Registro delle imprese (c.d. irregolarità originaria) ovvero quando abbia proseguito l'esercizio della propria attività imprenditoriale, dopo essere stata cancellata dal pubblico Registro (c.d. irregolarità sopravvenuta).

Le conseguenze dell'irregolarità si traducono in una parziale modifica della disciplina applicabile: mentre i rapporti interni tra i soci soggiacciono alle disposizioni relative alla società in nome collettivo regolare, i rapporti tra la società e i terzi sono regolati, in linea generale, dalle norme dettate per la società semplice (art. 2297 c.c.).

Nondimeno, è possibile ricorrere in qualsiasi momento alla c.d. regolarizzazione della società, che si compie con l'iscrizione tardiva nel Registro delle imprese. Tale procedura non comporta la costituzione di una nuova società, bensì la continuazione di quella già esistente, privata dell'irregolarità con efficacia ex nunc.

Il regime di pubblicità legale delle società di persone (cenni)

Fin dal 1942 il Codice Civile (artt. 2188-2194) ha previsto l'istituzione di un pubblico registro, allo scopo di consentire ai terzi di acquisire informazioni sui dati rilevanti inerenti alle imprese con le quali vengono in contatto, tuttavia è stata soltanto la legge n. 580/1993 (e il relativo regolamento di attuazione D.P.R. n. 581/1995) a provvedere all'introduzione di tale strumento di pubblicità legale, precedentemente garantita dai registri di cancelleria del tribunale. Tra gli enti soggetti all'obbligo di iscrizione nel Registro delle imprese l'art. 2200 c.c. annovera le società di persone commerciali, anche non esercenti attività commerciale.

Più in particolare, la disciplina attualmente in vigore prevede che le società in nome collettivo e le società in accomandita semplice siano iscritte nella sezione ordinaria del registro delle imprese, con efficacia dichiarativa ai sensi dell'art. 2193 c.c. Ciò comporta che i fatti iscritti sono opponibili ai terzi, a nulla rilevando la prova della loro ignoranza, anche se incolpevole, stante l'onere deiterzi di consultare il Registro delle imprese (cd. efficacia positiva dell'iscrizione); al contrario, ciò che non è iscritto non è loro opponibile da chi avrebbe dovuto richiederne l'iscrizione, salva la prova della effettiva conoscenza (cd. efficacia negativa dell'iscrizione).

A tal fine, l'art. 2296 c.c. sancisce in capo agli amministratori l'obbligo di depositare l'atto costitutivo con sottoscrizione autenticata dei contraenti, entro trenta giorni dalla stipulazione, presso l'ufficio del Registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, allo scopo di procedere alla relativa iscrizione; qualora, invece, la stipulazione sia avvenuta tramite un notaio, dovrà essere depositata una copia autentica dell'atto pubblico.

Peraltro, la stipulazione del contratto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata è imposta dalla legge solo ai fini dell'iscrizione nel Registro delle imprese e della regolarità della società. La redazione dell'atto costitutivo di una società in nome collettivo o di una società in accomandita semplice non è assoggettata, infatti, a requisiti formali a pena di invalidità, ferma restando la necessità della forma scritta, a pena di nullità, per il conferimento della proprietà o del godimento ultranovennale o a tempo indeterminato di beni immobili.

Come osservato, obbligati al deposito dell'atto costitutivo sono, anzitutto, gli amministratori della società; l'inadempimento o l'adempimento tardivo di tale obbligo determina, in capo a questi, una duplice responsabilità: l'una di natura privatistica, che consiste nell'obbligo di risarcire i danni recati alla società e ai soci, in conseguenza dell'omissione, l'altra di natura penalistica, che comporta l'applicazione della sanzione dell'ammenda prevista dall'art. 2630 c.c.

Qualora la stipulazione dell'atto costitutivo sia avvenuta tramite un notaio, questi, in caso di inerzia degli amministratori, è considerato dalla legge quale soggetto obbligato al deposito (art. 2296, comma 3, c.c.); anche in tale ipotesi, l'inadempimento del citato obbligo è fonte di responsabilità sia sul piano privatistico, sia su quello penalistico.

