Responsabilità civile magistrati: la citazione in giudizio del giudice non esclude che lo stesso possa giudicare in sede penale

Redazione Scientifica
04 Maggio 2015

L'azione di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, proposta ai sensi della L. n. 117/1988, anche dopo le modifiche introdotte della L. n. 23/2015, non costituisce una ragione idonea e sufficiente ad imporre la sostituzione del singolo magistrato. Pertanto, la proposizione dell'azione di responsabilità non è un valido presupposto per un'eventuale richiesta di rimessione del processo penale non costituendo una grave situazione locale, tale da pregiudicare il corretto svolgimento del processo.

Ipse dixit. «La proposizione di più azioni di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, esercitata ai sensi della legge n. 117/1988 e pur dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 23/2015 nei confronti di più magistrati di un medesimo ufficio giudiziario, non costituisce grave situazione locale idonea ad imporre la rimessione del processo». Queste le parole del Supremo Collegio in una delle primissime pronunce che interessano la novella disciplina della responsabilità civile dei Magistrati (Cass. pen. n. 16924/2015).

Il caso. Un uomo, imputato in un giudizio penale, citava i magistrati assegnati alla sezione penale del tribunale, ai sensi della L. n. 117/1988 (cd. Legge Vassalli), come recentemente modificata dalla Legge Buemi (L. n. 18/2015). L'uomo, attraverso l'azione di responsabilità, chiedeva il ristoro dei danni patiti a causa di un sequestro, poi annullato dalla Cassazione. Quegli stessi magistrati erano, poi, stati chiamati a giudicare l'uomo per una serie di ipotesi delittuose. Lo stesso ricorrente-imputato aveva pertanto chiesto la rimessione del processo ad altra sede: secondo il richiedente sussisteva una posizione di incompatibilità ambientale e conflitto di interessi, pendendo un'azione civile per risarcimento dei danni giudiziari nei confronti dei soggetti chiamati a giudicarlo in sede penale.

“Effetto domino”: dall'azione civile contro i magistrati alla rimessione del processo. In estrema sintesi, l'uomo aveva proposto contestualmente l'azione per la responsabilità civile nei confronti dei magistrati e la richiesta di rimessione del processo. Il richiedente aveva il legittimo sospetto di incompatibilità ambientale e di mancanza dei presupposti per un giusto processo: i giudici chiamati a giudicare in sede penale l'uomo, non rappresentavano più un giudicante imparziale e terzo, essendo divenuti debitori dell'imputato, a causa della proposizione dell'azione di responsabilità civile esercitata avverso gli stessi. Il tutto alla luce della Legge Buemi, che ha eliminato il filtro di ammissibilità.

Risposta negativa degli Ermellini. Come insegnano le Sezioni Unite (ord. n. 13687/2003) «l'istituto della rimessione ha carattere eccezionale, implicando una deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge»; pertanto, «per grave situazione locale, deve intendersi un fenomeno esterno alla dialettica processuale, riguardante l'ambiente territoriale nel quale il processo si svolge». Del tutto estranei al sistema che caratterizza questo istituto sono i rapporti personali tra la parte e i giudici, questioni che invece riguardano l'istituto della ricusazione. Sulla base di tali argomenti, i giudici di Piazza Cavour hanno dichiarato inammissibile la richiesta di rimessione, condannano il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Alcune precisazioni: il magistrato non diviene debitore. La VI sezione penale della Cassazione ha anche precisato che il giudice «la cui condotta professionale sia stata oggetto di una domanda risarcitoria ex lege n. 117/1988 non assume mai la qualità di debitore di chi tale domanda abbia proposto». Questo perché, - anche dopo la riforma L. n. 18/2015 che ha “spazzato via” il filtro di ammissibilità - «la domanda può essere proposta solo ed esclusivamente nei confronti dello Stato (salvi i casi di condotta penalmente rilevante, art. 13) . Né l'eventualità di una successiva rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato, nel caso in cui quell'originaria azione si sia conclusa con la condanna dell'Amministrazione, muta la conclusione, perché i presupposti e i contenuti di rivalsa sono parzialmente diversi da quelli dell'azione diretta della parte privata nei confronti del solo Stato».

In sintesi: «non solo la qualità di debitore si assume nel momento in cui viene riconosciuta la compiuta fondatezza della pretesa risarcitoria, e non prima, ma nel caso del sistema della L. n. 117/1988 il magistrato la cui condotta professionale è valutata nel processo civile non potrà mai assumere la qualità di debitore della parte privata».

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