Responsabilità medica e danno da perdita di chance

Rosaria Giordano
06 Febbraio 2015

E' sempre più ricorrente nella prassi il riconoscimento, nell'ambito della responsabilità medica, del danno da perdita di chances di sopravvivenza e/o guarigione. La S.C. ha ormai chiarito che l'accertamento del nesso di causalità deve avvenire in accordo con la regola generale del “più probabile che non”, mentre l'entità delle chances del paziente di “opporsi” al processo morboso in atto mediante un corretto intervento medico rilevano soltanto ai fini della liquidazione equitativa del danno. Molteplici sono le questioni problematiche che vengono in rilievo, specie a fronte della mancata diagnosi di patologie tumorali già in fase terminale nonché nell'individuazione dei criteri concreti cui ancorare la liquidazione equitativa del danno subito dalla vittima primaria e dai prossimi congiunti.
Profili generali del danno da perdita di chance

Il danno da perdita di chance costituisce una voce di creazione giurisprudenziale mediante la quale viene riconosciuto il risarcimento alla compromissione che la vittima di un illecito ovvero di un adempimento subisce in quanto abbia visto svanire la possibilità di conseguire un certo risultato utile.

Il pregiudizio, quindi, non corrisponde al mancato conseguimento di tale vantaggio, bensì alla compromissione delle opportunità che la vittima aveva di conseguire lo stesso.

La dottrina più risalente, come noto, tendeva ad escludere che la chance costituisse un danno ingiusto risarcibile, ravvisandovi piuttosto la lesione di un interesse di mero fatto.

In seguito, si è, ormai da lungo tempo, affermata la ricostruzione del danno da perdita di chance quale lesione di un'aspettativa giuridicamente rilevante purché sussista la possibilità significativa, ossia superiore alla soglia del 50%, di conseguire un risultato utile (per questi aspetti ed i relativi riferimenti v. P. Ziviz, Danno da perdita di chance patrimoniale e non patrimoniale, in Ri.da.re).

Peraltro, restano problematici molti aspetti fondamentali della tipologia di danno in esame.

In linea generale, si può ricordare, a tal proposito, che, secondo un primo orientamento, la perdita di chance è un “lucro cessante”, consistendo in un mancato guadagno, nella perdita di un risultato, di un vantaggio che il soggetto avrebbe conseguito se l'illecito non si fosse verificato. Configurare la perdita di chance in termini di lucro cessante implica richiedere un prova puntuale del nesso di causalità in quanto il creditore può ottenere il relativo risarcimento solo quando, in base alla proiezione di situazioni già esistenti, dimostrate e non soltanto dedotte, possa ritenersi che il danno si sarebbe prodotto secondo una ragionevole e fondata previsione (Cass. civ., sez. III, sent., 25 settembre 1998, n. 9598). Questa tesi è stata sostenuta in giurisprudenza soprattutto nelle pronunce in tema di responsabilità professionale dell'avvocato nelle quali si afferma, ad esempio, che il cliente deve fornire elementi di prova in forza dei quali si possa desumere con ragionevole certezza che il gravame non tempestivamente proposto sarebbe stato accolto (cfr., tra le molte, Cass. civ., sez. II, sent., 27 maggio 2009, n. 12354, in Resp. civ. e prev., 2009, n. 10, con nota di M. Azzalini, Responsabilità professionale dell'avvocato e risarcimento del danno: riflessioni su un curioso caso d'omessa informazione al cliente ed ivi, 2010, n. 4, 817, con nota di G. Musolino, Responsabilità dell'avvocato per perdita di chance di appellare la sentenza favorevole).

Per altri, la chance costituisce, invece, un bene attuale, ossia una “possibilità” che già fa parte del patrimonio del soggetto la cui distruzione si atteggia quindi come danno emergente, sicché la prova del danno, anche in ordine al quantum risarcibile, attiene alla “consistenza” della possibilità sfumata (sul complesso di tali aspetti v., di recente, P. Ziviz, Danno da perdita di chance patrimoniale e non patrimoniale, in Ri.da.re.).

