Pubblicazione arbitraria di atti del procedimento penale ed irrisarcibilità del danno non patrimoniale di lieve entità

Redazione Scientifica
04 Marzo 2016

Le Sezioni Unite si sono espresse in riferimento al contrasto giurisprudenziale esistente in riferimento al combinato disposto degli artt. 684 c.p. (Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale) e 114 c.p.p. (Divieto di pubblicazione di atti e di immagini).

Il caso. Al termine delle indagini effettuate nei confronti di un importante imprenditore televisivo, in ordine alla presunta frode fiscale nella compravendita di diritti televisivi, un quotidiano pubblicava sul proprio numero un articolo su tale vicenda giudiziaria.

L'imprenditore ricorreva avanti al Tribunale per richiedere la condanna al risarcimento dei danni patiti a seguito della diffamatoria ed illecita pubblicazione, deducendo la violazione dell'art. 684 c.p. e della normativa i tema di tutela della privacy.

I giudici di prime e seconde cure rigettavano la domanda , dal momento che la pubblicazione «si esauriva nella riproduzione letterale di due frasi, marginali e minime, riprese dall'interrogatorio del legale, riguardanti» l'imprenditore.

La vicenda, giunta in Cassazione, ha portato all'emersione di un contrasto giurisprudenziale per cui si è ritenuto necessario adire l'intervento delle Sezioni Unite civili: non è infatti presente un'interpretazione armonica in riferimento al combinato disposto degli artt. 684 c.p. e 114 c.p.p..

Il contrasto. Due i quesiti a cui rispondere:

  1. «Se la previsione della norma incriminatrice, che blinda la divulgabilità degli atti del processo penale, integri o meno un reato plurioffensivo, in quanto preordinato a garanzia non solo dell'interesse dello Stato al retto funzionamento dell'attività giudiziaria, ma anche delle posizioni delle parti e segnatamente, della reputazione delle stesse»;
  2. «Se sia scrutinabile l'entità della riproduzione, sì da potersi, se del caso, accedere a un giudizio di insignificanza del dato riportato e quindi di sostanziale inoffensività della condotta ascritta all'autore della pubblicazione»;

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Per quanto concerne il primo quesito sulla “natura” del reato di cui all'art. 684 c.p.:

l'orientamento prevalente riconosce che la fattispecie criminosa in esame «costituisce reato plurioffensivo (…) in quanto diretto a tutelare, nella fase istruttoria, la dignità e la reputazione di tutti coloro che, sotto differenti sotto differenti vesti, partecipano al processo», oltre a garantire l'interesse dello Stato al retto funzionamento dell'attività giudiziaria (Cass., 31 ottobre 2015, n. 838; Cass., n. 17602/2013).

L'orientamento minoritario ha invece «individuato l'oggettività giuridica del reato di cui all'art. 684 c.p. unicamente nell'interesse dello Stato al normale funzionamento dell'attività giudiziaria mediante la segretezza della fase istruttoria al fine di impedire l'inquinamento della prova o la fuga di compartecipi» (Cass., n. 2320/1981), nonché «ha escluso ogni attinenza della tutela penale accordata dall'art. 684 c.p. alla sfera di riservatezza dell'indagato o dell'imputato, circoscrivendola alla sola protezione delle esigenze di giustizia inerenti al processo penale nella delicata fase di acquisizione della prova» (Cass., n. 19746/2014).

Le Sezioni Unite ritengono che «debba essere preferito quello che esclude il carattere plurioffensivo del reato di cui all'art. 684 c.p., conseguentemente negando la legittimazione del privato a far valere una pretesa risarcitoria in dipendenza della sola violazione della predetta norma, in assenza, cioè, di una concreta lesione alla sua reputazione e alla sua riservatezza», salvo non sia derivata la lesione di beni della persona autonomamente tutelabili in base ad altre norme dell'ordinamento. A base del ragionamento sta l'ultimo comma dell'art. 114 c.p.p. che consente sempre la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto.

Riconosciuta la monoffensività del reato ex art. 684 c.p., la cassazione passa ad affrontare la seconda questione, relativa alla possibilità di valutare, ai fini dello scrutinio in ordine alla sua esistenza, l'entità della riproduzione:

Le Sezioni Unite sono giunte alla conclusione che: ove l'entità della riproduzione «sia scrutinabile in chiave di particolar tenuità del fatto, ex art. 131-bis c.p., le ricadute sul piano civilistico dell'applicazione di una causa di non punibilità che, incidendo solo sull'applicabilità della sanzione e non sull'esistenza del reato (art. 3, d.lgs. n. 28/2015), lascia in tesi aperto il problema della valutazione, in termini di illegittimità, dell'acquisizione dei dati ai fini della dedotta violazione della disciplina sulla privacy, ex art. 11 d.lgs. n. 196/2003».

Pertanto, «occorre ricordare che al principio della necessaria offensività (…) fa da pendant, nell'ordinamento privatistico, quello della irrisarcibilità del danno non patrimoniale di lieve entità»: ai fini del ristoro l'offesa deve superare un soglia minima di tollerabilità, il danno non deve essere futile, ovverosia non consista in meri disagi o fastidi (V. Cass., n. 26972/2008).

In conclusione:

  1. La fattispecie criminosa di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale di cui all'art. 684 c.p. integra un reato monoffensivo, posto che obiettivo della norma, prima della conclusione delle indagini preliminari, è quello di compromettere il buon andamento delle stesse e, dopo tale momento, quello di salvaguardare i prinicpi propri del processo accusatorio;
  2. Nessuna autonoma pretesa risarcitoria può essere avanzata dalla parte coinvolta nel processo per il solo fatto che sia stata violata la norma incriminatrice predetta;
  3. La portata della violazione, sotto il profilo della limitatezza e della marginalità della riproduzione testuale di un atto processuale, va apprezzata dal giudice di merito, in applicazione del principio della necessaria offensività della concreta condotta ascritta all'autore, nonché sul piano civilistico della irrisarcibilità del danno patrimoniale di lieve entità; la relativa valutazione è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata.

Andando ora ad applicare i criteri soprarichiamati alla fattispecie, la Cassazione rigetta il ricorso presentato dall'imprenditore.

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