Inoltre, ai sensi del comma 2 dell'art. 2296 c.c., nel caso in cui gli amministratori non abbiano eseguito il deposito, ciascun socio può provvedervi direttamente, a spese della società. Nondimeno, tale previsione non deve essere intesa quale fonte di un obbligo, il cui inadempimento determina il configurarsi di una responsabilità in capo al socio, bensì quale norma attributiva di un diritto chetrova giustificazione nell'interesse del socio alla costituzione di una società regolare.

Parte della dottrina reputa che l'iscrizione possa avvenire anche d'ufficio, dal momento che, trattandosi di un'iscrizione obbligatoria, deve ritenersi applicabile l'art. 2190 c.c.; ne consegue che, ove questa non sia stata richiesta, l'ufficio del registro può invitare l'amministratore a farne richiesta entro un congruo termine, decorso inutilmente il quale, il giudice del registro può ordinare l'iscrizione con decreto.

Diversamente, l'iscrizione delle società semplici nel Registro delle imprese non è prevista dal Codice Civile, bensì dall'art. 8, co.5, legge n. 580/1993 che stabilisce che tali società siano registrate in un'apposita sezione speciale ai fini di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, nonché agli effetti previsti dalle leggi speciali. L'efficacia propria della pubblicità notizia consiste nel rendere conoscibile ai terzi i fatti iscritti, senza che possa invocarsi alcuna presunzione di conoscenza nei loro confronti.

Peraltro, in virtù del disposto dell'art. 2 d.lgs. n. 228/2001, che ha modificato la disciplina dell'imprenditore agricolo, l'iscrizione delle società semplici esercenti attività agricola nella sezione speciale del Registro delle imprese produce, altresì, effetti dichiarativi ai sensi dell'art. 2193 c.c.

La domanda di iscrizione della società semplice deve essere presentata dagli amministratori corredata dal contratto sociale; qualora quest'ultimo sia stato stipulato verbalmente, la predetta domanda dovrà essere sottoscritta da tutti i soci (art. 18 D.P.R. 581/1995).

In ogni caso, la mancata registrazione della società semplice nell'apposita sezione non incide né sulla validità del contratto sociale, né sulla disciplina applicabile; essa, invece, preclude alla società la possibilità di avvalersi dell'efficacia dichiarativa nei casi in cui la legge ricollega alla pubblicità legale tale effetto.

La società in nome collettivo irregolare

Nozione

La società in nome collettivo è definita irregolare quando non sia stato adempiuto l'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese (c.d. irregolarità originaria) ovvero quando abbia proseguito l'esercizio della propria attività imprenditoriale, dopo essere stata cancellata dal pubblico Registro (c.d. irregolarità sopravvenuta).

A seconda dell'iter costitutivo che ha portato alla nascita della società, è possibile distinguere tra società irregolari di fatto e società irregolari che non sono anche società di fatto. Quest'ultima sorge quando le parti, in assenza di un patto espresso, scritto o verbale, si comportano come soci, svolgendo in comune un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili. La giurisprudenza ha chiarito, a tal proposito, che società irregolare non è sinonimo di società di fatto, in quanto una società che non sia iscritta nel Registro delle imprese può essere stata costituita sia tramite manifestazioni espresse di volontà (scritte o verbali, fatta eccezione per i casi in cui la legge impone la forma scritta come requisito di validità del contratto sociale), sia per effetto di comportamenti concludenti dei soci che integrino i requisiti di cui all'art. 2247 c.c.; in tale ultimo caso si configurerà una società irregolare di fatto. Inoltre, la società di fatto è assoggettata alla disciplina della società in nome collettivo irregolare soltanto qualora l'attività concretamente esercitata abbia natura commerciale, dovendosi applicare, in caso contrario, le norme dettate per la società semplice.

Da quanto osservato consegue, dunque, che la società in nome collettivo di fatto è necessariamente una società irregolare, atteso che la redazione dell'atto costitutivo in forma scritta costituisce un fondamentale presupposto per l'iscrizione nel Registro delle imprese; al contrario, una collettiva irregolare non sempre è anche una società di fatto, potendo trovare origine in un accordo espresso dei soci.

