Il Tribunale di Milano detta i confini della responsabilità dell’avvocato

Redazione Scientifica
05 Ottobre 2015

Le obbligazioni inerenti l'esercizio dell'attività professionale di avvocato sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo, sicchè, ai fini del giudizio di responsabilità, rileva non già il conseguimento o meno del risultato utile per il cliente, ma le modalità concrete con la quali il professionista avvocato ha svolto la propria attività, avuto riguardo, da un lato, al dovere primario di tutelare le ragioni del cliente e, dall'altro, al rispetto del parametro di diligenza a cui è tenuto.

Il caso. Una donna conveniva in giudizio il suo avvocato, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità per inadempimento, per aver il professionista mal eseguito il mandato difensivo, conferito dall'attrice per ricevere assistenza giudiziale e stragiudiziale dei propri diritti e dei diritti del figlio minore a seguito della rottura della relazione con l'ex convivente. Secondo la donna, il professionista aveva tenuto condotte negligenti e manchevoli, violando, oltretutto, obblighi deontologici di lealtà e correttezza. Nel dettaglio:

  • nel procedimento avanti al Tribunale dei minorenni: a) non era stato prodotto il materiale fotografico – fornito al legale dalla cliente – necessario per comprendere lo stato della casa familiare da assegnare; b) l'avvocato non aveva proposto il reclamo, contro il provvedimento definitivo, nei termini di legge;
  • invece, nel procedimento in cui la donna era stata convenuta dall'ex convivente, l'avvocato aveva abbandonato la causa ex art. 309 c.p.c. ,senza un previo accordo con la cliente. Tale condotta avrebbe comportato un danno patrimoniale alla donna per la mancata refusione delle spese di lite in suo favore e nella mancata condanna per lite temeraria dell'ex convivente ricorrente.

Confini e limiti della responsabilità professionale. Il Giudice nel pronunciarsi ha ricordato alcuni dei principi cardine della responsabilità dell'avvocato.

Primo fra tutti il principio secondo cui «le obbligazioni inerenti l'esercizio dell'attività professionale di avvocato sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo», sicchè, «ai fini del giudizio di responsabilità, rileva non già il conseguimento o meno del risultato utile per il cliente, ma le modalità concrete con la quali il professionista avvocato ha svolto la propria attività, avuto riguardo, da un lato, al dovere primario di tutelare le ragioni del cliente e, dall'altro, al rispetto del parametro di diligenza a cui è tenuto» (Cass., 5 agosto 2013, n. 18612; Cass., 18 aprile 2011, n. 8863).

L'avvocato, d'altronde, è chiamato a svolgere il proprio mandato secondo la diligenza ex art. 1176 c.c., che è quella del professionista di media attenzione e preparazione, qualificato da perizia e impiego di strumenti tecnici adeguati.

È altrettanto pacifico che alla base del rapporto intercorrente tra avvocato e cliente vi è un'importante componente fiduciaria, «con la necessaria conseguenza che l'assistito rimette al suo difensore le scelte che quest'ultimo è tenuto ad espletare, con gli strumenti e le strategie difensive che ritiene più opportuni, purché siano volte a tutelare le ragioni della parte».

Inoltre, «l'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del cliente in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge e nei casi per negligenza o imperizia compromette il buon esito del giudizio», al contrario «nei casi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa» (Cass., 11 agosto 2005, n. 16846).

Infine, in tema di onere della prova, il cliente che sostenga di aver subito un danno a causa della condotta difensiva del proprio legale, è chiamato: a provare l'avvenuto conferimento del mandato difensivo; a dedurre l'inadeguata prestazione professionale; a provare l'esistenza del danno ed il nesso causale tra la difettosa prestazione professionale e il danno.

Venendo alla fattispecie in esame, e tenuto conto dei principi appena richiamati, il Giudice meneghino ha dichiarato infondata la domanda attorea.

La mancata allegazione. Per quanto riguarda il procedimento avanti al Tribunale per i minorenni, secondo il Giudice di merito, risulta che, quella posta in essere dall'avvocato, era stata una scelta difensiva e non una mancanza: il professionista consapevolmente non aveva prodotto in giudizio il materiale fotografico relativo alla casa familiare oggetto di contesta tra gli ex conviventi, poiché dalle foto non poteva evincersi l'uso esclusivamente abitativo dell'immobile (presentando arredi compatibili con l'uso da ufficio, come dedotto dall'ex partner).

Il mancato reclamo. Il legale non aveva, poi, proposto reclamo, ai sensi dell'art. 739 c.p.c., avverso il provvedimento definitivo del Tribunale per i minorenni con il quale veniva affidato il figlio minore alla donna ed anche la casa familiare con esclusione del piano terra. Tuttavia, la ricorrente non aveva provato la sussistenza del danno e del nesso di causalità derivante da questo inadempimento.

Inoltre, l'interesse dall'attrice all'impugnazione del provvedimento parzialmente sfavorevole era stato soddisfatto mediante la proposizione del reclamo incidentale nel quale l'attrice aveva potuto far valere le proprie ragioni e contestare il provvedimento di primo grado.

L'abbandono della causa. Per quanto riguarda il presunto inadempimento riguardante il procedimento in cui la donna era stata convenuto dall'ex partner, in base a quanto emerge dai documenti prodotti dalle parti e dai testi, l'attrice, diversamente da quanto sostenuto, era a conoscenza della scelta processuale di far estinguere il procedimento per mancata comparizioni delle parti ai sensi dell'art. 309 c.p.c.; «infatti» - specifica il Giudice milanese - «dalle prove acquisite è emerso che, l'accesa conflittualità degli ex conviventi, i prevedibili costi per una nuova causa da affrontare, unitamente alle sollecitazioni in tal senso da parte dell'organo giudicante, avevano indotto l'avvocato (omissis) a proporre alla sua cliente di abbandonare il procedimento e che la proposta veniva accettata» dalla cliente, «se pure a malincuore, sperando di ottenere stragiudizialmente dall'ex convivente le spese legali sostenute».

Sulla base di tali argomentazioni, il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti del professionista.

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