Il danno nella responsabilità medica per la riduzione delle possibilità di sopravvivenza e guarigione

Proprio la tesi che ricostruisce la chance perduta in termini di danno emergente, sebbene criticata da una parte della dottrina, è quella accolta nella giurisprudenza di legittimità in ordine al danno da perdita di chance di sopravvivenza e/o guarigione. In tale ipotesi non viene in rilievo l'attribuzione all'errore medico della qualifica di concausa della morte (o delle lesioni) subite dal paziente secondo il modello della causalità ordinaria, bensì è imputato all'inadempimento di aver privato il creditore di possibilità di sopravvivenza, ovvero della possibilità di vedere rallentato il decorso della malattia e quindi aumentata la durata della sopravvivenza (cfr. M. Bona, Causalità da perdita di chance e “lost years”: nessuna soglia minima per la tutela risarcitoria delle possibilità di sopravvivenza, in Corr. Giur., 2014, 1085 ss.). Parte della dottrina appare nondimeno fortemente critica rispetto alla configurabilità di un risarcimento del danno da perdita di chance assumendo che tale risarcibilità costituisca in realtà una via di fuga per eludere le difficoltà nella dimostrazione del nesso di causalità nelle ipotesi di c.d. causalità incerta, quando cioè il principio condizionalistico non può essere soddisfatto ma al contempo per ragioni di policy non potrebbe negarsi con certezza l'esistenza di un legame causale (cfr. C. Viazzi, Perdita di chance nella responsabilità medica: una questione ancora da definire, in Danno e resp., 2013, n. 6, 581 ss.).

Per comprenderne meglio la portata della problematica che si va ad esaminare occorre distinguere tra chance pretensiva e chance oppositiva. La chance pretensiva è, ad esempio, quella dell'impiegato al quale viene impedito di partecipare ad un concorso, in tal modo privandolo della possibilità di ottenere un vantaggio nel proprio patrimonio. In tale caso l'evento finale non verificatosi sarebbe rimasto quello che era sin dall'origine, ossia una speranza anche in mancanza della condotta impeditiva. Ne deriva che il danno dovrà essere risarcito quale chance perduta, espressione delle concrete e quantificabili probabilità di successo che l'impiegato avrebbe avuto se il contegno datoriale fosse stato corretto.

In tema di responsabilità medica viene invece in rilievo, di regola, la perdita di chance oppositiva che si configura, ad esempio, in termini di probabilità di successo di un intervento corretto e tempestivo le cui connotazioni sono di valenza non patrimoniale qualora il paziente, a fronte di interventi omessi o cure erronee, sia stato privato della chance di guarire o di sopravvivere più a lungo secondo quanto prevedibile in astratto sulla base della letteratura e dell'esperienza medico. In altre e più chiare parole, la chance oppositiva non è un qualcosa che già esiste nel patrimonio del danneggiato ma costituisce la possibilità di una migliore qualità o l'opportunità di guarigione, con conseguente impossibilità di determinare un collegamento tra condotta ed evento in termini di causalità materiale. Invero, ciò che preesistente sono le chance negative connesse alla potenzialità lesiva della patologia della quale è affetto il paziente, chance che può diventare, in tutto o in parte, positiva a seguito dell'intervento corretto ed adeguato del medico le cui scelte diagnostiche si oppongano al progredire della malattia (si è autorevolmente osservato che il problema principale si correla al fatto che per molte patologie le possibilità oppositive sono davvero limitate: A. Fiori- D. Marchetti, Problemi medico-legali del danno non patrimoniale da perdita di chance, in Riv. it. medicina legale, 2011, n. 1, 39 ss).

Pertanto, elementi strutturali della fattispecie sono di solito costituiti, da un lato, dalla chance che aveva il paziente di non subire certe compromissioni della propria salute, intesa come buona probabilità o mera possibilità che ciò non accadesse, e, da un altro, dalla sua perdita, i.e. il danno finale emergente nel quale si è sostanziata la cessazione/distruzione/compromissione di quella possibilità o alternativa (cfr. C. Viazzi, Perdita di chance nella responsabilità medica: una questione ancora da definire, in Danno e resp., 2013, n. 6, 581 ss.).

