Nessuna prova della violazione del diritto all’autodeterminazione, nessun risarcimento
06 Aprile 2016
Il caso. Un uomo si sottoponeva ad un intervento di artroprotesi dell'anca destra. Durante il post-operatorio in fase di riabilitazione, il paziente accusava diversi dolori. Dopo una serie di esami radiografici emergeva il difetto di orientamento dell'impianto. Pertanto, venivano predisposti altri interventi chirurgici di sistemazione. A causa di una tromboembolia polmonare massiva da trombosi della vena femorale destra, durante l'ultimo intervento, l'uomo decedeva. Il figlio del defunto ricorreva in giudizio chiedendo di dichiararsi la responsabilità del medico e dell'ospedale per le lesioni e il conseguente decesso, per non aver acquisito un valido consenso informato e per non aver adeguatamente valutato e prevenuto il pericolo tromboembolico derivante dal tipo di intervento. In primo e secondo grado la domanda attorea veniva rigettata. La Cassazione accoglieva con rinvio il ricorso, ritenendo evidente la prova dell'inadempimento per la mancata e incompleta informazione sul rischio inerente il primo intervento.
La violazione del diritto all'autodeterminazione. Il processo veniva riassunto e il ricorrente «atteso l'avvenuto accertamento insindacabile in sede di legittimità dell'inadempimento dei convenuti» chiedeva la condanna del chirurgo e dell'Ospedale al risarcimento dei danni patrimoniali e non riportati per la mancata informativa sul rischio dell'intervento subito dal padre. La domanda dell'appellante rispettava i confini stabiliti dalla Suprema Corte, che, da un lato, ha escluso la riferibilità dell'evento morte nella colpa dei sanitari e dall'altro «ha affermato la violazione del diritto all'autodeterminazione per l'assenza di un valido consenso informato, rinviando a questa corte per la determinazione del quantum debeatur».
Onere della prova. Il riassumente avrebbe quindi dovuto allegare e provare l'esistenza e l'entità di un danno riferibile alla violazione del diritto di autodeterminazione per carenza di consenso informato. È infatti pacifico in sede di legittimità che «il diritto alla salute e il diritto all'autodeterminazione» si collocano «su due piani distinti, con conseguente possibilità di riconoscere la lesione dell'uno senza che vi sia necessariamente anche una lesione dell'altro». Tuttavia il riassumente non ha adempiuto al proprio onere di allegare e provare l'esistenza e l'entità del danno in esame. Sicchè la Corte d'Appello si è trovata nell'impossibilità di ravvisare un pregiudizio specifico derivante dalla violazione del diritto a esprimere un consenso pienamente informato. La semplice asserzione del ricorrente, non sostenuta da alcun elemento probatorio, di natura documentale o testimoniale non permette al Giudicante di procedere a un giudizio controfattuale. In conclusione, manca la prova che «ove debitamente informato, il de cuius non si sarebbe sottoposto all'intervento e, con essa, la prova dell'esistenza del danno» subito dal figlio.
Sulla base di tali argomenti la Corte ha rigettato il ricorso. |