Processo telematico

Giovanni Buonomo
16 Settembre 2016

Con la locuzione «processo telematico» si suole indicare il progetto innovativo per la gestione e la trasmissione a distanza degli atti processuali con mezzi informatici.
Inquadramento

Con la locuzione «processo telematico» (entrata nell'uso comune, anche se assente dai testi normativi) si suole indicare il progetto innovativo, in origine delineato dal d.P.R. 13 febbraio 2001, n. 123 e curato dal Ministero della giustizia, per la gestione e la trasmissione a distanza degli atti processuali con mezzi informatici. L'idea originaria di un processo civile «a distanza» affonda, però, le sue radici nelle disposizioni dell'art. 15, comma 2, della l. 15 marzo 1997, n. 59 (che attribuisce valore giuridico, ad ogni effetto di legge, ai documenti informatici della P.A. e dei privati) e alle disposizioni del d.P.R. 10 novembre 1997, n. 513 sulla firma digitale.

Si tratta delle disposizioni su cui fu costruita, alla fine degli anni Novanta, la riforma della P.A. basata sull'introduzione delle tecnologie dell'informazione nella gestione degli uffici pubblici e, particolarmente, nel comparto centrale dello Stato.

Già l'art. 2, lett. «mm»,della legge-delega 23 ottobre 1992, n. 421 aveva previsto una più razionale utilizzazione dei sistemi informativi automatizzati e l'istituzione di un apposito organismo amministrativo (l'AIPA- Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione) con funzioni di coordinamento delle iniziative e di pianificazione degli investimenti in materia di automazione, «anche al fine di garantire l'interconnessione dei sistemi informatici pubblici».

Alla legge aveva fatto seguito il d.lg. 12 febbraio 1993, n. 39, emanato allo scopo di disciplinare, in attuazione della delega, lo sviluppo e la gestione dei sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni dello Stato attraverso la realizzazione di una rete di interconnessioni telematiche.

L'art. 3, una delle norme più innovative del testo, stabiliva che tutti gli atti delle pubbliche amministrazioni sarebbero stati «di norma predisposti tramite i sistemi informativi automatizzati», mentre altre disposizioni avevano affidato all'AIPA la realizzazione di un piano triennale, da rivedere con cadenza annuale, per coordinare i principali interventi di sviluppo e gestione dei sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche e promuovere progetti intersettoriali e di infrastruttura informatica.

Nello stesso anno, la legge finanziaria n. 537 aveva consentito per la prima volta l'archiviazione di documenti pubblici, «per finalità amministrative e probatorie, previsti dalla legislazione vigente», mediante supporti ottici.

Queste disposizioni furono seguite dalla direttiva di Governo (D.P.C.M. 5 settembre 1995) sulla Rete unitaria della pubblica amministrazione, progetto intersettoriale prioritario per il perseguimento degli obiettivi di legge e ritenuto «essenziale» per il generale processo di ammodernamento dell'amministrazione pubblica fondato sulla «federazione» delle reti delle singole amministrazioni nell'ambito di un sistema integrato «unitario», in cui ogni Amministrazione avrebbe assunto la competenza per la realizzazione e la gestione del proprio sistema informativo, pur nell'osservanza delle regole tecniche comuni, emanate dall'Autoritàper l'informatica per la connessione con altre reti e lo scambio dei dati.

Le modalità di realizzazione della rete unitaria furono disciplinate, dunque, dal comma 1 dell'art. 15 della l. 15 marzo 1997, n. 59 (oggi abrogato dall'art. 75 del d.lg. n. 82 del 2005 e sostituito dalle norme che regolano, nel capo VIII del c.d. codice dell'amministrazione digitale, il Sistema pubblico di connettività).

La norma affidava all'AIPA il compito di stipulare contratti-quadro con i prestatori dei servizi di trasporto, obbligando le amministrazioni del comparto centrale dello Stato a stipulare, in una fase successiva, con i medesimi fornitori, contratti definiti come «atti esecutivi» dei contratti-quadro. Il comma 2 dell'art. 15, invece, era destinato a costituire l'architrave del sistema di firma digitale dei documenti informatici, fissando il fondamentale principio (ancora in vigore) di equivalenza tra documenti informatici e documenti cartacei, secondo cui «Gli atti, dati e documenti, formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonchè la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge […]»

I criteri e le modalità di applicazione del principio di equivalenza, per la pubblica amministrazione e per i privati, furono affidati ad un regolamento emanato con d.P.R. 10 novembre 1997, n. 513 che introdusse per la prima volta nell'ordinamento giuridico la firma digitale (art. 5) equiparando il documento informatico così sottoscritto alla scrittura privata. L'art. 3 dello stesso regolamento, invece, rimandava ad un regolamento di rango inferiore (da emanarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita l'AIPA) la disciplina tecnica delle modalità di formazione, trasmissione, conservazione e riproduzione dei documenti informatici e le condizioni di opponibilità ai terzi della data (e dell'ora) apposte sulla scrittura privata su supporto informatico (la c.d. validazione temporale).