Il leading case in materia di affermazione della responsabilità medica per riduzione, in ragione dell'errore del sanitario, delle chances di guarigione o sopravvivenza del paziente è, come noto, costituito dalla decisione della Corte di Cassazione n. 4004 del 2004, la quale ha sancito il principio per il quale in una situazione in cui è certo che il medico ha dato alla patologia sottopostagli una risposta errata o in ogni caso inadeguata, è possibile affermare che, in presenza di fattori di rischio, detta carenza, che integra l'inadempimento della prestazione sanitaria, aggrava la possibilità che l'esito negativo si produca, di talché sebbene non sia possibile affermare che l'evento si sarebbe o meno verificato, si può dire che il paziente ha perso, per effetto di detto inadempimento, delle chances, che statisticamente aveva, anche tenuto conto della particolare situazione concreta. A fondamento di tale decisione vi è la concezione della chance in termini di concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto, ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d'autonoma valutazione, onde la sua perdita, i.e. la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza, configura un danno concreto ed attuale (Cass. civ., sez. III, sent., 4 marzo 2004, n. 4400, in Cass. pen., 2004, 2537, con nota di F. D'Alessandro, La perdita di chances secondo la Cassazione civile: una tutela della vittima “effettiva” e praticabile ed in Riv. it. medicina legale, 2004, n. 3-4, 798, con nota di G. Norelli, La perdita di chance di guarigione come danno conseguente alla condotta medica omissiva; in senso critico v. già Trib. Roma, sez. XIII, 13 luglio 2005, Est. Rossetti, secondo cui in tema di risarcimento del danno, non è configurabile un danno da perdita delle chances di sopravvivenza, in primo luogo, perché la perdita di una chance di sopravvivenza non può essere distinta dal danno finale, cioè dalla perdita del risultato sperato. Sopprimere una chance vuol dire infatti impedire il processo formativo volto all'acquisizione di una utilità futura, quando questo è ancora in fase di svolgimento e, pertanto, affermare la risarcibilità della perdita di chance in sé non costituisce che un escamotage per ammettere la risarcibilità di un danno il cui nesso causale rispetto alla condotta illecita non è certo, ma solo probabile).

Questa tesi è stata in seguito ribadita nella giurisprudenza di legittimità, al punto che la nota decisione della S.C. n. 21619 del 2007, peraltro rimasta isolata, aveva ritenuto non illegittimo immaginare, nell'ambito della causalità civile, una "scala discendente", così strutturata:

  1. in una diversa dimensione di analisi sovrastrutturale del (medesimo) fatto, la causalità civile "ordinaria", attestata sul versante della probabilità relativa (o "variabile"), caratterizzata, specie in ipotesi di reato commissivo, dall'accedere ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale, secondo modalità semantiche che, specie in sede di perizia medico-legale, possono assumere molteplici forme espressive ("serie ed apprezzabili possibilità", "ragionevole probabilità" ecc.), senza che questo debba, peraltro, vincolare il giudice ad una formula peritale, senza che egli perda la sua funzione di operare una selezione di scelte giuridicamente opportune in un dato momento storico: senza trasformare il processo civile (e la verifica processuale in ordine all'esistenza del nesso di causa) in una questione di verifica (solo) scientifica demandabile tout court al consulente tecnico: la causalità civile, in definitiva, obbedisce alla logica del "più probabile che non";
  2. in una diversa dimensione, sempre nell'orbita del sottosistema civilistico, la causalità da perdita di chance, attestata tout court sul versante della mera possibilità di conseguimento di un diverso risultato terapeutico, da intendersi, rettamente, non come mancato conseguimento di un risultato soltanto possibile, bensì come sacrificio della possibilità di conseguirlo, inteso tale aspettativa (la guarigione da parte del paziente) come "bene", come diritto attuale, autonomo e diverso rispetto a quello alla salute (cfr. Cass. civ., sez. III, sent., 16 ottobre 2007, n. 21619, in Resp. civ. e prev., 2008, n. 2, 323, con nota di L. Locatelli, Causalità omissiva e responsabilità civile del medico: credibilità razionale o regola del “più probabile che non”?) la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato il nesso causale tra il comportamento omissivo del sanitario che aveva ritardato di inviare il paziente presso un centro di medicina iperbarica e l'aggravamento delle lesioni subite dal paziente che probabilmente avrebbe potuto essere evitato).

