Nessun risarcimento per l’interruzione della linea ADSL nello studio legale

Redazione Scientifica
05 Luglio 2017

La mera interruzione, pur per un periodo consistente, della linea di collegamento internet che corre abbinata alla linea telefonica dello studio professionale non costituisce una violazione sufficientemente grave e rilevante da determinare un pregiudizio risarcibile.

IL CASO Un avvocato propone domanda per ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, subiti in conseguenza della sospensione arbitraria del collegamento ADSL ad internet nel suo studio professionale da parte di Telecom Spa, durato un paio di mesi. La società di telecomunicazioni attribuiva la colpa dell'interruzione del servizio al gestore telefonico a cui era passato il professionista, Wind Spa. Entrambe le società vengono condannate nel giudizio di primo grado al risarcimento all'avvocato di 1000 € ciascuna. In grado d'appello, il Tribunale di Ascoli Piceno accerta la piena responsabilità di Telecom, che aveva illegittimamente interrotto il servizio ADSL non appena la Wind le aveva comunicato il passaggio alla sua gestione come operatore telefonico, mentre avrebbe dovuto trasferire a Wind la linea senza interrompere il servizio. Il giudice di merito respinge, però, la domanda risarcitoria del ricorrente, ritenendo non provato il danno. Il ricorrente propone ora ricorso per Cassazione, articolandolo in sei motivi.

VIOLAZIONE GRAVE E RILEVANTE Con il primo motivo di ricorso, il professionista ritiene che sia stato violato il suo diritto alla comunicazione, allo sviluppo della personalità e alla possibilità di svolgere efficacemente il proprio lavoro per il fatto di non aver potuto usufruire del collegamento internet veloce. La Suprema Corte ritiene invece corretta la valutazione del giudice di merito che non ha considerato i disagi ed i fastidi derivanti dall'interruzione del servizio «tali da impingere direttamente nella tutela della libertà e sicurezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», tanto più che il ricorrente non ha indicato limitazioni tali da pregiudicargli il diritto a comunicare.

RISARCIBILITÀ DELLA LESIONE DI DIRITTI INVIOLABILI La Suprema Corte ricorda che, come affermato dalle Sezioni Unite n. 26972/2008, il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile, ex art. 2059 c.c., anche quando non sussiste un fatto-reato, a tre condizioni:

  • l'interesse leso, non il pregiudizio sofferto, deve avere rilevanza costituzionale;
  • la lesione deve essere grave, ossia deve superare una soglia minima di tollerabilità;
  • il danno non deve essere futile.

Il Giudice di merito aveva dunque ben ritenuto che la mera interruzione, pur per un periodo consistente, della linea di collegamento internet che correva abbinata alla linea telefonica dello studio non costituisse una violazione sufficientemente grave e rilevante da determinare un pregiudizio risarcibile. Diverso sarebbe stato il caso di un'assoluta privazione della possibilità della libera fruizione del collegamento ad internet: disponendo della linea telefonica, avrebbe infatti potuto svolgere comunque molte delle attività che prima svolgeva tramite internet.

INDENNIZZO ANCHE SENZA PROVA DEL DANNO? Con il quinto ed il sesto motivo di ricorso l'attore denuncia infine la violazione di una delibera dell'Autorità garante per le telecomunicazioni «che determina un indennizzo da parte dell'esercente nei confronti del cliente nel caso che un determinato servizio non sia erogato, a prescindere dalla prova del danno», ritenendo che il giudice di merito avrebbe dovuto liquidare un danno pari quanto meno all'indennizzo giornaliero moltiplicato per i giorni di interruzione del servizio, oppure che avrebbe dovuto comunque liquidare il danno ex art. 40 d.m. Poste e Telecomunicazioni n. 197/1997, che prevedeva un criterio di quantificazione dell'indennizzo spettante in caso di interruzione del servizio.

FUNZIONE DEFLATTIVA DEGLI INDENNIZZI La Cassazione ritiene infondati i motivi, chiarendo che gli indennizzi previsti e posti a fondamento degli ultimi due motivi del ricorso avevano funzione meramente deflattiva, per prevenire ed evitare il contenzioso. La Corte esclude qualunque valenza di presunzione sul verificarsi del danno, ritenendo che non potessero supplire in alcun modo alla mancata prova del verificarsi del danno, né sotto il profilo dell'an, né del quantum. Tuttalpiù, conclude la Corte, tali indennizzi potrebbero essere richiamati come parametro per il risarcimento in via equitativa solo nel caso in cui l'attore avesse già fornito prova dell'effettivo verificarsi del danno patrimoniale, che non fosse altrimenti quantificabile.

La Suprema Corte rigetta dunque il ricorso e condanna il ricorrente al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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