Il danno da nascita indesiderata necessita il vaglio delle Sezioni Unite della Suprema Corte

Filippo Rosada
06 Marzo 2015

In tema di danno da nascita indesiderata, relativamente alle problematiche connesse all'onere probatorio e alla legittimazione del nato a pretendere il risarcimento del danno in relazione alla violazione del diritto a non nascere o a non nascere se non sano, data la presenza di contrastanti orientamenti di legittimità, necessita il vaglio delle Sezioni Unite.

In tema di danno da nascita indesiderata, relativamente alle problematiche connesse all'onere probatorio e alla legittimazione del nato a pretendere il risarcimento del danno in relazione alla violazione del diritto a non nascere o a non nascere se non sano, data la presenza di contrastanti orientamenti di legittimità, necessita il vaglio delle Sezioni Unite.

I fatti. Due genitori in proprio e nella qualità di esercenti la potestà sulla figlia convengono in giudizio il primario di ostetricia e ginecologia e l'Azienda U.S.L. per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla nascita della figlia affetta dalla sindrome di Down, assumendo l'omissione dei dovuti approfondimenti che sarebbero necessitati dagli esiti di altri esami ematochimici.

I genitori, quindi, chiedono il risarcimento dei danni iure proprio per violazione del diritto all'autodeterminazione oltre il risarcimento dei danni della figlia per lesione del diritto a non nascere o a non nascere se non sana.

In primo e secondo grado le domande risarcitorie vengono disattese.

Nello specifico non viene accolta la domanda dei genitori in proprio in quanto non è stato provato il diritto della gestante ad interrompere la gravidanza e viene respinta anche la pretesa avanzata in nome e per conto della figlia non essendo configurabile un diritto a non nascere o a non nascere se non sano.

Danno da nascita indesiderata. Gli orientamenti contrastanti.

Riguardo all'onere probatorio si registrano due orientamenti contrastanti che pur partendo dalla premessa che è onere della donna dimostrare sia che l'accertamento dell'esistenza di anomalie o malformazioni l'avrebbe indotta ad interrompere la gravidanza sia che la conoscenza di tali elementi avrebbe generato uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica, divergono quando si tratta di individuare il contenuto della prova richiesta alla madre.

Un primo e più risalente orientamento ritiene che sia sufficiente che la donna alleghi che avrebbe interrotto la gravidanza se fosse stata informata della malformazione del feto, essendo implicita la ricorrenza delle condizioni di legge per farvi ricorso.

Un secondo più recente orientamento prevede la necessità di una preventiva espressa ed esplicita dichiarazione di volontà di interrompere la gravidanza in caso di malattia genetica che non può essere ricompresa nella mera richiesta di un accertamento diagnostico.

L'insufficienza del quadro probatorio, pertanto, si ripercuoterà sulla parte attrice.

Riguardo alla legittimazione del nato a pretendere il risarcimento del danno, l'orientamento prevalente esclude che sia configurabile un diritto a non nascere o a non nascere se non sano.

Di contro, è stato di recente affermato che in caso di omessa diagnosi di malformazioni congenite, il diritto al risarcimento possa essere fatto valere dal nascituro una volta venuto ad esistenza.

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