La disciplina applicabile

La mancata registrazione della società in nome collettivo non produce effetti sull'esistenza di questa, bensì ne determina la c.d. irregolarità, le cui conseguenze si traducono in una parziale modifica della disciplina applicabile: mentre i rapporti interni tra i soci soggiacciono alle disposizioni relative alla collettiva regolare, i rapporti tra la società e i terzi sono regolati dalle norme dettate per la società semplice (art. 2297 c.c.).

Il concetto di irregolarità è riferibile propriamente solo alle società di persone commerciali (società in nome collettivo e società in accomandita semplice); infatti, come osservato precedentemente, la mancata iscrizione di una società semplice nell'apposita sezione speciale non produce effetti né sull'esistenza, né sulla disciplina applicabile. Quanto alle società di capitali, l'iscrizione nel Registro delle imprese è dotata di efficacia costitutiva, ossia rappresenta una condizione necessaria per l'acquisto della personalità giuridica (art. 2331, comma 1, c.c.), con la conseguenza che, in difetto dell'adempimento dell'obbligo pubblicitario, la società non viene ad esistere quale soggetto di diritto, neppure come società irregolare o di fatto.

Il disposto dell'art. 2297 c.c. comporta, in primo luogo, che deve escludersi l'applicabilità nei confronti della collettiva irregolare dell'art. 2304 c.c., concernente la responsabilità dei soci, la quale sarà assoggettata alla disciplina contenuta nell'art. 2268 c.c.

Più in particolare, per quanto concerne la società in nome collettivo regolare, sebbene tutti i soci siano illimitatamente e solidalmente responsabili delle obbligazioni sociali nei confronti dei terzi, tale responsabilità ha carattere sussidiario. Ne consegue che i creditori sociali possono aggredire il patrimonio dei singoli soci soltanto dopo l'escussione del patrimonio della società (art. 2304 c.c.). Spetta, pertanto, al creditore sociale, che pretenda il pagamento del debito da parte del singolo socio, dimostrare l'insufficienza del patrimonio della società a soddisfare il proprio diritto di credito. Nondimeno, il beneficio della preventiva escussione non impedisce al creditore di citare in giudizio il socio, ottenendo nei suoi confronti una sentenza di condanna, dal momento che la predetta dimostrazione costituisce una condizione dell'azione esecutiva e non del giudizio di cognizione; in sede esecutiva spetterà, dunque, al socio far valere il beneficio previsto dalla legge in suo favore.

Diversamente, la responsabilità dei soci della collettiva irregolare resta disciplinata dall'art. 2268 c.c., che statuisce che spetta al socio, al quale sia stato richiesto il pagamento, se intende domandare la preventiva escussione del patrimonio sociale, indicare al creditore i beni sui quali può agevolmente soddisfarsi. Inoltre, dal tenore letterale della norma si evince che il socio non può limitarsi a specificare uno qualsiasi dei beni sociali, essendo al contrario necessario che si tratti di beni facilmente convertibili in denaro, tali da consentire una rapida attuazione del diritto del creditore.

L'irregolarità della società incide, altresì, sulla disciplina concernente i poteri del creditore particolare del socio, chesaranno assoggettati alla normativa contenuta nell'art. 2270 c.c., in luogo di quella dettata dall'art. 2305 c.c. con riferimento alla collettiva regolare.

