Risarcimento del danno da trattamento carcerario ‘inumano o degradante’

Francesca Ghezzi
03 Luglio 2014

La norma introduce una forma di rimedio compensativo, in forma specifica ed in forma monetaria, per offrire una riparazione al pregiudizio derivante dal sovraffollamento carcerario, qualora risulti violato l'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, rubricato “proibizione della tortura”.

Adeguata tutela dei diritti delle persone private della libertà. A seguito della condanna dello Stato con la sentenza pilota Torregiani del 8 gennaio 2013, la Corte di Strasburgo, in considerazione del carattere strutturale delle violazioni riscontrate, ha ordinato alle autorità nazionali di introdurre, nel termine di un anno, accanto ad una serie di efficaci misure strutturali idonee a ridurre la popolazione carceraria, un insieme di rimedi preventivi e compensativi idonei ad offrire un'adeguata tutela dei diritti delle persone private della libertà, gravemente incisi dalle particolari condizioni di sovraffollamento carcerario. Il Decreto Legge 26 giugno 2014 n. 92 introduce uno strumento compensativo caratterizzato dalla presenza di due meccanismi destinati ad integrarsi: per coloro che siano ancora detenuti, viene offerto un risarcimento sostanzialmente in forma specifica; per coloro che hanno subito il predetto pregiudizio in forza di una misura cautelare custodiale non computabile nella determinazione della pena da espiare, o coloro che tale pena hanno già espiato, un risarcimento in forma monetaria. Si tratta di una disciplina che non introduce un nuovo illecito civile ma che viene a sostituirsi all'ordinaria disciplina civilistica in tema di risarcimento del danno i cui profili di specialità riguardano: la competenza del Magistrato di sorveglianza a decidere sull'azione risarcitoria (cfr. Cass. civ., sent. n. 4772/2013) e, nei casi in cui la competenza spetta al Tribunale civile, il tipo di procedimento (ex art. 737 c.p.p.). In entrambi i casi, la specialità investe altresì il contenuto del risarcimento.

Riduzione della pena detentiva. Il rimedio è azionabile davanti al Magistrato di sorveglianza da parte del soggetto detenuto o internato che versi in una situazione di attuale e grave pregiudizio che deve afferire ad una condizione detentiva tale da violare l'articolo 3 CEDU (art. 69 comma 6 lettera b) l. n. 354/1975; in senso difforme cfr. ordinanza MS Bologna 26 settembre 2014). La forma di riparazione consiste nella riduzione della pena detentiva ancora da espiare nella misura di 1 giorno per ogni 10 di pena già eseguita. Solo qualora il risarcimento in forma specifica non sia possibile in relazione al quantum di pena residua, il Magistrato liquida altresì una somma di denaro. Il provvedimento può essere reclamato davanti al Tribunale di Sorveglianza.

La competenza e condizioni di esperibilità del rimedio. La competenzaspetta al Tribunale distrettuale civile, con procedimento camerale, in composizione monocratica, che decide con decreto non reclamabile, in tutte le ipotesi di danno cagionato da atti e/o comportamenti dell'amministrazione penitenziaria, ivi comprese le lesioni, non attuali, di soggetti detenuti o internati. Il rimedio risarcitorio civilistico, per equivalente economico, potrà essere attivato anche da parte di coloro che abbiano subito il pregiudizio antecedentemente all'entrata in vigore del decreto legge, ed a prescindere dalla previa introduzione del giudizio risarcitorio innanzi alla Corte di Strasburgo, purché sia rispettato il termine decadenziale semestrale (art. 2 d.l. n. 92/2014); ciò in forza di esigenze di parità di trattamento tra coloro che abbiano subito il pregiudizio per le condizioni di detenzione patite e che siano ancora detenuti e coloro che hanno cessato di espiare la pena detentiva o non si trovano più in stato di custodia cautelare in carcere. La Corte di Strasburgo ha definito intollerabile, e pertanto lesiva dei diritti inviolabili, una detenzione in spazi inferiori o pari a 3 mq per persona (cfr. sentenza 16 luglio 2009, SULEJMANOVIC c. Italia, ricorso n. 22635/03); il giudice, pertanto, accerterà la violazione dell'art. 3 CEDU valutando: la quantità di luce ed aria, le ore trascorse in ambienti comuni ed all'aperto, le condizioni igieniche e di vivibilità, le attività trattamentali e di lavoro, ed anche i trattamenti sanitari apprestati, solo se le dimensioni della cella superano il criterio dei 3 mq di cui sopra. Gli spazi vitali devono essere calcolati al netto del mobilio: in particolare non possono essere presi in considerazione gli arredi fissi, quali gli armadi ed i locali bagni (cfr. ordinanza MS Padova 25 settembre 2014). Attesa la natura civilistica dell'azione, deve ritenersi che sull'interessato incombe l'onere di allegare gli elementi di fatto e di diritto che intende porre a fondamento della propria pretesa risarcitoria.

Quantum risarcitorio. In relazione al quantum del risarcimento si tratta di una disciplina che introduce, in maniera del tutto eccezionale, forme predeterminate e rigide di risarcimento, sia in forma specifica che per equivalente. Il risarcimento è quantificato nella misura di 8 euro pro die ovvero, nella riduzione di un 1 giorno di pena ogni 10 giorni di detenzione trascorsi in condizioni disumane. Alcuna discrezionalità sul punto residua al giudicante, nonostante la natura assolutamente fondamentale del diritto violato e la necessità della cd. personalizzazione del danno, in ragione delle varie modalità di compressione del diritto come sopra esemplificate (cfr. Cass., S.U., n. 26972/2008).

Termine di prescrizione. Infine, riguardo alla mancata previsione di un termine di prescrizione speciale, trova operatività la prescrizione ordinaria sensi dell'articolo 2947 c.c. a meno che non si ritenga la responsabilità in questione una responsabilità da contatto sociale (cfr. delibera CSM 30 luglio 2014).

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