Le regole tecniche furono, infine, emanate con D.P.C.M. 8 febbraio 1999, pubblicato nella GU 15 aprile 1999, n. 89. Con l'allegato tecnico di questo corposo provvedimento furono individuati gli algoritmi di generazione e verifica delle chiavi di cifratura, le caratteristiche delle chiavi di firma, di certificazione e di validazione temporale e le tecniche di generazione della forma digitale.

Agli inizi del 1999, dunque, l'Italia aveva già completato il processo di adattamento del quadro normativo per l'introduzione delle tecnologie dell'informazione nell'ambito della pubblica amministrazione giungendo (primo Paese dell'U.E. e tra i primi al mondo) alla piena equiparazione, ad ogni fine di legge, dei documenti informatici muniti di firma digitale ai documenti cartacei sottoscritti con firma autografa.

Le norme sul documento informatico e l'infrastruttura telematica per la trasmissione dei documenti a distanza costituiscono, per la parte che riguarda l'amministrazione giudiziaria, le indispensabili premesse del processo civile telematico.

Il progetto, come detto, fu attuato mediante un regolamento, probabilmente nella convinzione che uno strumento normativo più «snello» nei tempi di adozione e nelle modalità di attuazione avrebbe meglio seguito gli inevitabili mutamenti indotti dal rapido mutamento delle conoscenze scientifiche; in altri termini, si pensò che la delegificazione avrebbe favorito un rapido adattamento delle norme al mutato quadro tecnologico in un settore in cui è la tecnica a condizionare le scelte del legislatore.

Il riferimento alla delegificazione è ben evidente nella relazione che accompagna il d.P.R. n. 123 del 2001, dove viene esplicitata l'esigenza di dettare norme per la formazione e la trasmissione di documenti informatici nel processo civile «in una materia non più coperta da riserva di legge».

In evidenza

Può dirsi, dunque, che il regolamento sul processo telematico, lungi dal costituire un adempimento formale rispetto ai regolamenti previsti obbligatoriamente dal d.lg. n. 39 del 1993 (come qualche commentatore ha sostenuto), costituisce una vera novità introdotta dal secondo comma dell'art. 15 l. n. 59 citata, nella parte in cui stabilisce che i criteri e le modalità di applicazione del principio di equivalenza dei documenti informatici, per la pubblica amministrazione e per i privati, sono rimessi a fonti normative secondarie.

I fini della riforma

Le disposizioni del d.P.R. n. 121 del 2001, come quelle del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, che l'ha sostituito, mirano principalmente ad assicurare alle parti del processo e al giudice gli strumenti per formare documenti informatici e depositare gli atti per via telematica.

Centrale, nella realizzazione del progetto, è la consultazione a distanza dei registri di cancelleria e l'interazione delle parti con il fascicolo informatico, costituito da un'area di memoria, allocata in archivi decentrati gestiti nel dominio dell'amministrazione giudiziaria, posto a disposizione delle parti per la raccolta degli atti processuali, l'esame telematico del registro generale, la trasmissione di comunicazioni e di atti e documenti.

La riduzione dei tempi «morti» del processo, dovuti alle attese necessarie per la trasmissione degli atti da un ufficio all'altro (i cosiddetti «tempi di attraversamento»), o per le notificazioni eseguite con la consegna personale degli atti al destinatario, costituisce, sotto questo profilo, l'applicazione di maggiore evidenza della digitalizzazione dei procedimenti a cui si ispira la riforma della «Amministrazione digitale» (nota anche come e-Government). Ma, tra i benefici indiretti della riforma, vanno considerati anche la riduzione dell'attività di sportello di ricevimento del pubblico, che consegue all'esecuzione a distanza delle operazioni di consultazione degli archivi di ricerca degli atti; la riqualificazione del personale amministrativo ausiliario, svincolato dalla movimentazione dei fascicoli cartacei attraverso gli uffici; la trasformazione degli archivi cartacei in archivi informatici, con la creazione di ambienti di lavoro più salubri e meno polverosi; la possibilità, infine, di creare archivi digitali della giurisprudenza di merito (posto che la giurisprudenza della Corte di cassazione era già archiviata dal Centro elettronico di documentazione, uno dei primi archivi informatizzati del mondo) favorendo, attraverso il collegamento telematico tra le sedi giudiziarie, una maggiore uniformità della giurisdizione e, attraverso la diffusione della cultura giuridica, la deflazione delle cause proposte a scopo «esplorativo».