A tal proposito si può osservare che, nel caso in cui la società sia iscritta nel Registro delle imprese, non è consentito ai creditori particolari, finché dura la società, chiedere la liquidazione della quota del socio debitore al fine di ottenere la soddisfazione del proprio credito; in tal modo il legislatore ha inteso salvaguardare il vincolo di destinazione esistente sul patrimonio sociale. Il principio della personalità della partecipazione preclude, altresì, la possibilità di richiedere l'espropriazione forzata della quota, dal momento che nelle società di persone non è possibile il mutamento della persona del socio senza il consenso degli altri soci. Al creditore particolare è consentito, invece, far valere i propri diritti sugli utili spettanti al debitore, ricorrendo al pignoramento presso la società del relativo credito del socio, che matura al momento dell'approvazione del rendiconto, non essendo subordinato, salvo patto contrario, ad alcuna decisione concernente la distribuzione (art. 2262 c.c.). Egli può, inoltre, compiere atti conservativi sulla quota spettante al debitore in caso di liquidazione. Nondimeno, l'intensa tutela che la legge assicura all'integrità del patrimonio sociale è attenuata dal potere spettante al creditore personale del socio di opporsi alla proroga della società, entro tre mesi dall'iscrizione della delibera nel registro delle imprese, ottenendo la liquidazione della quota, a condizione che abbia dimostrato di non potersi soddisfare altrimenti. Qualora, invece, la società sia stata tacitamente prorogata, al creditore particolare del socio sarà consentito chiedere la liquidazione della quota del suo debitore, trovando applicazione il disposto dell'art. 2270 c.c. (art. 2307 c.c.).

Diversamente, qualora si tratti di società irregolare, trova applicazione la disciplina dettata dall'art. 2270 c.c. per la società semplice, che attenua l'autonomia del patrimonio sociale rispetto alle vicende personali del singolo socio, in favore di una maggiore tutela delle ragioni dei creditori particolari. La disposizione citata attribuisce, infatti, al creditore del singolo socio il potere di chiedere la liquidazione della quota del debitore, a condizione che dimostri che gli altri beni sono insufficienti a soddisfare il credito. Ne consegue che, fin tanto che il patrimonio del socio consente al creditore l'attuazione del proprio diritto, è preclusa la liquidazione della quota, sebbene questa possa consentire una più agevole estinzione del debito.

La società è tenuta liquidare la quota entro tre mesi dalla domanda, salvo che deliberi lo scioglimento. In quest'ultima ipotesi, peraltro, il creditore potrà soddisfarsi sulla quota di liquidazione (ovvero sul denaro o sui beni spettanti al socio, dopo che i creditori sociali sono stati soddisfatti) ossia sulla stessa quota sulla quale, anche prima dello scioglimento della società, può compiere atti conservativi. In ogni caso, la predetta quota rappresenta un credito eventuale, dal momento che al socio potrebbe non spettare nulla in sede di liquidazione. L'esercizio della facoltà in esame da parte del creditore comporta, inoltre, l'esclusione di diritto del socio dalla società.

L'art. 2297 c.c. sancisce due importanti eccezioni alla regola secondo la quale i rapporti tra la collettiva irregolare e i terzi sono disciplinati dalle norme dettate per la società semplice:

  • la prima concerne la responsabilità dei soci;
  • la seconda attiene al potere di rappresentanza della società.

Per quanto attiene al primo profilo, è opportuno premettere che nella società semplice i soci che hanno agito in nome e per conto della società sono illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali, gli altri soci possono, invece, limitare la loro responsabilità mediante un apposito patto, opponibile ai terzi solo ove portato a loro conoscenza con mezzi idonei (art. 2267 c.c.). In caso contrario, il patto limitativo della responsabilità avrà efficacia meramente interna, con la conseguenza che il socio sarà tenuto nei confronti dei terzi al pagamento dell'obbligazione sociale, ma potrà rivalersi nei confronti degli altri soci.

L'art. 2297 c.c. prevede, invece, che nella società in nome collettivo irregolare la responsabilità illimitata e solidale dei soci abbia carattere inderogabile; ne consegue che l'eventuale patto che escluda la solidarietà ovvero limiti la responsabilità del socio deve essere considerato inefficace nei confronti dei terzi, potendo avere solo efficacia meramente interna, così come previsto dall'art. 2291 per la collettiva regolare.