In particolare, nel ribadire la necessità, invece, della dimostrazione, anche in via presuntiva (senza che, sotto tale profilo, possa parlarsi di attenuazione del nesso di causalità essendo le presunzioni, anche semplici, ove gravi, precise e concordanti, veri e propri mezzi di prova che si caratterizzano soltanto per il ragionamento inferenziale alle stesse sottese in ordine alla possibilità di desumere da un fatto noto l'esistenza del fatto ignoto da provare, con la conseguenza che la valenza istruttoria della presunzione è tanto più elevata quanto più secondo una massima di esperienza possa ritenersi esistente tale correlazione), del nesso di causalità secondo la regola generale del più probabile che non, in altra pronuncia, di poco successiva a quella richiamata, la Corte di Cassazione ha ben delineato i pregiudizi che, anche nell'ipotesi di omessa diagnosi di processo morboso terminale comunque ad esito infausto, posso correlarsi all'errore medico. Si è ritenuto, invero, che nell'ipotesi di erronea omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, che abbia comportato un ritardo nell'esecuzione di un intervento chirurgico il quale avrebbe avuto effetti palliativi ed avrebbe aumentato la probabilità di sopravvivenza per alcuni mesi o settimane in più rispetto al tempo vissuto, il paziente ha diritto al risarcimento del danno per la perdita della doppia chance di vivere meglio durante il decorso della malattia e di vivere più a lungo. Pertanto, in tema di danno alla persona, conseguente a responsabilità medica, si è ritenuto che integra l'esistenza di un danno risarcibile alla persona l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, in quanto essa nega al paziente, oltre che di essere messo nelle condizioni di scegliere «cosa fare», nell'ambito di ciò che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all'esito infausto, anche di essere messo in condizione di programmare il suo essere persona e, quindi, in senso lato l'esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche, in vista e fino a quell'esito. Tale decisione si segnala anche per la considerazione – che come si vedrà è stata confermata anche dalla giurisprudenza più recente – in forza della quale quando sia stata fornita la dimostrazione, anche in via presuntiva e di calcolo probabilistico, dell'esistenza di una chance di consecuzione di un vantaggio in relazione ad una determinata situazione giuridica, la perdita di tale chance è risarcibile come danno alla situazione giuridica di cui trattasi, indipendentemente dalla dimostrazione che la concreta utilizzazione della chance avrebbe presuntivamente o probabilmente determinato la consecuzione del vantaggio, essendo sufficiente anche la sola possibilità di tale consecuzione. In sostanza, l'idoneità della chance a determinare presuntivamente o probabilmente ovvero solo possibilmente la detta consecuzione è, viceversa, rilevante, soltanto ai fini della concreta individuazione e quantificazione del danno, da effettuarsi eventualmente in via equitativa (Cass. civ., sez. III, sent., 18 settembre 2008, n. 23846; cfr. Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2011, n. 12961, in Resp. civ. e prev., 2011, n. 10, 2039, con nota di G. Miotto, Un grande equivoco: la trasmigrazione della “possibilità” (o “probabilità”) dal contenuto della perdita di chance di guarigione o di sopravvivenza ai criteri valutativi del rapporto di causalità).

