Lesione della capacità sessuale: l’ospedale deve risarcire la donna per colpa medica e violazione del diritto al consenso informato

Redazione Scientifica
05 Maggio 2016

L'ospedale deve risarcire la paziente se dall'errore medico, nell'esecuzione di un intervento, discendano danni tali da non permettere più alla donna di poter avere qualsiasi rapporto sessuale con il proprio coniuge.

Il caso. Una donna si sottoponeva ad un intervento di «istrectomia per prolasso genitale totale», nel corso del quale il chirurgo eseguiva una non preventivata plastica vaginale con applicazione di Marlex, asportando un'ampia porzione di parete vaginale e provocandone una riduzione del calibro e della profondità.

Si rendeva necessario un secondo intervento, con il quale però non si riuscì a ricostruire l'apparato genitale, ormai fortemente escisso in seguito al primo intervento.

La donna ricorreva allora in giudizio, deducendo la grave responsabilità della struttura ospedaliera e ne chiedeva la condanna al risarcimento di tutti i danni biologici, morali ed esistenziali connessi all'esecuzione dell'intervento riparatorio, nonché per l'impossibilità di intrattenere qualsiasi rapporto sessuale con il proprio coniuge.

Errore medico. Afferma il Tribunale che lacunosità della cartella clinica ricade sul sanitario, atteso che «l'eventuale incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza di un valido legame causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente soltanto quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l'accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare la lesione» (Cass. n.12218/2015).

Inoltre dalla Ctu sono emersi chiari e rilevanti errori nell'esecuzione dell'intervento:

  1. la ctu ha, infatti, evidenziato come il chirurgo durante l'isterectomia vaginale abbia proceduto ad una eccessiva escissione del tessuto, non rendendo più possibile per la donna avere rapporti sessuali. Invero, nonostante la ricorrente fosse affetta da una patologia congenita, aveva concepito e portato a termine 3 gravidanze e pertanto aveva una capacità sessuale e riproduttiva comprovata. In conclusione, prima dell'intervento, la donna aveva un tessuto vaginale non ancora compromesso ai fini della possibilità di avere una vita sessuale. Ciò «”molto più probabile che non” è avvenuto per errore del chirurgo che ha proceduto alla notevole resezione pur in assenza di un esame clinico oggettivo antecedente che ne giustificasse la portata, resezione infatti non corretta in base al successivo esame clinico»;
  2. la ctu ha rilevato che dalla cartella clinica non risultava riportata alcuna visita ginecologica e nemmeno lo stato pre intervento all'esame obiettivo. Inoltre si riscontra la totale carenza di consenso informato. Ne deriva che «la paziente verosimilmente avrebbe potuto non accettare il trattamento se avesse saputo l'exitus ovvero la sua capacità coeundi».

Danno biologico e da lucro cessante. Sulla base di tali argomenti il Tribunale di Roma, facendo applicazione delle tabelle romane di liquidazione del danno, ha riconosciuto un danno non patrimoniale alla paziente per complessivi 51.504,69 €.

Nel caso di specie, è da riconoscersi anche il danno da lucro cessante per la mancata disponibilità della somma dovuta per il periodo intercorso dalla data del fatto lesivo (gennaio 2000) alla presente decisione, «consistente nella perdita di frutti civili che il danneggiato avrebbe potuto ritirare – ove la somma fosse stata corrisposta tempestivamente – dall'impiego dell'equivalente monetario del valore economico del bene perduto con l'attribuzione di interessi a un tasso non necessariamente coincidente con quello legale» (Cass. n. 18445/2005).

Pertanto la somma dovuta alla ricorrente è pari a 72.893,69 €.

Claims made. L'assicurazione aveva invocato l'inoperatività della polizza, ritenendo esclusa la copertura trattandosi di sinistro accaduto nel triennio precedente al periodo di vigenza contrattuale, ma non denunciato nel suddetto periodo.

Spiega il Tribunale che «la clausola claims made non può ritenersi illegittima» - come sostenuto dall'Ospedale – ossia «vessatoria», poiché «non costituisce un limite all'assunzione del rischio da parte dell'assicuratore, bensì attribuisce all'assicurato un vantaggio consistente nella copertura per sinistri verificatisi anche in un periodo precedente alla vigenza contrattuale seppure entro un limite preventivamente concordato di capienza e purchè la denuncia di sinistro avvenga nel periodo di vigenza contrattuale» (Cass., n. 7273/2013).

Nel caso di specie il sinistro non è avvenuto nel triennio precedente bensì durante la vigenza del contratto; lo stesso però è stato denunciato tardivamente. Tuttavia la limitazione della copertura solo per tardività della denuncia da parte dell'assicurato appare vessatoria, ed in quanto tale la garanzia deve ritenersi operante.

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