Claims made e rischio clinico: immeritevole, secondo la Cassazione

Maurizio Hazan
02 Maggio 2017

Con sentenza n. 10506/2017, pubblicata il 28 aprile 2017 (Camera di Consiglio del 20 gennaio 2017) la terza sezione della Suprema Corte torna con prepotenza sul tema della “meritevolezza” della claims made.

IL CASO La Suprema Corte è tornata sul tema della “meritevolezza” delle claims made. Nel “mirino” una particolare configurazione della clausola, tesa a limitare l'operatività della copertura assicurativa di una polizza di responsabilità civile (di una struttura ospedaliera) ai soli casi in cui la richiesta risarcitoria del terzo sia pervenuta nel periodo di durata dell'assicurazione.

IMMERITEVOLEZZA DELLA CLAUSOLA Sul punto, il giudizio negativo e tranciante della Cassazione è espresso nel seguente principio di diritto: «la clausola c.d. claim's made, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un'azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il danno causato dall'assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo d durata dell'assicurazione, è un patto atipico, immeritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell'assicuratore, e pone l'assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione».

Il ragionamento della Corte sembra porsi nel solco di quanto già sostenuto dalle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 6 maggio 2016 n. 9140), le quali – peraltro – avevano ritenuto immeritevoli le clausole claims made delle polizze professionali obbligatorie sotto un altro profilo: quello dell'insufficienza a tutelare in modo adeguato l'interesse “esterno” del cliente/paziente danneggiato.

Qui il più drastico giudizio negativo si fonda invece sulla sola valutazione del rapporto “interno” tra le parti del contratto assicurativo e sulla considerazione della sostanziale inconciliabilità della clausola con la – del tutto naturale – possibilità che l'assicurato (medico o struttura) rechi danni a terzi anche negli ultimi mesi, o giorni, od ore precedenti la scadenza del contratto. Danni per i quali la richiesta di risarcimento perverrà, probabilmente (e fisiologicamente), in epoca successiva a quella scadenza, lasciando l'assicurato medesimo esposto ad un rischio la cui copertura costituisce portato naturale di quel tipo di garanzia assicurativa.

A rinforzo di tale tesi la sentenza svolge alcuni argomenti suggestivi:

1) la clausola claims made attribuirebbe all'assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, riducendo il periodo di copertura assicurativa e , comunque, ponendo «l'assicurato in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all'altra»: ciò in quanto farebbe dipendere la prestazione dell'assicuratore della responsabilità civile non solo da un evento futuro ed incerto ascrivibile all'assicurato, ma anche dalla richiesta di risarcimento (che è pur sempre evento futuro ed incerto ma dipendente dalla volontà del terzo danneggiato).

2) la clausola in parola, inoltre, condurrebbe ad una serie di conseguenze paradossali: la prima è che l'assicurato, in contrasto con il principio di cui all'art. 1904 c.c., avrebbe interesse a che il sinistro (intendendosi per tale la richiesta del terzo) si verifichi prima della scadenza della polizza. La seconda rinvenibile nel fatto che il medesimo assicurato, ove fosse consapevole di aver causato un danno, si troverebbe innanzi ad una insostenibile, aporia, così testualmente descritta nella pronuncia: se egli «tace e aspetta che sia il danneggiato a chiedergli il risarcimento, perde la copertura; se sollecita il danneggiato a chiedergli il risarcimento, viola l'obbligo di salvataggio di cui all'art. 1915 c.c.»;

3) infine la claims made risulterebbe immeritevole di tutela in quanto costringerebbe l'assicurato a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti. Egli infatti non avrebbe alcun interesse ad adempiere spontaneamente la propria obbligazione risarcitoria prima ancora che il terzo gliene faccia richiesta (come correttezza e buona fede gli imporrebbero), dal momento che in tal caso l'assicuratore «potrebbe rifiutare l'indennizzo assumendo che mai nessuna richiesta del terzo è stata rivolta all'assicurato, sicchè è mancata la condicio iuris cui il contratto subordina la prestazione dell'assicuratore» .

POTENZIALE CONTRARIETÀ CON LA LEGGE GELLI Alla luce di quanto sopra, per la forza con la quale afferma i principi che predica, la sentenza del 20 gennaio è destinata a “fare rumore”, anche, e forse soprattutto, in considerazione della sua potenziale contrarietà a quanto previsto dalla legge di riforma della responsabilità sanitaria e della sua assicurazione. Il riferimento è all'art. 11 l. 24/2017, che regola l'estensione temporale delle coperture obbligatorie senza (apparentemente) prevedere alcuna garanzia postuma, eccezion fatta per il caso di cessazione dell'attività professionale dell'assicurato in corso di contratto (si ricorda, peraltro, che la pronuncia è anteriore all'entrata in vigore della legge in questione).

Rimane il fatto che la pronuncia in oggetto non risulta per nulla risolutiva, dal momento che non consente di comprendere se possa esser ritenuta meritevole una claims diversamente strutturata, con previsione (ad esempio) di una ultrattività limitata.

Rimane, naturalmente, sullo sfondo l'esigenza di comprendere se il tema della meritevolezza della singola polizza possa ancora trovar spazio in un sistema, quello disegnato dalla legge Gelli, in cui l'obiettivo di garantire la continuità delle coperture (assistite da “azione diretta”) risulta più generalmente presidiato dall'obbligo assicurativo imposto alle srutture ed ai singoli esercenti, ogni volta con “ripresa” decennale del passato sconosciuto.

Questi ed altri temi saranno dunque oggetto di un commenti e riflessioni critiche in questa Rivista.

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