Risarcimento per strage da amianto: la morte è componente essenziale del danno

Redazione Scientifica
04 Luglio 2014

In una causa di lavoro la liquidazione del danno da perdita della vita subito dalle vittime in una strage di amianto viene calcolata senza distinzione tra danno da malattia (biologico e catastrofale) e danno da morte, in quanto la morte integra il danno in qualità di sua componente essenziale.

In una causa di lavoro la liquidazione del danno da perdita della vita subito dalle vittime in una strage di amianto viene calcolata senza distinzione tra danno da malattia (biologico e catastrofale) e danno da morte, in quanto la morte integra il danno in qualità di sua componente essenziale.

App. Ancona, sez. lav., 17 giugno 2014, n. 450

I fatti. La spa …. viene condannata dal giudice del lavoro del tribunale di Ancona al risarcimento del danno da morte di quattro lavoratori dipendenti causata da inalazione di fibre di amianto verificatasi durante l'attività lavorativa. La spa … ricorre in appello impugnando le sentenze di condanna emesse per responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) per omicidio colposo e per responsabilità contrattuale per omissione di misure di prevenzione cui il datore di lavoro era tenuto (ex. art. 2087 c.c.). Mentre per il danno psichico subito personalmente dai superstiti la Corte conferma integralmente i risultati esposti nelle sentenze impugnate, in merito al danno subito direttamente ed esclusivamente dal dipendente ammalatosi e morto per la tecnopatia e trasmesso agli eredi, la Corte procede a una riquantificazione del danno.

Danno da malattia e danno da morte. La corte ritiene che il danno in questione deve essere considerato unico pertanto valutato unitariamente con una liquidazione complessiva e globale. Non è infatti possibile distinguere due profili di danno: uno corrispondente alle sofferenze conseguenti alla malattia, l'altro alle sofferenze conseguenti alla morte con la quale e per la quale la malattia è esistita. Questa valutazione della Corte è finalizzata e necessaria al giudizio che si esprime nel senso che ai quattro spettava, e quindi agli eredi spetta, il maggior risarcimento ammissibile.

Nei quattro casi di giudizio infatti vi è stato un danno cagionato da malattie dolorose, prolungate afflittive, sia per quanto concerne il dolore fisico, sia le sofferenze psichiche, per la gravità dell'inganno, della ingiustizia subita e per la consapevole prospettiva ineludibile dell'esito letale. “I defunti hanno terminato la loro esistenza con la malattia , l'agonia e la morte più tragica che la sorte possa riservare”. Ed è solo con la morte che sono giunti a compimento il reato e il concorrente inadempimento contrattuale, fattispecie da cui deriva la responsabilità del danneggiante; questo rileva per l'individuazione del termine di prescrizione del diritto al risarcimento sia in riferimento all'illecito extracontrattuale (omicidio colposo), sia quello contrattuale (omissione di misure di prevenzione cui il datore di lavoro era tenuto) proprio perché la prescrizione non può decorrere prima dell'insorgenza completa del danno.

Il risarcimento del danno va pertanto quantificato alla luce del fatto che deve essere considerato unico proprio perché costituito non solo da elementi contingenti ed eventualmente frazionati da episodi morbosi, ma anche ed infine da un evento culminante con la morte.

Anche se i danneggiati avessero agito giudizialmente prima della morte per ottenere risarcimento, nella liquidazione si sarebbe comunque dovuta considerare la prospettiva del decesso come inevitabile, in quanto la morte integra il danno in qualità di componente essenziale. Come stabilito dalle note sentenze di San Martino del 2008 il risarcimento del danno non deve essere frazionato, bensì riconosciuto secondo una valutazione globale comprensiva di tutti gli elementi utili alla corretta e adeguata liquidazione.

Tale domanda risarcitoria può ben essere proposta dagli eredi delle quattro vittime che subentrano in tutti i loro diritti.

Criteri di liquidazione del danno. La estrema gravità dei danni comporta che il risarcimento debba essere liquidato nel massimo possibile. Sebbene le tabelle di Milano siano state ritenute inidonee per la liquidazione del danno da morte, è pur vero che si può ricorrere a tali tabelle per quantificare il generale e astratto valore della vita umana mediante il raffronto con il livello massimo del risarcimento previsto per l'invalidità totale; tale valore della vita risulta così desumibile dal danno biologico complessivo totale in riferimento ad una età media delle vittime su una fascia rappresentativa dell'età matura.

Nello specifico la Corte assume come base per la liquidazione del danno in esame il valore monetario corrispondente al danno biologico permanente al 100%, per la fascia di età matura tra i 50 e i 60 anni (due lavoratori avevano 57 anni, uno 66, uno 74, e nonostante la maggiore età di questi ultimi due la condizione viene considerata sostanzialmente omogenea per l' aspettativa di vita raggiunta da una persona in età matura). Per tale fascia anagrafica si assume un comune denominatore di 750.000,00 euro, da attribuire agli eredi di ciascuna delle quattro vittime.

Si motiva in sentenza che il danno, complessivamente liquidato e trasmissibile agli eredi, appare omogeneo per ciascuno dei quattro alvoratori deceduti, e quindi, non sono considerate le differenze tra le condizioni di vita dei familiari delle vittime proprio per la sostanziale omogeneità delle quattro vicende tragiche.

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