Danno biologico permanente liquidato sulla durata effettiva della vita goduta dalla vittima fino al decesso
03 Ottobre 2014
In seguito a incidente T. Luigi riporta lesioni gravissime e dopo ottantatré giorni di ricovero muore in ospedale. Il tribunale per risarcire i congiunti calcola il danno biologico permanente sulla base dell'effettivo periodo di vita di cui la vittima ha goduto fino al decesso discostandosi dalle tabelle milanesi che indicano come parametro l'aspettativa di vita media.
Trib. Vallo della Lucania 24 gennaio 2014, n. 25
I fatti. Il sig. T.Luigi, mentre percorreva una strada provinciale, alla guida della sua moto viene sorpassato da un'autovettura di colore bianco che lo urta scaraventandolo contro il guard-rail. Dopo ottantatré giorni di ricovero per le gravi lesioni riportate muore in ospedale. L'autore del reato di omicidio colposo rimane sconosciuto, e il GIP dispone l'archiviazione del procedimento. La moglie e i figli (rispettivamente R. Anna, e T. Aida, T. Mario, T. Annamaria, T. Augusta, T. Mario e M. Annamaria) chiedono il risarcimento per i danni subiti dal congiunto (e dagli istanti stessi ereditati iure proprio come specificato in ricorso) alle Assicurazioni G., quale impresa designata dal FGVS (Fondo di Garanzia vittime della strada), e dalla Consap. I convenuti rigettano la domanda. Il giudice, accertata l'impossibilità di ricostruire la posizione del motociclo e la sua condotta al momento del dedotto sorpasso in mancanza di elementi che provino che la vittima abbia fatto tutto il possibile per evitare l'incidente, ritiene di dover dichiarare il concorso di responsabilità tra il T. Luigi e il conducente dell'auto (nella misura del 10% e 90%) e condanna i convenuti al risarcimento del danno nella misura del 90%. Riconosciuta la fondatezza della domanda risarcitoria il tribunale esamina i danni patrimoniali e non patrimoniali, subiti dalla vittima, che si trasmettono iure hereditatis agli eredi.
Danni non patrimoniali risarcibili. In merito al risarcimento del danno non patrimoniale, il tribunale segue i principi espressi dalle Sezioni Unite nelle sentenze di San Martino (cfr. Cass. S.U., 11 novembre 2008, n. 26972) per cui il danno non patrimoniale viene individuato come categoria generale non suscettibile di suddivisione in sottocategorie. Il giudice ritiene che gli eredi abbiano diritto, iure hereditatis, al danno biologico (per la lesione della integrità psico-fisica sofferta dal congiunto per ben 83 giorni) e al danno morale (cd. danno catastrofale per la sofferenza patita dalla vittima - a causa delle lesioni riportate - nell'assistere, nel lasso di tempo compreso tra l'evento e la morte, alla consapevole perdita della propria vita, cfr. Cass. 21 marzo 2013, n. 7126) patiti dalla vittima, con valori che vanno personalizzati in relazione al caso concreto (cfr. Cass. 28 novembre 2008, n. 28423). Non è, invece, risarcibile il cd. danno tanatologico connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute (cfr. Cass. 24 marzo 2011, n. 6754). Dalla CTU si riconosce un danno biologico del 100% in quanto si sommano il danno per paraplegia valutato intorno al 85% e le altre lesioni subite stimate intorno al 15%. Il giudice però, anche se le tabelle milanesi riconoscono questa percentuale massima come danno biologico, si discosta da quanto rilevato dal consulente tecnico. Se infatti vi fosse un danno biologico del 100% questo equivarrebbe alla perdita di tutte le funzioni vitali (qui insussistente), il danno andrebbe a qualificarsi come perdita della vita e come tale non liquidabile. La invalidità permanente viene quindi valutata dal giudice nella misura del 90%.
Determinazione del quantum. Per la liquidazione del danno non patrimoniale il giudice si attiene alle tabelle milanesi - edizione 2013- che prevedono la liquidazione congiunta del:
Il danno non patrimoniale (sia biologico che morale, cd. catastrofale) viene quindi liquidato in euro 847.613, il giudice procede poi alla personalizzazione del danno.
Danno biologico e parametro di durata effettiva/probabile della vita. Il tribunale considera la lucida agonia della vittima durata ottantatré giorni. In tale periodo di tempo vi è stato il “permanere” del danno biologico e quindi per determinarne il risarcimento, nel caso specifico, non si può usare come parametro la vita media così come indicato nelle tabelle milanesi. In questo caso il danno biologico va calcolato sulla sua durata effettiva della vita del defunto e non sulla base della durata probabile di vita (cfr. Cass. n. 23053/2009). Il giudice quindi determina il risarcimento non in considerazione dell'inabilità temporanea (tra l'altro definibile come tale non per normale ripresa delle attività, bensì per il sopraggiungere del decesso), bensì tenendo presente la lesione permanente dell'integrità fisica del soggetto per un periodo di ottantatré giorni e non per la durata media della vita considerata dalle tabelle. Diversamente si avrebbe un risarcimento maggiore per il soggetto che pur riportando le stesse lesioni (un danno permanente) sopravviva, rispetto a chi, come in questo caso, non sopravviva. Tale paradossale disparità di trattamento si può evitare riconoscendo il danno biologico permanente sulla base dell'effettivo periodo di vita di cui la vittima ha goduto fino al decesso e non sulla base della sua aspettativa di vita media (come previsto da tabella).
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