Per quanto concerne la seconda eccezione, l'art. 2297, comma 2, c.c. dispone che il potere di rappresentanza si presume in capo a ciascun socio che agisce per la società e che i patti che attribuiscono tale potere ad alcuni soltanto dei soci o che limitano la rappresentanza non sono opponibili ai terzi, salva la prova della loro effettiva conoscenza. In caso di società in nome collettivo irregolare, il terzo non è tenuto, dunque, ad accertare il potere di rappresentanza in capo al socio che agisce e la società risponde delle obbligazioni assunte dai soci, salvo che dimostri che questi hanno abusato del potere di rappresentanza e che il terzo contraente ne era consapevole. La previsione in esame rende, pertanto, inapplicabile il disposto dell'art. 2266, comma 2, c.c. che riconosce la spettanza del potere di rappresentanza in capo a ciascun socio amministratore, in assenza di patto contrario.

In evidenza: la rappresentanza nella società in nome collettivo irregolare

Per quanto attiene al tema della rappresentanza nella collettiva irregolare, la giurisprudenza ha chiarito che, affinché il vincolo sociale si proietti nel mondo esterno, nei confronti dei terzi non è necessaria la partecipazione di tutti i soci ad ogni atto, dovendosi presumere in capo a ciascun socio il potere di amministrare e rappresentare la società e non occorre la spendita del nome degli altri soci, essendo sufficiente l'indicazione di agire come socio o comunque un comportamento che renda inequivoca la riferibilità del negozio alla società (Cass. civ., Sez. I, 13 dicembre 1999, n. 13954).

La società in accomandita semplice irregolare

Nozione

La società in accomandita semplice è definita “irregolare” in difetto di iscrizione dell'atto costitutivo nel Registro delle imprese. Come nel caso di società in nome collettivo, anche la mancata registrazione dell'accomandita semplice non impedisce la nascita della società. Tuttavia, la distinzione tra soci accomandatari, illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, e soci accomandanti, responsabili limitatamente alla loro quota, è subordinata alla condizione che la società operi sotto una ragione sociale che indichi la natura di accomandita semplice (art. 2314 c.c.).

Secondo un indirizzo interpretativo, deve escludersi la configurabilità di un'accomandita irregolare di fatto. A sostegno dell'assunto è stato affermato che,sebbene la legge non imponga, di regola, requisiti formali a pena di invalidità per la redazione dell'atto costitutivo e richieda la forma scritta solo ai fini dell'iscrizione e della regolarità della società, l'art. 2316 c.c. statuisce che l'atto costitutivo deve indicare espressamente i soci accomandanti e i soci accomandatari. Tale previsione impedirebbe, secondo l'opinione in esame, di ritenere sufficiente ai fini della qualificazione di un socio come accomandante, che fruisce della limitazione di responsabilità, il solo comportamento concretamente posto in essere e sarebbe di ostacolo alla costituzione per fatti concludenti di un'accomandita semplice. Nondimeno, non è mancato chi ha sostenuto la configurabilità, in linea teorica, di un'accomandita di fatto, ritenendo che la questione si ponga esclusivamente sul piano probatorio.

La disciplina applicabile

In virtù del rinvio che l'art. 2317 c.c. opera all'art. 2297 c.c., la società in accomandita irregolare è assoggettata alle norme precedentemente esaminate sulla collettiva irregolare, ossia alle norme sulla società semplice, limitatamente ai rapporti con i terzi. La posizione dell'accomandatario è, dunque, analoga a quella del socio di collettiva irregolare, con conseguente possibilità per i creditori sociali di agire direttamente contro il singolo socio, senza essere tenuti alla preventiva escussione del patrimonio sociale e il socio richiesto del pagamento potrà far valere il beneficio della preventiva escussione, in via di eccezione, solo indicando altri beni sociali sui quali il creditore possa soddisfarsi.

Inoltre, come nel caso della collettiva irregolare, anche in ipotesi di accomandita semplice irregolare al creditore particolare del socio è attribuita la facoltà di chiedere, in ogni tempo, la liquidazione della quota del socio suo debitore, dimostrando che gli altri beni di questi non assicurano il soddisfacimento della pretesa creditoria. Tale possibilità è invece preclusa quando si tratta di società regolare.

Quanto al potere di rappresentanza sociale, anche processuale, il rinvio all'art. 2297 c.c. comporta che esso si presume in capo a ciascun socio, non rilevando la distinzione tra accomandanti e accomandatari.

