È legittima la decisione della corte d’appello che applica la tabella milanese in vigore all’epoca della sentenza di primo grado?

Redazione Scientifica
03 Febbraio 2016

Non sussiste alcuna violazione dell'art. 1226 c.c., se il giudice d'appello, in tema di risarcimento del danno derivante da sinistro stradale, liquida il danno alla salute secondo i criteri tabellari in vigore alla data della sentenza di primo grado.

Il caso. Un uomo ricorreva in Cassazione lamentando la violazione da parte della Corte di Appello che – in conferma della pronuncia di prime cure - nel liquidare il danno alla salute aveva applicato i criteri omogenei predisposti dal tribunale di Milano dell'anno 2006 e non quelli predisposti nel 2007, nonostante questi fossero stati espressamente invocati in sede di gravame.

Equità e Tabella milanese. Il consigliere relatore ha depositato la relazione con cui ricorda che «la liquidazione del danno non patrimoniale deve avvenire con criterio equitativo» e che «l'individuazione della somma rappresentativa di un equo ristoro del danno costituisce una valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità». Applicando tali principi al caso in esame risulta che correttamente il Tribunale, nel 2006, liquidava il danno alla salute in base alla versione più recente delle Tabelle Milanesi.

Nessun novum iudicium. Le relazione aggiunge anche che la pretesa del ricorrente per cui, essendo sopravvenuta la nuova tabella alla data della decisione di secondo grado, il giudice avrebbe dovuto tenerne conto, è priva di pregio poiché per giurisprudenza ormai consolidata della Cassazione «il giudizio d'appello (…) ha da tempo perduto la sua vecchia struttura di novum iudiciu, nella quale era consentito al giudice d'appello riesaminare ab imis la questione controversa». Il giudizio d'appello ha infatti assunto la struttura di revisio prions instantie, sia pure a critica libera.

Nessun errore è quindi rilevabile nella sentenza impugnata: il giudice territoriale si era limitato a rilevare che la decisione impugnata non era erronea, poiché la tabella per l'anno 2007 non era stata ancora diffusa all'epoca della decisione del Tribunale e pertanto non vi era nessun tipo di obbligo per la Corte d'appello di applicare ulteriori e diversi criteri.

Il Collegio condivide le osservazioni, nel dettaglio specifica che «non sussiste dunque alcuna violazione dell'art. 1226 c.c. (…), poiché il giudice di merito ha applicato, nel momento in cui adottò la propria decisione, il criterio di liquidazione in quel momento disponibile».

Aggiunge poi che è inammissibile la censura per cui il ricorrente richiedeva la rivalutazione del proprio credito, avendo il Tribunale liquidato il danno nel 2007 ma applicato i valori monetari del 2006. Infatti «stabilire se l'andamento del costo della vita, nel periodo tra la diffusione della cd “tabella” milanese e quello della decisione, abbia comportato un incremento ovvero un decremento del potere di acquisto della moneta, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito» non sindacabile in sede di legittimità.

Danno morale e Tabella milanese. Con un secondo motivo il ricorrente lamentava la sottostima del danno morale, accordato in misura minore dal giudice territoriale rispetto a quella prevista dalla tabella.

Altrettanto inammissibile è tale motivo, poiché la tabella milanese non è – come indicato nella relazione - «un letto di Procuste sul quale si sacrifica la valutazione equitativa del giudice di merito». In conclusione, non è erronea la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale per il solo fatto che non sia coincidente con quella prevista nella tabella.

Il collegio in riferimento a questo motivo specifica che «la divergenza tra risarcimento e tabella» non «può costituire un motivo di impugnazione in sede di legittimità», eventualmente può costituirlo la divergenza tra risarcimento ed effettiva gravità del danno. Nel caso di specie il ricorrente non ha dedotto alcuna circostanza di fatto che avrebbe giustificato una più cospicua liquidazione del danno non patrimoniale.

Sulla base di tali argomenti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

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