Col processo telematico, in conclusione, i dati del sistema informatico del contenzioso civile a livello locale o aggregati a livello nazionale costituiscono materiale di studio per l'informatica documentaria (che si occupa dell'archiviazione e della gestione dei dati su supporti informatici) e soprattutto per l'informatica giuridica meta-documentale che trae, dal trattamento dei dati, gli elementi di supporto per la decisione del giudice e per la creazione di modelli decisionali ricorrenti.

Il sistema informatico civile costituisce il mezzo di trasporto dei dati e la infrastruttura tecnologica fondamentale del processo telematico; ma i due pilastri normativi su cui poggia l'intero sistema sono costituiti dalle disposizioni sul documento informatico sulla firma digitale alle quali continuamente i regolamenti si richiamano.

Del resto, se gli atti processuali trasmessi per via telematica fossero privi di rilevanza giuridica l'intera infrastruttura non avrebbe senso perché i documenti, una volta giunti a destinazione potrebbero al più considerarsi come copie informatiche degli originali cartacei e, ove necessario, dovrebbero essere stampati nuovamente per essere sottoscritti con una firma autografa.

Solo l'equivalenza tra documenti cartacei documenti formati, dunque, consente di pensare al processo telematico come a un modello processuale di tipo sostitutivo.

In evidenza

Il sistema informatico civile costituisce, con la rete di trasporto di dati, l'infrastruttura tecnologica fondamentale del processo telematico; ma i due pilastri normativi su cui poggia l'intero sistema sono costituiti dalle disposizioni sul documento informatico sulla firma digitale (a cui i regolamenti sistematicamente fanno richiamo).

Il quadro normativo di riferimento

Il processo telematico costituisce una delle più importanti innovazioni legate alla realizzazione della rete unitaria della pubblica amministrazione, posto che il mezzo di trasporto delle informazioni nell'ambito del processo è costituito da una parte del sistema pubblico di connettività, che deriva a sua volta dall'unione delle reti telematiche dell'amministrazione giudiziaria: il cosiddetto «dominio giustizia».

L'art. 1 del d.P.R. n. 123 del 2001 sul processo telematico definiva il «dominio giustizia» come l'insieme delle risorse logiche e fisiche necessarie all'amministrazione giudiziaria per il trattamento informatico di «qualsiasi tipo di attività, di dato, di servizio, di comunicazione e di procedura». Si trattava, dunque, di una parte della rete unitaria (o, se si preferisce, di quella rete unica giudiziaria poi «federata» con le reti delle altre amministrazioni) utilizzata per i servizi dell'amministrazione giudiziaria.

Il «sistema informatico civile» costituiva, invece, un sottoinsieme di queste risorse dedicato alla trattazione del processo civile, cioè la parte del dominio giustizia, comprensiva dei servizi e delle risorse materiali dedicate al trattamento dei dati, utilizzata esclusivamente per il processo civile.

Il regolamento, in sostanza, consentiva per la prima volta «la formazione, la comunicazione e la notificazione di atti del processo civile mediante documenti informatici» e la loro trasmissione, comunicazione o notificazione «per via telematica attraverso il sistema informatico civile» (art. 2), affidando il valore giuridico degli atti processuali formati su supporto informatico all'uso della firma digitale regolata dalle disposizioni del d.P.R. n. 513 del 1997 (successivamente confluite, come detto, nel codice dell'amministrazione digitale). Il «SICi», sistema informatico civile, costituiva — invece — il mezzo di trasporto dei dati e la infrastruttura tecnologica per la trasmissione degli atti da (e per) gli uffici giudiziari e tra le parti processuali (art. 3).

In base all'articolo quattro «tutti gli atti dei provvedimenti del processo» potevano compiersi utilizzando i documenti informatici sottoscritti con firma digitale, le comunicazioni le notificazioni potevano avvenire per via telematica, attraverso il sistema informatico civile (art. 6) ovvero all'indirizzo elettronico comunicato dal difensore al consiglio dell'ordine (art. 7) e tutti gli atti dovevano confluire nel fascicolo informatico (art. 12) «contenente gli atti del processo come documenti informatici ovvero le copie informatiche dei medesimi atti quando siano stati depositati su supporto cartaceo».

