Sparatoria in Tribunale: è il Ministero della Giustizia che deve risarcire i parenti
01 Settembre 2015
La sparatoria. Nelle aule di un tribunale moriva un uomo, marito e padre di famiglia. A sparare era stato il cognato durante un'udienza di separazione: l'uomo aveva, difatti, estratto l'arma da fuoco, sparato alla ex moglie e poi al di lei fratello. La vedova, in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori, e il fratello del defunto convenivano in giudizio il Ministero della Giustizia, deducendone la responsabilità per omessa vigilanza nei locali del Tribunale. L'Amministrazione statale, costituitasi in Giudizio, contestava l'an della pretesa, tenuto conto dell'imprevedibilità degli eventi, ed in ogni caso deduceva l'esclusiva responsabilità del Comune, proprietario della struttura edilizia e, dunque, obbligato anche alla messa in sicurezza dei luoghi. Il Comune si difendeva assumendo che non aveva nessuna delega per la sicurezza; inoltre, ribadiva la responsabilità per l'incidente dell'Amministrazione statale. Il Giudice di prime cure dichiarava la responsabilità del Ministero della Giustizia in base agli artt. 117, comma 2, Cost. e del D.M. 28 ottobre 1993; pertanto, liquidava, a favore dei ricorrenti, il danno da perdita del rapporto parentale. Il ristoro veniva calcolato alla stregua delle Tabelle di Milano nella misura di 1.631.583 euro. Ricorreva avanti la Corte d'appello il soccombente Ministero della Giustizia.
La tutela della posizione giuridica degli attori. Non merita accoglimento il motivo di ricorso con cui il Ministero della Giustizia rilevava l'assenza di una posizione giuridica soggettiva tutelabile dal giudice ordinario. Ius receptum in sede di legittimità è, invero, il principio secondo cui «ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto: pertanto il destinatario di un atto illegittimo della p.a., che sia stato posto in essere con dolo o colpa e che sia stato causa di un danno ingiusto – diretta conseguenza del provvedimento - ha titolo al risarcimento dei danni, anche se titolare non di un diritto soggettivo ma di un interesse giuridicamente rilevante. La relativa controversia ove non riguardi materia devoluta per legge alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, è di competenza dell'autorità ordinaria (…)» (Cass. civ., S.U., 22 luglio 1999, n. 500; Cass. civ., S.U., 13 febbraio 2015, n. 2886). D'altra parte, non può essere esclusa, nel caso di specie, la responsabilità del Ministero, alla luce anche del D.M. 28 ottobre 1993, che individua nel procuratore Generale la responsabilità dei Palazzi di Giustizia.
Il quantum. Il motivo con il quale il Ministero censura la quantificazione del danno è invece meritevole di accoglimento. Il giudice territoriale ha ritenuto che la valutazione del giudice di prime cure rispetto al danno non patrimoniale fosse fin troppo punitiva: «la peculiarità della vicenda, connotata da un dolore umano pur difficile da tradurre in parametri economici, non può trascendere dal dovere di porre un criterio limitativo entro cui contenersi». Secondo la Corte d'appello «la gravissima circostanza, causata dall'altrettanto imperdonabile omissione dell'Amministrazione Statale, non lascia spazio per ricondurre il risarcimento al di sotto dei valori massimi previsti dalle tabelle». Tuttavia, pur mantenendo l'inquadramento nel massimo previsto è del tutto «eccessiva ed immotivata l'ultravalutazione del 25% oltre i limiti previsti». In conclusione, la Corte d'appello ha rideterminato il risarcimento limitatamente al danno da perdita parentale nei confronti della attrice, tenuto conto dell'età della vedova, della sua occupazione e della presenza di una famiglia solida e numerosa. |