Da ultimo, la S.C. ha ribadito – richiamando espressamente il precedente costituito da Cass. 23846/2008 - che in tema di responsabilità medica, dà luogo a danno risarcibile l'errata esecuzione di un intervento chirurgico praticabile per rallentare l'esito certamente infausto di una malattia, che abbia comportato la perdita per il paziente della chance di vivere per un periodo di tempo più lungo rispetto a quello poi effettivamente vissuto, mentre in tale eventualità, le possibilità di sopravvivenza, misurate in astratto secondo criteri percentuali, rilevano ai fini della liquidazione equitativa del danno, che dovrà altresì tenere conto dello scarto temporale tra la durata della sopravvivenza effettiva e quella della sopravvivenza possibile in caso di intervento chirurgico corretto (Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2014, n. 7195, in Corr. Giur., 2014, n. 8-9, 1077, con nota di M. Bona, Causalità da perdita di chance e “lost years”: nessuna soglia minima per la tutela risarcitoria delle possibilità di sopravvivenza: nella fattispecie concreta esaminata dalla S.C., aveva agito in giudizio il marito di una cinquantenne deceduta in conseguenza di una patologia neoplastica denunciando l'errore medico consistito nell'aver asportato, nonostante la scoperta della neoplasia in fase avanzata, soltanto un ovaio (trattamento conservativo), errore che aveva comportato in danno della moglie la perdita della chance di sopravvivenza e/o l'accelerazione della morte. Nei due gradi di merito era stata accertata in sede peritale l'esistenza dell'errore ma la domanda era stata disattesa per carenza del nesso di causalità materiale, assumendo la Corte di Appello di Trieste l'esistenza di una soglia minima del 50% di possibilità del verificarsi del risultato positivo. In senso analogo, in sede di merito, cfr. Trib. Reggio Emilia, sez. II, 27 febbraio 2014, n. 338, per la quale la perdita di chance è risarcibile indipendentemente dalla dimostrazione che la concreta utilizzazione della chance avrebbe presuntivamente o probabilmente determinato la consecuzione del vantaggio, essendo sufficiente anche la sola possibilità di tale consecuzione, mentre l'idoneità della chance a determinare presuntivamente o probabilmente ovvero solo possibilmente la detta conseguenza è, viceversa, rilevante soltanto ai fini della concreta individuazione e quantificazione del danno, da effettuarsi eventualmente in via equitativa ex art. 1226 c.c., posto che nel primo caso il valore della chance è certamente maggiore che nel secondo e, quindi, lo è il danno per la sua perdita, che, del resto, in presenza di una possibilità potrà anche essere escluso, all'esito di una valutazione in concreto della prossimità della chance rispetto alla consecuzione del risultato e della sua idoneità ad assicurarla).

In sostanza, deve ritenersi che ai fini della prova della sussistenza del nesso di causalità tra la riduzione delle possibilità di sopravvivenza e guarigione e la condotta di regola omissiva imputata al medico intervenuto debba essere dimostrato, in omaggio alle regole generali in tema di causalità civile, che sulla scorta del criterio del più probabile che non, sulla scorta di un giudizio c.d. contro fattuale, ove fosse stata posto in essere tempestivamente l'intervento corretto, il paziente non avrebbe visto ridotte le proprie chances di guarigione o di sopravvivenza (così anche, molto chiaramente, Cass. civ., sez. III, sent., 17 settembre 2013, n. 21255, per la quale come per la causalità ordinaria, anche per la causalità da chance perduta,da intendere come possibilità di un risultato diverso e migliore, e non come mancato raggiungimento di un risultato solo possibile, l'accertamento del nesso di causalità materiale implica sempre l'applicazione della regola causale "di funzione", cioè probatoria, del "più probabile che non", sicché, in questo caso, la ricorrenza del nesso causale può affermarsi allorché il giudice accerti che quella diversa - e migliore - possibilità si sarebbe verificata "più probabilmente che non").

Diversamente, l'entità di tale chance, ossia la circostanza che, ad esempio, le possibilità di guarigione o sopravvivenza per un periodo superiore non incidono sul nesso causale quanto esclusivamente in tema di quantificazione del risarcimento in base a criteri equitativi.

Tipologia dei danni risarcibili

La giurisprudenza, non copiosa, che ha avuto occasione di confrontarsi con la questione ha individuato diverse tipologie di danni risarcibili: naturalmente,trattandosi di danni di carattere non patrimoniale la risarcibilità degli stessi rimane comunque ancorata alla previsione per legge ovvero, secondo i canoni consolidati dalle Sezioni Unite con le sentenze di San Martino, alla grave lesione di un diritto della persona di rilevanza costituzionale.