Il d.m. 21 febbraio 2011 n. 44 ha sostituito il citato d.P.R. 123 del 2001 dettando le regole tecniche per il processo telematico. Questo complesso corpo di norme tecniche è stato successivamente modificato dal d.m. 3 aprile 2013 n. 48 e poi integrato dalle specifiche tecniche emanate con decreto del direttore generale responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia (DGSIA) il 18 luglio 2011, successivamente sostituite da un decreto del 16 aprile 2014 pubblicato sulla G.U. del 30 aprile 2014 (serie generale, n. 99) ed entrato in vigore il 16 maggio 2014. Dette norme sono state da ultimo modificate ed integrate con il decreto DGSIA del 28 dicembre 2015 pubblicato sulla G.U. il 7 gennaio 2016 (serie generale, n. 4).

La l. 24 dicembre 2012, n. 228, nel convertire il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, ha aggiunto l'art. 16-bis che fissa l'obbligo delle parti processuali di depositare gli atti su supporto informatico e per via telematica («Obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali»).

La norma è stata modificata dagli artt. 44, 51 e 52 d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114 («Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari»), dagli artt. 18 e 20 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla l. 10 novembre 2014, n. 162 («Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile»), e, infine, dall'art. 19, d.l. 27 giugno 2015, n. 83 convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n. 132 («Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria).

In evidenza

In sintesi, e per effetto delle modifiche apportate all'originario impianto dall'art. 16-bis, a decorrere dal 30 giugno 2014 per i tribunali e dal 30 giugno 2015 per le corti di appello, è divenuto obbligatorio nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, «il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite»

L'obbligo riguarda anche «i soggetti nominati o delegati dall'autorità giudiziaria» e quindi gli ausiliari del giudice officiati nel corso del processo e, per il deposito degli atti, «i dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente.»

Il deposito per via telematica «si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia» (art. 16-bis, comma 7)

Per l'esame dei casi che possono condurre il giudice ad autorizzare, in via eccezionale, la produzione in giudizio di atti o documenti formati su supporto cartaceo, (art. 16-bis, commi 8 e 9) e per il regime delle copie estratte dal fascicolo informatico si rimanda alle specifiche voci nel portale IlProcessoCivile.it

I servizi rivolti al pubblico

Merita un cenno, infine, l'art. 6 del D.M. n. 44/2011 che prevede l'istituzione, accanto al circuito «chiuso» del PCT, di un portale dei servizi telematici dell'amministrazione giudiziaria, per consentire «l'accesso da parte dell'utente privato alle informazioni, ai dati e ai provvedimenti giudiziari secondo quanto previsto dall'art. 51 del codice in materia di protezione dei dati personali».

Si tratta, innanzitutto, dei dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado (che, a norma dell'art. 51 del citato testo unico) «sono resi accessibili a chi vi abbia interesse anche mediante reti di comunicazione elettronica»; ma anche delle sentenze e delle «altre decisioni dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado depositate in cancelleria o segreteria», per le quali la legge ha da tempo fissato, per la pubblica amministrazione, l'obbligo di rendere i dati accessibili in rete.

Il Ministero della giustizia ha dato attuazione a queste disposizioni realizzando il portale telematico denominato «Portale dei servizi telematici - PST», accessibile all'indirizzo http://pst.giustizia.it/PST/, e rendendo disponibile a titolo gratuito un software applicativo di ricerca denominato «Giustizia civile mobile» funzionante su dispositivi mobili dotati di sistema operativi iOS, Android e Windows Mobile .

L'accesso al portale è regolato dalle disposizioni del codice dell'amministrazione digitale (il citato d. lgs. n. 82/2005) che, all'art. 64 prevede l'identificazione, quando richiesta, degli utenti attraverso la carta d'identità elettronica, la carta nazionale dei servizi o il sistema SPID (Sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale, gestito dall'AgID); ma l'accesso può avvenire anche in forma del tutto anonima (nel qual caso l'accesso è limitato alle informazioni essenziali sullo stato dei procedimenti pendenti e alle raccolte di giurisprudenza).

Il portale dei servizi telematici mette a disposizione dei «soggetti abilitati esterni» (cioè di coloro che non si qualificano come soggetti che partecipano al processo come parti, C.T.U., magistrati o personale di cancelleria) non solo l'accesso ai dati del sistema informativo della giustizia civile dei vari distretti (SICiD) ma anche i servizi di pagamento telematico.

Riferimenti

Normativi

  • D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (CAD)
  • D.L. 29 dicembre 2009, n. 193
  • DM 21 febbraio 2011, n. 44
  • Provv. Ministero Giustizia 18 luglio 2011 (specifiche tecniche)
  • D.L. 179/2012-D.L. 24 giugno 2014, n. 90
  • DPCM 13 novembre 2014
  • D.L. 27 giugno 2015, n. 83

Dottrina

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