Per espressa previsione legislativa, nell'accomandita irregolare, resta fermo il diverso regime di responsabilità dei soci accomandanti, che sono tenuti all'adempimento delle obbligazioni sociali entro i limiti della loro quota, salvo il caso di immistione nella gestione societaria (art. 2317, comma 2, c.c.). La giurisprudenza ha ribadito che tale limitazione di responsabilità non è condizionata ad alcuna forma di pubblicità, essendo sufficiente l'enunciazione del tipo sociale, affinché ai terzi sia resa conoscibile la presenza di soci accomandanti.

La ratio della norma, che preclude al socio accomandante di partecipare alle operazioni sociali, è ravvisabile nella volontà del legislatore di impedire a tale categoria di soci, la cui responsabilità è limitata alla quota, di compiere attività pur sempre connotate da un margine di rischio.

Discussa, tuttavia, è l'estensione del divieto di partecipazione al compimento di operazioni sociali dell'accomandante previsto dall'art. 2317, comma 2, c.c.: secondo un indirizzo interpretativo, la norma avrebbe un portata più ampia di quella contenuta nell'art. 2320 c.c., in quanto impedirebbe al socio di compiere anche atti in forza di procura speciale o di rilasciare autorizzazioni o di prestare la propria attività sotto la direzione dell'accomandatario, attività che sono, invece, consentite all'accomandante nella società regolare. Ciò troverebbe giustificazione nel fatto che la limitazione di responsabilità del socio accomandante rappresenta un'eccezione alla regola della responsabilità illimitata e solidale dei soci di una società di persone irregolare (art. 2267 e 2297 c.c.), cosicché essa dovrebbe essere intesa in senso restrittivo. Secondo una diversa impostazione, invece, il divieto di cui all'art. 2317, comma 2, c.c. non può avere una portata più ampia di quello sancito dall'art. 2320 c.c. per l'accomandita regolare, di per sé già molto esteso.

In evidenza: la posizione dell'accomandante nell'accomandita semplice non registrata

Secondo la giurisprudenza, ai sensi dell'art. 2317, comma 2, c.c., il socio accomandante è illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali anche ove abbia agito in base a una procura speciale o avente efficacia meramente interna (App. Torino, 14 settembre 1985).

La responsabilità limitata dell'accomandante viene meno anche in mancanza di un'iniziativa autonoma, quando questi abbia partecipato ad atti di amministrazione interna o di rappresentanza esterna della società, intrapresi dal socio accomandatario, a prescindere dall'affidamento incolpevole del terzo (Cass. Civile, Sez. I, 26 febbraio 1988, n. 2041).

La regolarizzazione della società irregolare

Come precedentemente osservato, la legge prescrive che l'atto costitutivo della società di persone sia depositato entro trenta giorni dalla stipulazione presso l'ufficio del Registro delle imprese ai fini dell'iscrizione e della regolarità della società.

Nondimeno, qualora il deposito non sia stato eseguito nel termine indicato è possibile ricorrere, in qualsiasi momento, alla c.d. regolarizzazione della società che si compie con l'iscrizione tardiva nel Registro delle imprese. La regolarizzazione non comporta la costituzione di una nuova società, bensì la continuazione di quella già esistente, privata delle conseguenze dell'irregolarità.

Essa, inoltre, produce effetti ex nunc, determinando l'applicabilità della disciplina dettata per la società in nome collettivo o per la società in accomandita semplice regolari dal momento dell'avvenuta registrazione, mentre per il periodo antecedente continueranno a trovare applicazione le norme dettate per la società irregolare.

Riferimenti

Normativi

  • Art. 2200 c.c.
  • Art. 2297 c.c.
  • Art. 2317 c.c.
  • Art. 2630 c.c.

Giurisprudenza

  • App. Torino, 14 settembre 1985
  • Cass. Civile, Sez. I, 26 febbraio 1988, n. 2041;
  • Cass. Civile, Sez. I, 3 giugno 1991, n. 6240;
  • Cass. Civile, Sez. I, 28 gennaio 1993, n. 1027;
  • Cass. Civile, Sez. I, 13 dicembre 1999, n. 13954;
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