In primo luogo, con riguardo ai danni iure hereditatis, si prospettano due distinte tipologie di danno trasmissibili agli eredi:

  1. il danno morale, sperimentato dalla vittima primaria per la consapevolezza della privazione subita, da liquidarsi in via equitativa (Trib. Monza 30 gennaio 1998, in Resp. civ. e prev., 1998, 696; parte della dottrina prospetta inoltre il danno da sfiducia determinato dall'errore medico: cfr. A. Anglesio, Il danno da sfiducia, in AA.VV., Aspetti clinici, medico-legali e giuridici nei ritardi diagnostici del carcinoma laringeo, Torino 2002, 73 ss.);
  1. il danno da perdita della sopravvivenza, alla cui determinazione può procedersi sempre in via equitativa sulla base del valore uomo per ogni anno di sopravvivenza (Trib. Monza 30 gennaio 1998, cit.), commisurando tale somma-base all'entità delle chance sottratte ovvero assumendo a parametro i valori dell'inabilità temporanea, procedendo per personalizzazioni (cfr. Trib. Bologna, sez. III, sent., 4 aprile 2012).

Sempre nell'ipotesi di decesso della vittima primaria dell'illecito, i congiunti possono agire inoltre in proprio per il risarcimento del danno non patrimoniale correlato alla morte anticipata del proprio familiare. In tale ipotesi la liquidazione assume di regola a parametro generale i valori delle Tabelle milanesi per i danni da uccisione, ridotti,a seconda dei casi, in proporzione delle effettive chances di sopravvivenza della vittima ovvero senza alcun automatismo.

Non è inoltre escluso il risarcimento dei danni patrimoniali subiti per effetto dell'errore medico e correlati, ad esempio, alla necessità di effettuare maggiori cure.

Liquidazione del danno

Il danno in esame si liquida in via equitativa.

In accordo con il più recente indirizzo della S.C. la liquidazione equitativa del danno dovrà essere rapportata alla riduzione del periodo di sopravvivenza provocata dall'errore medico nonché alla percentuale astratta di conseguire il risultato massimo raggiungibile nella situazione concreta. Quindi le possibilità di sopravvivenza, misurate in astratto secondo criteri percentuali, rilevano ai fini della liquidazione equitativa del danno, che dovrà altresì tenere conto dello scarto temporale tra la durata della sopravvivenza effettiva e quella della sopravvivenza possibile in caso di intervento chirurgico corretto (Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2014, n. 7195).

La giurisprudenza di legittimità tende opportunamente a richiamare l'attenzione sulla circostanza che la valutazione equitativa del danno deve fondarsi sull'esame di un complesso di elementi e non già su un criterio proporzionale puro.

E' opportuno ricordare, in via meramente esemplificativa, che nella giurisprudenza di merito edita si è tra l'altro ritenuto che:

  • «l'errore di diagnosi e terapia che abbia impedito al paziente - affetto da melanoma - di godere di una probabilità del 30% di sopravvivere per ulteriori cinque anni, obbliga il medico al risarcimento del danno morale subito dalla vittima, trasmissibile "iure hereditario", del danno morale risentito direttamente dai congiunti per la morte anticipata del familiare, nonché del danno patrimoniale corrispondente alla perdita di sopravvivenza, alla quantificazione del quale deve procedersi sulla base del valore uomo per ogni anno di sopravvivenza avendo riguardo all'età della persona con diminuzione del 100% della validità biologica diviso per gli anni di età e moltiplicando per cinque» (Trib. Monza 30 gennaio 1998, cit.);
  • «Nell'ambito della responsabilità medica, quando si verte in tema di aumento del rischio di complicanze a causa della condotta omissiva, non potendosi escludere che il danno si sarebbe verificato anche in presenza della condotta commissiva dovuta, l'azienda ospedaliera deve essere ritenuta responsabile esclusivamente nei limiti dell'incremento del rischio. Ponendosi in una logica di apportionment of liability si adotta una graduazione della responsabilità in funzione del rischio circa la produzione del sinistro, che può essere attribuita a ciascun antecedente causale, così da circoscrivere il risarcimento in proporzione all'incidenza statistica della condotta del danneggiante. Così facendo si accoglie una prospettiva diversa da quella del risarcimento da perdita di chance utilizzata in casi analoghi a quello di specie dal giudice di legittimità proprio al fine di sfuggire alla logica del "all or nothing" mediante l'elaborazione di una autonoma voce di danno emergente, (la chance appunto) la quale va commisurata alla perdita della possibilità di conseguire un risultato positivo e non alla mera perdita del risultato stesso» (Trib. Terni, 2 luglio 2010, in Resp. civ. e prev., 2011, n. 4, 895, con nota di L. Locatelli, Le chance di risarcibilità delle chance perdute: nella fattispecie concreta, la mancata somministrazione di un farmaco prima di un intervento aveva comportato un aumento del rischio dall'1% al 5%, sicché la chance perduta è stata commisurata nella misura dell'80%).
  • «Al coniuge e ai figli di una donna deceduta per un tumore polmonare che, a causa dell'illecito del medico curante, è stata privata della possibilità di vivere per un anno in più, spetta, "iure proprio", il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dal minor tempo trascorso con il proprio congiunto, da quantificare in misura pari all'importo riconosciuto a fronte della perdita di chance di maggiore sopravvivenza. Spetta inoltre agli stessi soggetti, iure hereditatis, il danno da perdita di chance di sopravvivere per un ulteriore anno da quantificarsi assumendo a parametro la somma di Euro 1.900.000 fissata dall'art. 1 legge n. 497/1999 quale valore oggettivo della vita per indennizzare i congiunti delle vittime del disastro del Cermis, da suddividersi quindi per gli anni della vittima al momento del decesso» (Trib. Roma, 9 dicembre 2008, in Foro it., 2009, n. 5, 1634).
  • «Il sanitario che venga consultato, rendendo una prestazione professionale in favore di una gestante nell'ambito del servizio sanitario nazionale, in ordine ai rischi di malformazione del concepito e che per negligenza professionale non diagnostica la grave malformazione dello stesso - nella specie per erronea valutazione degli esiti di un'ecografia che mostrava la mancanza di arti di un feto alla ventesima settimana dal concepimento - risponde nei confronti dei genitori dei danni cagionati dalla nascita del figlio malformato in riferimento alla perdita di chance della gestante di optare per l'interruzione della gravidanza per ragioni terapeutiche, ma non anche nei confronti del concepito per danno da vita indesiderata (wrongful life), non essendo configurabile nel nostro ordinamento un diritto a non nascere se non sano; ed in tal caso il danno risarcibile non è limitato al danno alla salute in senso stretto ma si estende al danno non patrimoniale nella forma del danno esistenziale» (Trib. Pesaro, 26 maggio 2008, in Giust. civ., 2008, n. 10, 2273, con nota di D. Amoroso, Sulle conseguenze risarcitorie della colposa mancata diagnosi prenatale della malformazione del nascituro; Tribunale Napoli, 14 luglio 2004, in Giur. napoletana, 2004, 419, per la quale nel caso il cui il paziente lamenti che a causa della colpevole omissione del medico, abbia perso delle possibilità di pervenire ad una diagnosi preventiva delle malformazioni del feto, può riconoscersi il diritto al risarcimento della perdita di chance, però costituisce domanda diversa rispetto a quella con la quale si chieda il risarcimento per la nascita indesiderata di un bambino malformato).
  • «In tema di responsabilità civile del medico derivante dalla ritardata diagnosi di una neoplasia, deve essere risarcito il danno da perdita di chance di guarigione o di sopravvivenza compromessa dalla omessa adozione, tempestiva, delle terapie adeguate, a causa dell'errore dei sanitari. Il risarcimento deve, in questo caso, avvenire con una quota di danno commisurata alla possibilità di esito favorevole» (Trib. Reggio Emilia, 19 ottobre 2007, in Resp. civ. e prev., 2008, n. 11, 2354, con nota di L. Locatelli, Le differenti vesti della chance perduta e i suoi criteri di risarcibilità).
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