La parte è responsabile delle espressioni offensive negli atti difensivi

Redazione Scientifica
03 Marzo 2016

Destinataria della domanda di risarcimento del danno ex art. 89, comma 2, c.p.c., è sempre e solo la parte che, se condannata, potrà rivalersi nei confronti del difensore cui siano addebitabili le espressioni offensive, ove ne ricorrano le condizioni.

Il caso. Due avvocati sono stati condannati dal giudice di primo grado alla cancellazione di alcune espressioni dagli scritti difensivi delle parti, ai sensi dell'art. 89 c.p.c., e al pagamento, l'uno in favore dell'altro, di 100 € a titolo risarcitorio. La Corte d'Appello ha rigettato gli appelli proposti dagli avvocati in via principale ed in via incidentale, evidenziando come la condanna al pagamento avesse un valore meramente simbolico e non patrimoniale, ponendosi come obiettivo la stigmatizzazione del loro comportamento.

La decisione viene impugnata in Cassazione dall'avvocato per violazione degli artt. 89 c.p.c. e 24 e 111 Cost., secondo cui il diritto di difesa è garantito anche nel caso in cui gli scritti difensivi contengano espressioni forti e colorite ma attinenti l'oggetto del giudizio. Difatti ciò comporterebbe la condanna al risarcimento solo della parte e mai del procuratore.

La sola parte risponde delle espressioni offensive. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, richiamando principi di diritto già espressi secondo cui «ai sensi dell'art. 89 c.p.c., delle offese contenute negli scritti difensivi risponde sempre la parte, anche quando provengano dal difensore, sia perché gli atti sono sempre riferibili alla parte, sia perché la sentenza può contenere statuizioni dirette soltanto nei confronti della parte in causa» (Cass. civ., Sez.III, Sent. del 26 luglio 2002, n. 11063). Sottolinea, inoltre, come sia «sempre e solo la parte, legittimata passivamente, che , se condannata, potrà rivalersi nei confronti del difensore, cui siano addebitabili le espressioni offensive, ove ne ricorrano le condizioni» (Cass. civ., Sez. II, 9 settembre 2008, n. 23333). Infine, ribadisce che “il difensore è passivamente legittimato, a titolo personale, nell'azione per danni da espressioni offensive contenute negli atti di un processo, proposta davanti ad un giudice diverso da quello che ha definito quest'ultimo, ove non sia più possibile agire ai sensi dell'art. 89 c.p.c.”, (Cass. civ., Sez.VI, 29 agosto 2013 n. 19907; Cass. civ., Sez.III, 12 settembre 2013 n. 20891; Cass. civ. , Sez. III, 9 luglio 2009 n. 16121; Cass. civ. Sez. III, 7 agosto 2001 n. 10916).

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